Si è da poco conclusa Onorarono, mostra personale di Giovanni Oberti curata da Chris Fitzpatrick alla Kunstverein München. L’artista ha esposto una serie di lavori nella caratteristica vetrina Schaufenster am Hofgarten, installati in una struttura da lui stesso progettata. Il principale medium utilizzato nella ricerca di Oberti è il tempo, che l’artista sembra aggiungere e rimuovere dai sui lavori per mezzo di leggere operazioni ripetute.
Coerentemente con la sua pratica, anche il diario che l’artista ha redatto per ATPdiary è influenzato dal suo particolare approccio verso il tempo: il diario infatti non tratta in maniera diretta della genesi della sua mostra, ma la racconta attraverso una serie di immagini trovate, da archivio o di precedenti lavori che hanno contribuito a costruirla e informarla. Come nelle sue opere, che mettono l’accento sui limiti della nostra percezione, il risultato finale è presente ma non direttamente visibile.
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La Kunstverein di Münich è un’istituzione presente a Monaco dal 1825, chiunque voglia finanziare il progetto divenendo amico del museo può farlo. Quindi vive da allora attraverso una sorta di sponsorizzazione pubblica per un programma internazionale di arti visive. Dal 1825 propone incessantemente mostre di ricerca sull’arte contemporanea relativa al mondo circostante, sulle differenti pratiche e pensieri artistici.
Chris Fitzpatrick, il neo direttore della Kunstverein di Münich, mi ha invitato qualche mese fa a Monaco per vedere gli spazi e pensare ad un lavoro per la project room del museo, una grande finestra che affaccia sul centralissimo Hofgarten, detta Schaufenster am Hofgarten.
La cosa più importante è che questa vetrina, illuminata dal sole durante il giorno e da alcuni led durante le ore buie, è visibile 24 ore su 24 da chiunque vi passi di fronte.
L’esposizione si slega quindi da una dinamica tipicamente museale dove lo spettatore si trova a stretto contatto con l’opera in un luogo adibito a contenitore per oggetti d’arte. Venendosi così a creare un rapporto più diretto tra l’interno del museo e la vita di tutti i giorni che vi scorre di fianco come un fiume.
La mostra l’ho intitolata Onorarono.
All’interno di questa finestra ho posizionato tre lavori differenti per fattura e anno di realizzazione, ma molto simili come idea. Infatti questi lavori, oltre ad accentuare il mio interesse nella pratica dell’osservazione, parlano di uno scorrere del tempo non lineare, rappresentato attraverso porzioni di tempo “speso” affinché il dispositivo ne riveli il reale passaggio e la reale portata.
Il primo lavoro è un tavolino di ferro che sostiene una teca in cristallo che lo rende un espositore per Senza titolo (Oggetti dipinti), del 2009.
Una serie di agrumi disidratati e successivamente dipinti con la grafite, o per meglio dire ridisegnati nella loro intera superficie visibile, con la matita.
Senza titolo (Oggetti dipinti) è contenuto in un espositore a sua volta esposto in una vetrina che è un espositore.
Questo lavoro nasce come una riflessione sulla rappresentazione e si sviluppa attraverso un legame tra stili e materiali differenti. Gli agrumi disidratati che donano forma alla scultura si celano al di sotto di un sottile strato di grafite che illude l’occhio dell’osservatore creando una seconda superficie, bloccando al suo interno la scultura vera e propria (come anche nella scultura classica avveniva l’azione di dipingere le statue).
Questo lavoro, realizzato attraverso il disegno su di un oggetto, diviene così un elemento di ricerca rispetto a cosa sia la scultura, raccontandoci come la rappresentazione non possa essere ridotta alla sola superficie, e la considerazione di un oggetto non possa essere ridotta solo a ciò che è visibile.
Sopra la teca che contiene gli agrumi ho posizionato due bicchieri da vino trovati, di forma differente, entrambi divenuti portatori di una traccia di calcare al loro interno, visibile attraverso la trasparenza del vetro, Archi di dama, del 2013.
Una traccia residuale di calcio e polvere dovuta ad una prolungata evaporazione dell’acqua versata di volta in volta nel bicchiere.
Questi bicchieri divengono supporto, al loro interno, per uno strato estremamente sottile ma denso di calcare tale da rivestirne l’intera superficie dedicata.
L’effetto è quello di vedere un bicchiere bianco, pieno, dove però più che pieno è vuoto ma interamente rivestito al suo interno della materia scultorea.
La rappresentazione viene celata dal supporto che a sua volta ne consente la forma e ne vela la percezione. Proteggendola e ospitando al proprio interno la scultura vera e propria.
Funziona oltretutto come resa visiva di un tempo ciclico naturalmente invisibile ma quantificabile, come una clessidra la quale sabbia si sia rapppresa sul fondo, senza permetterne ormai un naturale deflusso una volta girata per farla partire nuovamente.
A vegliare su questi lavori, l’ultima scultura presente in mostra: Senza titolo (Rami di dattero), del 2012.
Si tratta di due sottili rami della palma da dattero, quelli che in natura ospitano e permettono la crescita dei frutti, questi si sviluppano in gruppo fino a creare un casco ricco di grappoli.
Questi rami sono incollati a una breve asticella che funziona da prolunga e sono esposti a un’altezza media degli occhi del visitatore che vi si trova di fronte, distanti tra loro come due occhi umani. In perpendicolo alla parete.
Durante le ore del giorno, quando la finestra è illuminata dal sole, questa scultura viene pervasa di luce in maniera diretta, proiettando delle ombre portate sul muro di sfondo, permettendo a seconda dell’ora del giorno in cui lo spettatore si trova di fronte una visione differente.
Come due meridiane che dall’alto indicano uno scorrere del tempo continuo e incessante, questi rami sono un ulteriore chiave di lettura per il resto delle opere in mostra.
Grazie alla cortese collaborazione del quotidiano locale, il Süddeutsche Zeitung, è stato prodotto un multiplo in distribuzione gratuita per i visitatori del museo.
Ho fatto stampare una fotografia trovata, proveniente dal mio archivio, a tutta pagina sulla carta normalmente usata per il quotidiano e con i loro mezzi di stampa.
Il soggetto di questa immagine è un pesce, con l’occhio ancora lucido nonostante la rigidità del corpo, stampato all’interno di una doppia pagina di quotidiano, come fosse stato avvolto, al mercato.
Come ultime considerazioni vorrei parlare del titolo: Onorarono.
Come si può notare è un palindromo, una parola leggibile da entrambi i versi. Così come la mia installazione sarebbe stata visibile ai passanti provenienti da destra o da sinistra.
In egual modo il senso si sarebbe potuto cogliere.
Oltre a questo è una parola ricca di valore, dove “onorare” è il monito che mi ripeto ogni volta che metto in mostra un’oggetto o un’immagine.