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Sperimentare con l’effimero | Ann Veronica Janssens al Pirelli HangarBicocca

Se dovessimo stilare una lista sugli artisti che hanno fatto della luce la loro materia di elezione artistica, scopriremo che tra le opere di Olafur Eliasson e il Veronese, tra Dan Flavin e certi quadri futuristi, tra Moholy-Nagy e il Giorgione, emerge un’infinità di declinazioni per raccontare uno delle “sostanze” più potenti e, al tempo […]

Ann Veronica Janssens “Grand Bal”, exhibition view at Pirelli HangarBicocca, Milan, 2023 © 2023 Ann Veronica Janssens : SIAE Photo Andrea Rossett
Ann Veronica Janssens “Grand Bal”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 © 2023 Ann Veronica Janssens : SIAE Foto Andrea Rossetti

Se dovessimo stilare una lista sugli artisti che hanno fatto della luce la loro materia di elezione artistica, scopriremo che tra le opere di Olafur Eliasson e il Veronese, tra Dan Flavin e certi quadri futuristi, tra Moholy-Nagy e il Giorgione, emerge un’infinità di declinazioni per raccontare uno delle “sostanze” più potenti e, al tempo stesso, effimere che esistano. Seguendo la ‘tracce luminosa’ potremmo attraversare l’intera storia dell’arte, dalla magnificenza del barocco alla contemporanea luce realistica del Caravaggio, fino alle sperimentazioni più attuali con la luce ‘scultorea’ di Dan Flavin e la luce che filtra dalle vetrate di Palazzo Strozzi di Olafur Eliasson.
In questa lista approssimativa possiamo aggiungere anche Ann Veronica Janssens, attualmente in mostra al Pirelli HangarBicocca, con Grand Bal (a cura di Roberta Tenconi – fino al 20/07/23). L’artista belga, classe 1956, ha un rapporto con la luce che definirei quasi intimista. Nei tanti racconti che l’artista ha condiviso con alcuni visitatori, quasi confidava che una delle cose che più l’affascinano è la semplicità con cui la luce rivela dettagli minimi del reale: gli spiragli che si vedano sotto le porte o la luce che filtra tra le tende. Nulla dunque di eclatante o spettacolare anzi, la dimensione che l’artista riesce a suggerire con le sue opere è estremamente effimera; una dimensione impalpabile e per questo molto poetica.
Come i notturni a lume di candela di Georges de La Tour, dove la luce filtrava tra le dita o le perle di luce nei quadri del Vermeer, così Janssens infonde nel suo lavoro la stessa incredula e incorporea magia della luce. 
Nei suoi quarant’anni di carriera l’artista ha sperimentato limiti e potenzialità della materia luminosa, utilizzandola non solo per raccontare l’indescrivibile, ma anche per suggerire la natura sensoriale e performativa di spazi e architetture. Ecco allora che un’altra delle caratteristiche più evidenti della sua ricerca è la mutevolezza. Nella mostra all’Hangar, tutto sembra muoversi proprio  grazie al mutare della luce del giorno. Vista con una bella giornata di sole o, invece, in un giorno di pioggia, la sensazione che avremo sarà quella di aver visto due mostre completamente diverse. 
Riflessi specchianti, fasci di luce provenienti dai lucernari o dalle porte – volute aperte dall’artista proprio per rendere lo spazio espositivo permeabile alla mutevolezza atmosferica – le correnti d’aria che muovono le reti in PVC che fungono da filtri nelle porte (Wave, 2023) e le altalene agganciate con lunghissime corde al soffitto dell’Hangar (Swings, 200): tutto oscilla, si muove, produce addirittura rumore. Il giorno in cui ho visitato la mostra, fortunata per l’intensità luminosa di quella mattinata di sole, l’immenso spazio espositivo era attraversato da una luce bianchissima, oltre che una costante brezza. Una lieve corrente d’aria muoveva Golden Section (2009): una lamina trasparente a specchio, alta oltre 8 metri, che si muoveva con la corrente d’aria producendo così un leggero crepitio. 
Accanto a opere che fanno della mutevolezza la loro caratteristica principale, troviamo alle opere che, invece, si lasciano attraversare dallo sguardo contemplativo. L’istallazione Drop (2023) che consiste in grandi dischi a specchio che posso essere letti in due modi: o come grand buchi su cui far scivolare l’immaginazione o come specchi d’acqua su sui è riflesso il nostro sguardo che da terra rimbalza nell’alto soffitto dell’Hangar. 

