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Gavin Kenyon — Lift your head, give me the best side of your face

 [nemus_slider id=”43575″] Di Gavin Kenyon, in Italia si era già parlato parecchio. A Milano, lo scorso autunno, una prima mostra personale alla Galleria Zero ha portato le sue installazioni materiche e ambigue nella sede di Viale Premuda – per poi...

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Di Gavin Kenyon, in Italia si era già parlato parecchio.

A Milano, lo scorso autunno, una prima mostra personale alla Galleria Zero ha portato le sue installazioni materiche e ambigue nella sede di Viale Premuda – per poi essere sigillata con l’installazione pubblica di ‘Four Sentinels’ nei vicini giardini di Corso Indipendenza. Una vicenda cattelaniana, a dire il vero: le forme quasi inequivocabilmente anatomiche delle quattro sculture oblunghe, poste a vegliare sul parco, hanno sollevato il prevedibile chiacchiericcio dei benpensanti, e coinvolto inevitabilmente l’assessorato alla Cultura milanese (grazie al cui beneplacito, l’installazione pubblica è rimasta comunque esposta per i mesi invernali previsti all’inizio).

Classe 1980, newyorkese, e scultore di livello notevole per la sua generazione, Gavin Kenyon è ora di nuovo in Italia per la sua prima mostra istituzionale, presso il Museo Marino Marini di Firenze. Proseguendo la propria ricerca sui materiali e sulla polivalenza delle forme, Kenyon realizza per la cripta del Museo una serie di lavori site-specific che vanno a creare un effetto allestitivo interessante e ben riuscito. A un primo colpo d’occhio, l’alternanza drastica tra orizzontalità e verticalità delle forme fuori-scala fa pensare a forme totemiche di forza e a guerrieri caduti. La virilità quasi ancestrale della serie di lavori eretti è ottenuta con l’inserimento di cemento ancora umido all’interno di ‘sacche’ di stoffa, pelle, vinile e pelliccia sintetica – un richiamo irresistibile per la mano di chi osserva. Una volta seccato, il cemento si erge in tutta la sua monumentalità, rendendo labile il confine visivo tra sacchi, anatomie falliche, e monumenti. Le cuciture sono visibili, le superfici lisce, le forme potenti.

Al centro dello spazio, la stessa versione di sacchi risulta invece accasciata a terra, accumulata l’una sull’altra, sfinita e svilita nella propria forza. Tornano in mente cumuli di stracci, che al tempo stesso hanno la consistenza di sculture. Di nuovo ci si sente fisicamente attratti da forme inevitabilmente ambigue, allusive, grottesche. Ma al tempo stesso se ne è respinti, in una sorta di fastidio fisico. Proprio in questo risiede probabilmente parte dell’interesse del lavoro di Kenyon. I materiali e le forme sono trattati in modo seducente e attento, con un certo richiamo a una tradizione scultorea di matrice americana intelligentemente provocatoria – a cui del resto non può che essere debitore, nella misura in cui ne condivide le origini. Il grottesco, l’ironia, e al tempo stesso l’estrema cura formale concorrono a un risultato complessivamente curato e attraente, con una buona armonia tra spazio e allestimento.

Testo di Barbara Meneghel

Gavin Kenyon,   Lift your head give me the best side of your face,   Museo Marino Marini,   Firenze Foto Dario Lasagni - Installation view
Gavin Kenyon, Lift your head give me the best side of your face, Museo Marino Marini, Firenze Foto Dario Lasagni – Installation view
Gavin Kenyon,   Lift your head give me the best side of your face,   Museo Marino Marini,   Firenze Foto Dario Lasagni - Installation view
Gavin Kenyon, Lift your head give me the best side of your face, Museo Marino Marini, Firenze Foto Dario Lasagni – Installation view