Testo di Olga Cantini —
Quartz Studio ospita la prima personale italiana dell’artista Gernot Wieland (Horn, Austria, 1968) a cura di Zasha Colah. Ad occupare l’intimo spazio di Quartz il film Ink in Milk, realizzato dall’artista nel 2018, che, per l’occasione, è stato sottotitolato in italiano.
Varcando la porta lo spettatore si trova ad assistere ad un tu per tu: due sedie in stile viennese sono rivolte l’una verso l’altra al centro dello spazio, attirando lo sguardo dei passanti di via Giulia di Barolo. L’allestimento evoca una condizione di dialogo e confronto tra due presenze, le quali però si dissolvono immediatamente. Una dissoluzione che avviene nel momento in cui si nota il proiettore su una sedia e il foglio di carta sull’altra. Delicato, ma al tempo stesso ben saldo, il foglio e le sue fibre accolgono la proiezione di Ink in Milk, mentre il suono e la voce narrante dell’artista suscitano un forte coinvolgimento. A questo punto si spezza, in parte, l’illusione di assistere ad un confronto tra due soggetti e subentra la percezione che ogni intervento nello spazio è rivolto a noi, gli spettatori.
Come racconta nell’intervista della serie Artist on Collecting prodotta da Quartz, Wieland colleziona idee ed esperienze che gli permettono di diventare un altro io. In Ink in Milk l’artista mostra situazioni passate, presenti e ne suggerisce altre future, possibili, intrecciandole tra il reale e l’immaginario. Come un viaggio psicoanalitico, Ink in Milk ci trasporta indietro all’esperienza dell’infanzia mescolando, nel ricordo, schizofrenia, malattia e umorismo. L’installazione concepita dall’artista per lo spazio, implicitamente, critica le strutture sociali, proprio a partire da quella posizione che lui stesso ha ideato: stare seduti l’uno davanti all’altro. “The way we place bodies is the beginning of politics” dichiara l’artista, sottolineando la violenza delle convenzioni sociali e, vicinissimo alle posizioni del filosofo francese Michel Foucault, ribadisce come nella nostra società tutto sia già costruito.
E’ difficile attribuire ad Ink in Milk una natura specifica. E’ un lavoro capace di assumere forme diverse. E’ un cortometraggio, un insieme di pensieri animato da disegni e sculture, una fiaba con una morale non scontata. Ink in Milk è un contenitore costruito mediante l’indagine attenta e inquieta di un artista che analizza con ironia e spietatezza tutto ciò che lo circonda.
In fondo Ink in Milk è un viaggio serpentino, perché i parallelismi che Gernot Wieland evoca con le sue forme si insinuano anche nella mente dello spettatore. Durante la visione, racconto e riflessione si mescolano e danzano, proprio come accade con gli avvenimenti delle nostre vite, come fa l’inchiostro nel latte.