Ann Veronica Janssens “Grand Bal”, veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 © 2023 Ann Veronica Janssens : SIAE Foto Andrea Rossetti

Segue L’espace infini (1999), l’opera che, assieme a MUHKA, Anvers (1997-2023), ci immerge in una dimensione extra-sensoriale. Janssens costruisce una capsula che condensa e al tempo stesso, apre lo spazio rendendolo infinito. Affacciandoci ci confrontiamo con un ambiente totalmente bianco in cui, per effetto ottico, il nostro sguardo non riesce più a discernere limiti e dimensioni. In MUHKA, Anvers, invece, l’artista utilizza la nebbia artificiale per dare corpo e sostanza alla materia lattiginosa della luce. La sensazione, camminando dentro una stanza completamente satura di nebbia, è quella di attraversare un “labirinto sensoriale immersivo che permette di addentrarsi in una realtà alterata e onirica”. 
Il grande spazio dell’HangarBicocca è costellato di molte altre opere che richiedono uno sguardo contemplativo, come ad esempio la proiezione di luce programmata Bitter, Salty, Acid and Sweet #2 (2019-23) accanto alle selezione di video su monitor che trasmettono varie eclissi filmate dall’artista durante dei viaggi in Turchia, Cina e Giappone. Accostando con il titolo dei sapori all’esperienza luminosa – due cerchi che, in modo aleatorio, sembrano galleggiare nella grande parete nera dello spazio – Janssens ci invita ad un’esperienza sinestetica che, traslandone il significato metaforico, sembra raccontare le relazioni che intercorrono tra le persone. Perchè non leggere questa coppia di cerchi come una sorta di relazione amorosa dove le persone si cercano, si attraggono e si respingono?
Nell’installazione Le pluie météorique (1997) –  una vasta distesa di ciottoli di fiume dalle sfumature azzurrine provenienti dall’Indonesia – l’artista ci fa oscillare tra due dimensioni: da una parte, camminando sopra i sassi abbiamo la sensazione di attraversare le rive di un fiume; dall’altra – con un taglio più concettuale – grazie al titolo che allude a una ‘pioggia di meteoriti’, proviamo la strana sensazione di attraversare luoghi e spazi infinitamente lontani e scuri.  Tra lampi di luce colorata, cubi trasparenti di vetro che simulano il ghiaccio, tra vetri ottici, lastre di vetro martellato, olio di paraffina, vetri di sicurezza, prismi ottici, fusioni di vetro… sembrano tanti esperimenti che nel tempo l’artista ha compiuto per raccontare ma al tempo stesso penetrare, afferrare, dilatare e in fine capire, la materia luminosa materializzata nel vetro. 
Il vetro, materiale centrale nella poetica dell’artista, racconta di trasparenza e traslucenza, ma anche di fenomeni come la dispersione e la propagazione della luce. Da qui la lunga e  affascinate produzione di opere visibili in mostra come Blue Glass Roll 405/2 (2019), Magic Mirrors (Pink and Blue) (2013-23), Atlantic (2020) e Prism (2013-23). 
Anche quando lavora in relazione allo spazio, come nell’installazione Area (2023), l’artista si pone degli interrogativi sull’architettura stessa che ospita la mostra. Una sezione delle Navate è stata modificata dalla presenza di una vasta superficie percorribile composta da mattoni. Con questa installazione Janssens mette in discussione le canoniche definizioni di scultura e architettura, realizzando quello che lei stessa definisce un super space: “una estensione spaziale di un’architettura esistente… Sperimento spesso con le possibilità di rendere fluida la percezione della materia e dell’architettura, che io vedo come una sorta di ostacolo al movimento e alla scultura” (Ann Veronica Janssens, 2004).