FLOWERS ARE DOCUMENTS ARRANGEMENTS I – II | ar/ge kunst, Bolzano

Intervista con Emanuele Guidi che ci racconta come ha sviluppato il progetto in corso negli spazi di ar/ge kunst. "Le composizioni floreali sono diventate degli strumenti, o meglio dei 'documenti', per proporre una lettura della città ma anche per raccontare altre storie e altre geografie".
20 Luglio 2017

Fino al 29 luglio, l’ar/ge kunst di Bolzano ospita la seconda parte di Flowers are Documents – Arrangements, un progetto – stratificato e multiforme – a cura di Emanuele Guidi. Strutturato in due appuntamenti, il primo dei quali ha inaugurato a metà maggio, Flowers are Documents ha raccolto e messo a confronto posizioni di artisti che hanno approfondito il tema della composizioni floreali. Motivo e soggetto sempre vivo nella storia dell’arte, il tema dei fiori è stato preso a prestito dagli artisti invitati per aprire un dialogo con il paesaggio del Sudtirolo e, più in generale, con concetti quali la decorazione, l’ornamento, l’effimero ecc. Come ci racconta Guidi nell’intervista che segue, l’idea per questa originale mostra ‘in progress’, è nata proprio in seno al territorio altoatesino dove, dalla metà del XIX secolo, si è sviluppata una fiorente industria di flori-cultura.
Nell’introduzione al progetto, si specifica: “Come stagioni consecutive, i due capitoli Arrangement I e Arrangement II, si sviluppano intorno alle composizioni floreali di quattro artiste, che si accumulano nello spazio. Quattro nuove commissioni accompagnate e supportate da ‘episodi’ concepiti da artisti, designers e autori che prendono la forma di vasi, libri, video e progetti di mostra. Cambiando la configurazione dei lavori, gli Arrangements si susseguono e intrecciano l’evento della fioritura con il processo di invecchiamento, così da sottolineare la natura temporanea della “materia” in mostra e offrire ai visitatori un corpo di lavori in costante trasformazione.”
Arrangement I ha coinvolto Natalie Czech e Kapwani Kiwanga; con episodi di: Chiara Camoni, Douglas Coupland, David Horvitz, Bruno Munari e Ettore Sottsass Jr. – Exhibition design in collaborazione con Matthias Pötz e Ada Keller. Arrangement II ha coinvolto: Milena Bonilla e Luisa Ungar; Martina della Valle in collaborazione con Rie Ono; Natalie Czech; Kapwani Kiwanga. Episodi di Haris Epaminonda, Oliver Laric, Paul Thuile, Bruno Munari e Ettore Sottsass Jr.
Tra le molte particolarità di questo interessante progetto, riporto una nota che ha destato il mio interesse. “I colori scelti per le pareti della mostra, sono stati riprodotti in collaborazione con Enzo Parduzzi che nel 1969, lavorò con Gianni Tabarelli per realizzare dei soffitti della Villa Tabarelli a Bolzano, progetto di Carlo Scarpa e Sergio Los. I colori del sofitto, su idea di Scarpa, sono ispirati al movimento che il sole compie nel corso della giornata – dall’alba al tramonto, dal blu/grigio al rosa – e alla luce che irradia nello spazio. Queste tonalità di colore sono state usate come sfondo per evidenziare gli “episodi” degli artisti, designers e scrittori presenti in mostra. Le basi che sostengono le composizioni floreali si sviluppano invece intorno alla forma di “gradino”, come spazio complesso e in movimento che o re molteplici punti di appoggio, e ricorda, tra gli altri, alcuni vasi disegnati da Ettore Sottsass Jr.”

