Giulio Frigo – La razionalità…quando è troppa assomiglia alla pazzia o all’allucinazione.

3 Marzo 2010


E’ inaugurata il 25 febbraio la mostra di Giulio Frigo Impersonale in Viafarini DOCVA (a cura di Milovan Farronato). Dopo aver letto il comunicato stampa, gli ho chiesto delle spiegazioni su alcune aspetti della mostra, a mio avviso un pò oscuri. Prontamente mi ha risposto. Ringrazio.

Mi spieghi con parole tue questo estratto dal comunicato stampa della mostra? “…visualizzare un senso di vertigine nell’ordine. Uno spazio di razionalità così rigoroso da debordare verso uno stato di percezione allucinatoria.” Cosa vuol dire voler dare una percezione allucinatoria?

L’idea di fondo della mostra è quella di dare forma scultorea e fisica a griglie concettuali elaborate dall’uomo nel corso della storia in modo da creare fisicamente un paesaggio concettuale e rarefatto. Lo spazio della mostra è attraversato da fili che incrociandosi creano griglie concettuali e in qualche modo ingabbiano e modulano la sua apertura originaria. I fili vanno da parete a parete oppure da soffitto a parte o da parete a pavimento, poi ci sono dei telai con fili tirati al loro interno e vetri incisi. Ciò che accomuna questi segni è il fatto di essere segni geometrici e privi di espressività gestuale. Sono segni razionali a cui l’uomo nel corso del tempo ha conferito anche significati religiosi e spirituali. C’è un affascinate disciplina che si chiama geometria sacra che analizza i rapporti le forme geometriche e il senso religioso.

Mi interessava l’idea di “ingabbiare” lo spazio all’interno di queste strutture. In fin dei conti queste griglie sono tentativi di gestire e ordinare lo spazio e la materia. Oppure griglie con cui l’uomo ha cercato di costruire e ingabbiare la bellezza (sezione aurea, sistema prospettico) oppure con il quale ha cercato di gestire e ordinare la società e i suoi riti. Inoltre mi interessava dare fisicità a qualcosa di molto astratto e implicito come può essere un proiezione intellettuale. In molti libri di storia dell’arte o dell’architettura vengono sovrapposte griglie concettuali alle immagini. Come se fossero ossature implicite che sostengono il dipinto o l’edificio. Mi interessa l’idea di come certi schemi mentali come l’idea di griglia, oppure i rapporti aurei oppure la struttura dialettica con cui funziona la ragione siano alla base di moltissime creazioni umane come piani urbanistici, composizioni pittoriche o architettoniche, strutture di campi da gioco sportivi oppure sistemi cosmologici. Visti come immagini tutte queste strutture sono variazioni di forme geometriche semplici. Da un lato sembrano segni incomprensibili lasciati da una civiltà aliena e dall’altro sono segni profondamente umani che funzionano come una sorta di impalcatura implicità per il funzionamento di una società. Percezione allucinatoria perchè spesso le assunzioni intellettuali che si fanno sulla visione diventano effettivamente reali. Ho letto su una rivista scientifica che la sensazione della profondità è una specie di “allucinazione ragionevole che l’uomo proietta sull’immagine bidimensionale disponibile sulla retina.”

Moltissimi di questi schemi sono “strutture” collettive che sono state usate da moltissimi individui singoli ma che non appartengono a nessuno in particolare. Molte di queste allucinazioni ragionevoli sono state abbandonate, alcune sono ancora in uso. In ogni caso rimane la memoria della loro esistenza. Sono partito da questa fascinazione e ho cercato di sfruttarne l’aspetto formale e scultoreo e usarli per creare un paesaggio razionale e rarefatto.

La razionalità però quando è troppa assomiglia alla pazzia o all’allucinazione. Nello spazio della mostra bisogna stare attenti e muoversi con attenzione per non andare a sbattere contro le maglie di queste griglie o contro le lastre di vetro.

“Un vano tentativo di incapsulare un bisogno atavico” : quale bisogno atavico?

Il bisogno atavico è come dici il bisogno di portare ordine al disordine.C’è un libro interessante che si chiama la vertigine dell’ordine. Uno dei punti che toccava l’autore è che ordinare l’ambiente intorno a noi corrisponde a estendere la nostra identità all’esterno. Il mio ordine collide con l’ordine di un’altra persona apparendo come disordine e viceversa. Mi interessava in questa mostra esplicitare sistemi per ordinare il mondo che sono stati usati collettivamente e che quindi appartengono a tutti e a nessuno.


Sei proprio sicuro che il bisogno d’ordine ha influenzato l’ossatura portante della Storia dell’Arte, dell’Architettura e della società occidentale?

Certamente non è l’unica chiave di lettura. Ma certamente il bisogno di ordine è un’impulso umano fondamentale. L’ordine spesso procura piacere, se portato alle estreme conseguenze può produrre noia o anche paura e soffocamento. Quando io parlo di ordine non mi riferisco all’ordine banale di cose disposte in fila ecc..o a quello paranoico del controllo, ma mi riferisco all’istinto dell’uomo di disporre le cose in relazione al suo pensiero, creando una concordanza tra il soggetto e il mondo. Penso che nell’uomo ci sia una sorta di fiuto per la forma, un piacere nel vedere e riconoscere forme nel caos. Il processo della comprensione è qualcosa che funziona in maniera simile.

Non ho visto la performance. In cosa consisteva?

Ero a terra privo di sensi, in abito elegante sotto l’effetto di un sonnifero. Un pò come se fossi stato contemporaneamente dentro e al di fuori di quella gabbia oppure come se la mostra fosse un paesaggio rarefatto e mentale prodotto da una specie di mio sogno.


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