Le premesse sono fortemente poetiche: l’opera d’arte è dotata di una sorta di ‘anima’ che, con sensibilità, può essere letta in trasparenza o, come suggerisce il titolo, in filigrana.
Il curatore Fulvio Chimento nell’intervista che segue ci racconta le premesse che stanno alla base della mostra ospitata dal 24 gennaio al 7 marzo 2020 a Palazzo Vizzani, Bologna. Tre gli artisti invitati – Stefano Arienti, Pierpaolo Campanini e Maurizio Mercuri – le cui opere, sotto l’occhio attento del curatore, sembrano aprirsi per molteplici e imprevedibili letture.
La cornice è a dir poco suggestiva (l’abbiamo scoperta con la mostra ospitata l’anno scorso, con la mostra Alchemilla, sempre a cura di Chimento): un palazzo che, eretto verso la metà del ‘500, si è arricchito nei secoli di dipinti, fregi, affreschi a soggetto allegorico, campestre e mitologico.
In questo contesto i tre artisti hanno dialogato con le particolari atmosfere degli ambienti, in particolar modo la luce ha affascinato Campanini, la solennità dello spazio ha colpito Arienti, mentre Mercuri è stato attirato, come ci racconta il curatore, da “elementi e presenze che evidenziassero l’utilizzo più recente di questi ambienti: cavi elettrici, spine telefoniche, ma anche anfratti e passaggi apparentemente nascosti che collegano le varie stanze.”
Questo secondo appuntamento da avvio ad un’associazione nata da poco, in seno ai progetti espositivi: nasce Alchemilla, nome mutuato dalla prima mostra a Palazzo Vizzani. Abbiamo chiesto al curatore di raccontarci la natura di questa nuova associazione, “uno spazio dedicato all’arte, un luogo di conoscenza, di cultura e di incontro, che dialoga con il territorio (inteso in modo ampio) e che vive di arte in modo continuativo, non solo durante eventi o esposizioni, ma anche attraverso lo studio e la libertà di sperimentazione.”
Intervista con il curatore Fulvio Chimento —
Elena Bordignon: La mostra che curi a Bologna in occasione di Arte Fiera, Filigrana, parte dal presupposto che l’opera d’arte sia un elemento ‘sopito’: può stare quieto o animarsi, “in attesa di un atto critico in grado di ridestarlo”. Sembra che l’opera necessiti di un pensiero, di un’interpretazione per essere considerata tale. Mi spieghi le motivazioni di questa premessa?
Fulvio Chimento: Considero l’opera d’arte il frutto di una combinazione virtuosa di speculazioni intellettuali e sensoriali, e di istanze tecniche, che non si esauriscono nella sua fase realizzativa. L’opera non può mai dirsi conclusa: tende a rintracciare relazioni di senso anche dopo il suo concepimento, con novità costante. Con Filigrana sostengo che un’opera sia dotata di una sorta di “anima”, che può essere letta “in trasparenza”, come avviene nella tecnica della filigrana applicata alla carta, oppure nella sua risonanza ambientale, quando siamo in presenza di un intervento di tipo installativo.
L’anima dell’opera coincide con un valore assoluto, una “condensazione” che può perfino sfuggire alla volontà dell’artista, ma può essere portata alla luce da un atto critico, in un esercizio che ha un alto valore dal punto di vista conoscitivo e artistico. Ogni opera necessita di uno sguardo in grado di sondarne la profondità, al fine di comprendere le ragioni ultime della sua esistenza.
EB: La mostra è ospitata negli ambienti di Palazzo Vizzani, che risultano riccamente decorati. Come si sono relazionati gli artisti con questo spazio dalle decise peculiarità?
FC: Campanini è rimasto particolarmente colpito dalla luce che, dalle grandi finestre esposte su via Santo Stefano, si riversa sugli elementi all’interno delle stanze. Pierpaolo è venuto più volte (e in orari differenti) a visitare la mostra Alchemilla (2019) per cogliere il variare dell’incidenza della luce sulle opere scultoree allora allestite.