Kapwani Kiwanga, Flowers for Africa, 2014 – in progrss Cut Flowers and various materials. Installation view on 26.05.17, photo Guadagnini and Sorvillo ©argekunst

Kapwani Kiwanga, Flowers for Africa, 2014 – in progrss Cut Flowers and various materials. Installation view on 26.05.17, photo Guadagnini and Sorvillo ©argekunst

Segue l’intervista con Emanuele Guidi

ATP: ar/ge kunst ospita in questi giorni la seconda parte del progetto “Flowers are Documents – Arrangement I and II”. Inaugurata a maggio e in corso fino a fine luglio, raccoglie diversi artisti di formazione e provenienze differenti. Il tema abbraccia l’ambito delle composizioni floreale, ma questo è pensabile solo come punto di partenza, per diverse e stratificate aperture. Su quali basi hai intrapreso questo progetto? Ci sono dei riferimenti a cui hai guardato per le tue ricerche?

Emanuele Guidi: Sono molte i riferimenti e le linee di ricerca che convergono in questo progetto. È evidente come negli ultimi anni i fiori nelle forme più diverse abitino gli spazi espositivi nell’opera di molti artisti ma anche nelle pratiche di curatori, con approcci più o meno critici; parallelamente sui social networks c’è una vera e propria esplosione di immagini floreali, un dato interessante se non altro per domandarsi come la circolazione di immagini e dati funzioni oggi e in che modo questo influenzi la pratica di alcuni artisti (il lavoro di David Horvitz, di Oliver Laric e di Douglas Coupland aprono a questo tema). Oltre a questi dati oggettivi il mio interesse nasce anche come risposta al territorio dove ar/ge kunst si trova, l´Alto Adige, e dove i fiori sono una presenza centrale nella produzione dell’ “immagine della città”, per dirla con Benjamin, da offrire allo sguardo dei vari pubblici, turisti o cittadini che siano. Esiste infatti una lunga tradizione dell’industria della flori-cultura che inizia a metà ‘800 e che ha avuto un impatto sia economico sia nella formulazione di quello che è lo spazio pubblico (o a di pubblico accesso).
Partire da questi presupposti estremamente locali ha permesso di approfondire questioni legate all’idea di decorazione e decoro, di mantenimento e cura, ma anche di rappresentanza, rappresentazione e come relazioni di potere si possano instaurare attraverso di esse. In questo modo le composizioni floreali sono diventate degli strumenti, o meglio dei “documenti”, per proporre una lettura della città ma anche per raccontare altre storie e altre geografie.

ATP: Per il progetto ha coinvolto quattro artiste con interventi di diversa natura. Secondo quali criteri le hai scelte? Come hai messo in relazione il loro intervento con la serie di ‘episodi’ che si sono avvenuti nel tempo di altri artisti, designer e autori vari?

