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E’ stata presentata al pubblico la nuova sede della Fondazione Prada a Milano. L’aggettivo più appropriato per definirla è “superlativa”, per la vastità (19.000 metri quadrati), la complessità e l’acume del progetto architettonico sviluppato dallo Studio OMA, guidato da Rem Koolhaas. Il famoso architetto ha ripetuto più volte, in sede di conferenza stampa, quanto sia importante l’aspetto combinatorio e di “perpetua trasformazione” degli elementi che compongono l’intera Fondazione: sette edifici preesistenti e tre nuove costruzioni (Podium, Cinema e Torre). Trasformazione di una ex distilleria risalente agli anni ’10 del secolo scorso, nel nuovo complesso della Fondazione convivono dunque due anime: una votata alla conversazione dell’esistente e una invece più creativa e rivolta verso il futuro. Oltre alle diverse tipologie architettoniche dei vari edifici, uno degli aspetti che più colpisce è la varietà delle loro superfici, la loro “pelle”: dall’oro delle Torri, alla lunga parete specchiante del Cinema, alla quadrettatura di legno del lungo passaggio che collega una delle entrate con la biglietteria, dal caleidoscopio di frammenti di vetro composto del Podium, cemento, ferro, griglie, vetro smerigliato, intonaco … linee di fuga imprevedibili, sottopassaggi e aperture; fabbricati che mantengono il ricordo della loro precedente funzione vicino a cubi squadrati e imponenti senza aperture. La chicca che ha destato molto curiosità è stata il “Bar Luce”, progettato dal regista Wes Anderson. L’atmosfera da “tipico caffè della vecchia Milano”, in realtà passa in secondo piano rispetto agli infiniti dettagli che – come i film del regista – catturnoa per maniacale perfezione. Penso alla carta da parati che copre la volta del locale, che riproduce in “miniatura” la copertura in vetro della Galleria Vittorio Emanuele. Sedute, poltrone, tavoli, bancale, lampade: tutto ricorda la cultura popolare e l’estetica dell’Italia degli anni ’50 e ’60. Nella presentazione dello spazio si rendono note le fonti di ispirazione di Anderson, due capisaldi del cinema neorealista: Miracolo a Milano (1951) di Vittorio De Sica e Rocco e i suoi fratelli (1960) di Luchino Visconti.
La nuova sede apre al pubblico con la presentazione della mostra “Serial Classic”, coincidente con l’inaugurazione di “Portable Classic”, a Venezia, entrambe a cura dello storico e teorico Salvatore Settis. Le mostre analizzano rispettivamente i temi della serialità e della copia nell’arte classica e della riproduzione in piccola scala della statuaria greco-romana dal Rinascimento al Neoclassicismo.
SOMMAMENTE ORIGINALE — L’ARTE CLASSICA COME SERIALE, ITERATIVA, PORTATILE
Estratto dal saggio di Salvatore Settis pubblicato nel catalogo “Serial / Portable Classic”, pp. 276-278
Oltre alla mostra “Serial Classic”, la Fondazione presenta altri tre progetti. La galleria Sud e una parte del Deposito ospitano “An Introduction” (9/05 – 10/01/16), un percorso espositivo che riunisce oltre 70 opere. Il percorso inizia con gli anni ’60, dal New Dada alla Minimal art, con opere di De Maria, Klein, Manzoni e Judd. Tra opere del secondo ‘900, è presente uno studiolo della fine del XV secolo, scelto come simbolo della continuità della conoscenza e dell’approfondimento. Poco più avanti una quadreria include opere di diversi artisti, tra cui Fondata, Scarpitta, Fontana, Koons e Richter (l’effetto non è bellissimo… sembrano una carta da parati tanto sono fitte le pareti di opere). Il percorso si conclude con una mini collezione di “veicoli d’artista”: Elmgree & Dragste, Carsten Holle & Rosemarie Trockel, Tobias Reberger, Gianni Piacentino e Sara Lucas.
Il secondo progetto “In part” (9/05 – 31/10/15), a cura di Cullinan, è allestita nella galleria Nord. La mostra si compone di opere selezionate della collezione, seguendo un nucleo tematico che si sviluppa attorno all’idea di frammento corporeo nelle sculture di Fontana e Pascali; rappresentazione delle rovine nel lavoro di John Baldessari, David Hockney e Francesco Vezzoli; il primo paino fotografico nella costruzione della figura nei dipinti di Copley, Gnoli, Llyn Foulkes, Klein e Picabia.
Il Cinema ospita “Roman Polanski, My Inspiration”: un documentario concepito dallo stesso regista per Fondazione Prada e diretto da Laurent Bouzereau, dove si ripercorrono le fonti d’ispirazione della sua opera cinematografica. Tra i film che lo hanno influenzato: Quarto Potere di Orson Welles, Grandi Speranze di David LeanFuggiadco di Carol Reed e Amleto di Laurence Olivier.
Una lunga e stretta scalinata, posta dietro al Cinema, conduce all’ambientazione di Thomas Demand, “Processo grottesco” (2006-07). L’installazione riunisce più elementi che ci portano a scoprire come l’artista ha realizzato la grande fotografia che ci accoglie in entrata “Grotto”. L’installazione è composta, oltre dalla fotografia, anche da due grandi teche che raccolgono materiale visivo diverso (cartoline, libri, guide, fotografie) e un modello di cartone di 36 tonnellate e composto da 900.000 sezioni che riproduce nei minimi dettagli la Cuevas del Drach dell’isola di Maiorca.
L’edificio ricoperto da uno strato di foglia d’oro, di fronte al Cinema, accoglie un’installazione permanente di Robert Gober (tre piani) e due lavori di Louise Bourgeois. Dello scultore americano lavori storici come la riproduzione gigante di una scatola di cereali (Untitled, 1993-94), accanto a opere più recenti come le porte in Corner Doors and Doorframe (204-15) o il tubo di scarico di bronzo di Untitled (2014-15). Al primo piano due opere di ²² : Cell (1996), un’installazione di forma circolare costituita da porte poste l’una accanto all’altra e grate di ferro trattato, popolata da sculture e oggetti personali dell’artista – e Single III (1996), una scultura in tessuto dove due corpi si intrecciano assieme in un abbraccio infinito.