Nelle mostre organizzate a Palazzo Vizzani cerchiamo di utilizzare lo spazio nella sua dimensione naturale, senza ricorrere ad artifici o forzature tecniche e scenografiche. Le varie componenti delle mostre sono soggette alla trasformazione determinata dallo scorrere del tempo e dalla variazione/alternanza di luce, ombra e buio.
Mercuri è andato in cerca di elementi e presenze che evidenziassero l’utilizzo più recente di questi ambienti: cavi elettrici, spine telefoniche, ma anche anfratti e passaggi apparentemente nascosti che collegano le varie stanze.
Arienti credo sia rimasto colpito dalla solennità dello spazio, caratterizzato da una magnificenza appena stemperata da un principio di decadenza. Forse Palazzo Vizzani ha richiamato alla mente di Arienti due luoghi a lui cari, in cui ha realizzato mostre importanti: Palazzo Ducale (Mantova, 2009) e la Basilica di Sant’Eustorgio (Milano, 2019).
EB: Il titolo fa riferimento all’antica tecnica di impressione visibile su carta solo in trasparenza o in controluce. Quali nessi, sia reali che simbolici, hai trovato tra questa pratica tecnica e il lavoro di Stefano Arienti? Quali opere inedite dell’artista vedremo in mostra?
FC: Il titolo della mostra è nato dopo aver visionato nello studio di Stefano Arienti a Milano una serie di lavori su carta fotografica, che raffiguravano soggetti ripresi dal mondo naturale su cui l’artista era intervenuto direttamente tracciando linee con la macchina da cucire. Dopo l’intervento meccanico il filo del cucito era stato rimosso manualmente in modo che la superficie fotografica evidenziasse una sorta di codice linguistico che determinava un impercettibile senso di profondità nell’immagine, conferendole leggerezza e, al tempo stesso, maggiore peso materico. Di questa serie saranno visibili in mostra Gladioli Lambrate e Finestra verde. L’idea della tecnica della filigrana è rintracciabile anche in altri lavori di Arienti, che presentano stampe su carta da manifesto di grande formato stropicciate in modo casuale dall’artista fino a ottenere una resa quasi scultorea. Per Filigrana Arienti espone otto opere, e tra queste solamente una è stata recentemente mostrata in altro contesto.
Mercuri alterna lavori storicizzati a un nutrito numero di interventi ideati ad hoc: originario di Fabriano, la patria della produzione della filigrana in Italia, conosce bene questa tecnica per averla direttamente sperimentata. Nell’ambito
delle opere di Campanini, che ha elaborato per la mostra unicamente lavori
nuovi, individuo il tema della filigrana principalmente nella straordinaria
preziosità della sua pittura, caratterizzata da un processo creativo
volutamente lento e da una continua stratificazione di senso.
EB: Con le sue opere Pierpaolo Campanini si confronta con affreschi, tessuti e carte da parati presenti a Palazzo Vizzani. In che modo ha dialogato con gli ambienti?
FC: Campanini rimane fedele al proprio status di pittore e, come tale, si relaziona agli spazi attraverso gli stimoli e le potenziali difficoltà che un artista della sua qualità e sensibilità può riscontrare nel misurarsi con un progetto site-specific. Il suo approccio parte dalla risoluzione di problemi teorici, prima ancora che stilistici: Campanini ha rielaborato in pittura alcuni suoi celebri dipinti, adattandoli alle istanze del luogo, oppure ha utilizzato dei tessuti per comporre opere dotate di una corrispondenza materiale con l’ambiente. In senso generale, ha sviluppato un approccio più libero rispetto a quando si misura con progetti legati a musei e gallerie, avvertendo la necessità di mettere in gioco se stesso e la sua pittura, pur rimanendo fedele alla propria natura.
EB: Campanini ha coinvolto anche un altro artista, Luca Bertolo. In cosa consiste questa collaborazione?