EG: Dopo una lunga fase di archiviazione e incontri ho capito che era importante restringere la ricerca del “campo floreale” intorno ad artiste/i che lavorassero con composizioni floreali vere, in primis per una continuità, ed evoluzione, di un tema tradizionale della pittura, e poi perché mi è sembrato chiaro come le composizioni floreali operassero come una sintesi di quello che è il gesto del “mettere in mostra”, quindi del “fare mostre”, e perché no, di una pratica curatoriale.
Ho voluto lavorare con un numero limitato di artiste che avessero una consapevolezza della composizione floreale come di un vero e proprio medium attraverso cui poter confrontarsi con questioni altre, di tipo storico, politico, di azione sul territorio; e anche che avessero ricerche ben radicate e ancora in corso, così da poter offrire loro l´occasione di sviluppare ulteriormente il loro lavoro per questa mostra. L’affermazione del “fiore come documento” espressa nel titolo è emersa dalle conversazioni con loro, perché ogni composizione non è una gesto decorativo per sé, ma parte da questo gesto per rivelare qualcos’altro. Per offrire una lettura partendo dal margine, dall’impianto scenico, dall’ornamento e cercare di riformulare il modo in cui la Storia, o il presente estremo (parafrasando Douglas Coupland) spesso è raccontata. Quindi Kapwani Kiwanga parla della decolonizzazione dei paesi Africani a partire dalle feste che ne celebravano l´indipendenza e lavorando su una scrupolosissima ricostruzione degli ornamenti floreali, Milena Bonilla e Luisa Ungar parlano dello sfruttamento di certi fiori e piante nella costruzione delle identità nazionali e del tema della legalità e libertà di movimento, Martina della Valle in collaborazione con la maestra di Ikebana Rie Ono offrono una mappatura della vegetazione locale spontanea e marginale, quindi non coltivata né mantenuta, Natalie Czech ripercorre la storia dei bouquet come linguaggio clandestino usato dagli amanti in epoca Vittoriana, e li mette a confronto con la “lingua” della critica d’arte. Proprio nel progetto di Natalie “A critic’s bouquet” abbiamo invitato Övül O. Durmusoglu a scrivere un testo critico sulla mostra Flowers are Documents, sia in forma di testo che come bouquet, e lo abbiamo presentato il primo giorno, quindi permettendo alla critica di anticipare la mostra.
Queste quattro posizioni, sono affiancate da presenze di altri artisti, designer e autori che hanno lavorato intorno all’idea di composizione floreale; i loro interventi gli ho definiti “episodi” perché si tratta di lavori sporadici, a volte neanche vere e proprie opere, con una forte componente narrativa e biografica. È avvenuto tutto in modo molto spontaneo e i lavori dialogano su più livelli, intrecciando diverse costellazioni di pensiero, idee, interessi tra diverse generazioni di artisti: dalla fascinazione “esotica” per l’arte dell’ikebana giapponese che accomuna Munari, Coupland, Laric, della Valle, Epaminonda; all’immersione nella storia di Kiwanga, Ungar e Bonilla, Paul Thuile; fino al rimando ad altre mostre ed altri luoghi espositivi di Horvitz, Czech e Chiara Camoni. Questi sono solo alcuni dei possibili attraversamenti della mostra.

Flowers are documents -  Installation view - photo Guadagnini and Sorvillo ©argekunst

Flowers are documents –
Installation view – photo Guadagnini and Sorvillo ©argekunst

ATP: Visto il taglio contenutistico legato al mondo floreale, mi introduci come è stato coinvolto nel progetto il territorio altoaltesino?

EG: Come ho anticipato il territorio è stato uno dei punti di partenza e in mostra il tutto si esplicita attraverso il lavoro di Paul Thuile, artista che circa tre anni fa ha curato una splendida mostra dal titolo Serra III presso la Floricultura Schullian dove, in una serra degli anni ’50, racconta il rapporto tra l’Alto Adige e il mondo dei fiori e delle piante. Oltre ad una visita guidata alla mostra di Thuile, che abbiamo organizzato come parte del public program, ho chiesto a Paul di poter creare una selezione della sua mostra ad ar/ge kunst lavorando però con i materiali originali e con un focus floreale. Abbiamo quindi una selezione dei francobolli di un collezionista locale (Manfred Leiner) che ha circa 15.000 francobolli a tema floreale e che raccontano la storia del mondo moderno, oltre che a parlare ad altre opere in mostra, ma anche altri documenti che raccontano la storia di alcune famiglie di fioristi, delle loro vicende sotto dittatura fascista piuttosto che delle prime operazioni di marketing negli anni ’70. Tra l´altro c´è un biglietto promozionale del negozio di fiori Ebener che negli anni ’20 era in Via Museo 29, il nostro indirizzo oggi…ricorsi storici.
Oltre a questo abbiamo fatto un workshop con Martina della Valle e Rie Ono, che a partire da una mappatura della vegetazione locale hanno lavorato per due giorni sulla produzione di Ikebana che rientreranno nella serie di pubblicazioni One flower one leaf che Martina dedicata a diverse città.

ATP: Al di la del tema-cardine di “Flowers are Documents – Arrangement”, emergono – visti i tanti ed eterogenei interventi da parte degli artisti – molti altri concetti. Quello più diretto è legato al concetto di tempo e caducità. Da sempre i fiori hanno simboleggiato la transitorietà e l’effimero nelle nature morte nei secoli. Come si sono relazionate le artiste con questi temi?

