Tutto il discorso ruotava sul rapporto dialettico tra forma e contenuto, duro e morbido (da intendere soprattutto nel loro senso metaforico e allusivo).
Arrivando nella grande sala, un grande spazio vuoto è stato lasciato libero, bianco. L’artista ha inteso creare uno spazio o membrana che unisce le due parti della città di Bolzano: la parte nuova e vecchia (parti visibili anche dalle enormi vetrate del museo)
Nelle due pareti che circoscrivono questo primo spazio due buchi.
Negli altri due spazi si sviluppano le varie installazioni, 22 opere che raccontano e ribadiscono la mollezza, l’impossibilità, l’ambiguità delle cose. Penso al lavoro dei sassi che allude all’impossibilità di bloccare le nuvole, ai sacchetti di plastica che volteggiano dentro ai tre frigoriferi, alla colonna di scontrini raccolti dall’artista (sorta di diario consumistico), allestiti come fosse un gioco. Suggestivi i due banner – uno bianco e uno con l’immagine delle 3 cime di Lavaredo, Dolomiti – con ficcata in mezzo una bottiglia che rappresenta le 3 cime appunto.