FC: È stato Campanini stesso a decidere di esporre un dipinto di Luca Bertolo intitolato Untitled (fence#2), realizzato nel 2015. Nella tela viene rappresentata una rete a maglie intrecciate di colore blu su fondo bianco. Intorno a esso Campanini allestisce un apparato visivo che funge anche da cornice dell’opera: una struttura dell’altezza di oltre due metri, realizzata attraverso l’intreccio di potature di rami di salice. Questo intervento semi-scultoreo sembra ispirarsi agli apparati religiosi costruiti per condurre le immagini sacre in processione. La fusione dei lavori dei due artisti rappresenta, dunque, un lavoro sul tempo: il dipinto, al pari di un’immagine sacra o di una reliquia, viene condotto idealmente in processione per essere collocato in un luogo adibito ad accogliere opere d’arte, quindi caratterizzato da spiritualità.
EB: Maurizio Mercuri si è confrontato con il grado di magnificenza, ancora molto vivo, degli ambienti di Palazzo Vizzani. Solitamente le sue opere sono veri e propri meccanismi che si attivano a seconda dello spazio che li ospita. In che modo l’artista si è misurato con le atmosfere dell’edificio?
FC: Nello scegliere le opere della vasta produzione di Mercuri ho cercato di far emergere la sua poeticità, piuttosto che la sua vena ironica e concettuale, che pur l’ha reso molto noto nel panorama italiano. Rispetto alla mostra Alchemilla del 2019, in Filigrana ho scelto di creare ambienti più unitari, in modo che il visitatore possa immergersi nell’immaginario degli artisti invitati. La mostra presenta quindi un forte carattere unitario e assume una spiccata dimensione ambientale, ma, al tempo stesso, ogni singola opera cattura l’attenzione del visitatore per il proprio valore. A Mercuri, rispetto ad Arienti e Campanini, ho chiesto una maggiore presenza materica, proprio per la sua propensione ad adattarsi agli spazi espositivi e alla padronanza di diversi linguaggi: installazione, suono, fotografia, disegno, scultura. Arienti, Campanini e Mercuri rappresentano tre approcci artistici che affondano le radici negli anni Novanta, e che hanno condotto in modo rigoroso la propria ricerca fino ai nostri giorni. Mi affascina l’idea di unire mondi tra loro differenti, piuttosto che giocare sulle similitudini presenti nei lavori degli artisti. Tuttavia, tratti comuni dei tre sono evidentemente rintracciabili: una spiccata sapienza manuale, il vivere “appartati” nella contemporaneità, l’essere dotati di una conoscenza approfondita delle tecniche e dei materiali, oltre alla passione profonda verso il mondo naturale, con una predilezione per la sfera vegetale.
EB: Questa mostra segna anche la nascita di una nuova associazione culturale, Alchemilla, ospitata negli spazi di Palazzo Vizzani…
FC: La mostra Alchemilla realizzata a Palazzo Vizzani lo scorso anno ha riscosso un grande interesse, e l’energia nata da quella fortunata esperienza ci ha spinti a organizzarci in associazione e a progettare una programmazione annuale. Alchemilla è uno spazio indipendente, che, oltre a prevedere momenti espositivi e performativi, ospita sette artisti in studio e dispone di uno spazio per residenze. L’idea di partenza è stata quella di dare vita a uno spazio dedicato all’arte, un luogo di conoscenza, di cultura e di incontro, che dialoga con il territorio (inteso in modo ampio) e che vive di arte in modo continuativo, non solo durante eventi o esposizioni, ma anche attraverso lo studio e la libertà di sperimentazione. Palazzo Vizzani è collocato nel centro di Bologna, una delle più importanti città italiane dal punto di vista artistico e culturale, e rappresenta un unicum per questa parte d’Italia. Chi sostiene l’Associazione Alchemilla crede nella funzione pubblica dell’arte quale collante sociale e di crescita individuale e nella ricchezza delle relazioni che qui si potranno creare.