EG: I temi che nomini sono impliciti nel mezzo stesso scelto e presenti più o meno in tutte le opere. Tutte le artiste nella loro pratica hanno un’estrema consapevolezza di come il tempo influisca sulle loro opere e quindi ognuna in modo diverso, ne accetta le conseguenze o cerca di controllarlo. È stato interessante avere diverse composizioni entrare in mostra in diversi momenti, perché è stato come avere ritmi e registrazioni differenti del tempo della mostra. Per esempio, mentre le composizioni di Kapwani Kiwanga sono in mostra intoccate dal 26 Maggio, quindi in progressivo deperimento, i fiori per i vasi di Chiara Camoni venivano rinnovati ogni tre/quattro giorni, perché erano una dedica e un dono alla Libreria delle Donne di Milano con cui tra l’altro anche noi abbiamo lavorato nella precedente mostra di Alex Martinis Roe.

ATP: L’Ikebana, l’arte della disposizione dei fiori recisi, è molto lontana dalla cultura occidentale. Perché confrontarsi con una “disciplina” che coinvolge elevazione spirituale e trascendenza?

EG: Perché come ho scritto c´è, o c’è stata, una fascinazione da parte di molti artisti verso questa arte, come testimonia il libro di Munari “Un Fiore con amore” del 1973. Il mio è semplicemente un raccogliere delle testimonianze; l’ikebana è presente in mostra perché è emerso dall’incontro con alcuni degli artisti e dal loro interesse per una ricerca sulla composizione che diventa meditativo, spirituale appunto, ma allo stesso tempo ha un aspetto “violento”: alla base dell’ikebana c´è una forte volontà di controllo sulla materia che viene recisa se non corrisponde all’immagine che si vuole generare.
Trovo inoltre curiosa la testimonianza di Douglas Coupland che ha studiato arte in Giappone, dove l´Ikebana almeno fino agli anni ’80 era un corso obbligatorio all’accademia d‘arte e come descrive lui stesso: “ il pensiero dietro a questo insegnamento era che se non si è in grado di lavorare con la materia viva come i fiori, sarebbe meglio non lavorare con nessun tipo di forma”.

Installation view - photo Guadagnini and Sorvillo ©argekunst

Installation view – photo Guadagnini and Sorvillo ©argekunst

ATP: Uno degli aspetti che più caratterizzano “Flowers are Documents – Arrangement” è la complessa dedizioni con cui avete pensato l’allestimento dei due appuntamenti (Arrangement I e II). Mi racconti come avete sviluppato l’impianto del primo appuntamento con il secondo?

EG: Uno delle idee alla base di questa mostra, indicato dal sottotitolo Composition / Support / Circulation Ritual / Storytelling / Time è la composizione floreale come allegoria per riflettere sulla pratica dell’exhibition making, sul gesto del mostrare e il display. Quindi sin dal principio è stato per me centrale condividere alcune idee con gli artisti su come presentare le loro rispettive ricerche, estremamente diverse, evitando un possibile appiattimento formale dovuto all’utilizzo comune dei fiori. Ho quindi proposto due “arrangements”, due composizioni diverse di mostre che mantenessero una continuità attraverso alcune opere e permettessero di sottolineare l’invecchiamento delle composizioni. Due cicli temporali, scanditi da due inaugurazioni, quindi dalla ripetizione di un rito, che permettessero di “registrare” il tempo della mostra e dessero il giusto spazio ogni volta a due delle artiste: a Maggio con le composizioni fresche di Kapwani Kiwanga e Natalie Czech, che si sono trasformate seccando nel corso del primo mese, e che in occasione della seconda inaugurazione affiancavano le nuove composizioni di Martina della Valle con Rie Ono e Milena Bonilla con Luisa Ungar. Ognuna delle due fasi della mostra ampliate attraverso gli “Episodi” che anche sono stati anche parzialmente modificati, offrendo quindi due mostre diverse ma in continuità.
Uno degli interrogativi è stato il design della base per le diverse composizioni floreali, che insieme a Matthias Pötz e Ada Keller, è stato risolto in dialogo con le artiste. A partire da alcuni display che si trovano spesso nei negozi di fiori, ma soprattutto guardando ai vasi della serie Yantra di Ettore Sottsass (1969), il tema formale del gradino/scala è stato declinato per accogliere le necessità delle composizioni delle diverse artiste, dal tavolo per la performance di Bonilla e Ungar, fino al vaso/base per Natalie Czech. Il tema del “supporto” come vaso e come “sostegno” è un altro tema che si ripete in molti dei lavori in mostra come riflessione sulla grammatica della pratica curatoriale; e forse la presenze in mostra che comunicano al meglio questo punto è la fotografia di Sottsass, “Ho disegnato un vaso per la mia fidanzata, Death Valley, 1977” in cui l’idea di dono non è più centrata sul bouquet ma si sposta, appunto, sul vaso.

ATP: Per l’allestimento hai coinvolto Enzo Parduzzi, imbianchino che nel 1969 ha dipinto i colori del soffitto di Villa Tabarelli. Com’è avvenuto il suo intervento e per quali finalità?

EG: L’idea è stata di distinguere gli Episodi dalla parte centrale delle composizioni floreali, delineando alcune aree attraverso l’utilizzo di colori, e il concetto che Carlo Scarpa aveva pensato per il soffitto di Villa Tabarelli a Bolzano mi era rimasto in mente dopo una visita quest’inverno. Scarpa aveva diviso il soffitto della Villa in fasce di colori, da est a ovest e quindi seguendo il movimento del sole, usando i colori del cielo nelle diverse fasi della giornata, dal grigio-azzurro del mattino fino al rosa del tramonto. Un concetto di luce e movimento che ho trovato perfetto per la materia che abbiamo in mostra. Grazie a Roberto Gigliotti che ha pubblicato un libro sulla Villa, sono entrato in contatto con Enzo Parduzzi che lavorò con Scarpa e Tabarelli per ridare vita a quei colori a partire dall’idea dell’architetto.
La risposta di Parduzzi, oggi più che ottantenne, alla mia richiesta di trovare un modo per ricostruire quei colori è stata: “I colori come li ho composti e dipinti non esistono più. L’unico modo per avvicinarsi all’idea di quei colori è che io li rifaccia con il mio corpo, la mia memoria e la mia conoscenza”. E così è stato.

Paul Thuile, selezione della mostra Serra III, a cura di Paul Thuile presso Gärtnerei Schullian Floricultura, veduta dell’installazione. Foto Guadagnini ©argekunst

Paul Thuile, selezione della mostra Serra III, a cura di Paul Thuile presso Gärtnerei Schullian Floricultura, veduta dell’installazione. Foto Guadagnini ©argekunst

Kapwani Kiwanga, Flowers for Africa, 2014 – in progress Fiori Recisi. Vista dell’installazione (22.06.17), foto Guadagnini ©argekunst.

Kapwani Kiwanga, Flowers for Africa, 2014 – in progress Fiori Recisi. Vista dell’installazione (22.06.17), foto Guadagnini ©argekunst.

Workshop - Martina Della Valle - Onefloweroneleaf - arge kunst, Bolzano 2017

Workshop – Martina Della Valle – Onefloweroneleaf – arge kunst, Bolzano 2017

Soffitto Villa tabarelli . Curzio Castellan

Soffitto Villa tabarelli . Curzio Castellan

YOU AND I MAY NOT HURRY IT WITH A THOUSAND POEMS MY DARLING BUT NOBODY WILL STOP IT WITH ALL THE POLICEMEN IN THE WORLD.ZIP
— 13 Giugno 2017 —
La mostra “you and I may not hurry it with a thousand poems my darling but nobody will stop it With all the Policemen in The World.zip*” dell’artista americano David Horvitz (1981) è stata lanciata su internet nel 2012 e riattivata in occasione di questa mostra.

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