Ettore Favini al MAN di Nuoro | Intervista con la curatrice

"La ricerca di Ettore in Sardegna si è rivolta alla tradizione della tessitura per arrivare a toccare, attraverso il linguaggio tattile della trama e dell’ordito, un piano più generale — e direi immateriale — di significazione."
28 Aprile 2016

  • Ettore Favini, Arrivederci, MAN di Nuoro 2016 - Installation view
  • Ettore Favini, Arrivederci, MAN di Nuoro 2016 - Installation view
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  • Ettore Favini, Arrivederci, MAN di Nuoro 2016 - Installation view
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  • Ettore Favini, Arrivederci, MAN di Nuoro 2016 - Installation view
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Ha inaugurato da pochi giorni la mostra di Ettore Favini, “Arrivederci”, al MAN di Nuoro (fino al 3 luglio). La curatela porta la firma di Chiara Vecchiarelli mentre il progetto parallelo, sviluppato dall’artista, coinvolge la casa editrice Humboldt Books per la produzione di una pubblicazione che comprende un vasto apparato di testi e immagini e uno scritto inedito dell’artista. Sarà sicuramente uno strumento utile per ripercorrere l’esperienza vissuta dall’artista in Sardegna, abbondante di racconti, scoperte e storie di vita. Ettore Favini ha sviluppato un progetto espositivo – articolato al MAN di Nuoro e al Museo d’arte contemporanea Villa Croce – che narra la sua esplorazione nel territorio della Sardegna. L’artista ha visitato numerosi laboratori sul territorio, ricevendo in dono dalle persone incontrate oltre un centinaio di tessuti. “Nei lavori realizzati per il MAN, il rapporto tra la trama e l’ordito si trasfigura in una nuova relazione tra il tempo e lo spazio: le diverse temporalita? degli eventi che hanno creato la texture dei vissuti incontrati convergono, per il periodo della mostra, nello spazio dell’opera. Ordito delle molte trame di una narrazione comune, la mostra costituira? al tempo stesso un doppio omaggio al mare. Se dal mare arrivano le vele da crociera che concorreranno – insieme ai tessuti raccolti in Sardegna e tinti del blu di Genova – a comporre l’installazione che sara? visibile a Villa Croce, dal mare arriva soprattutto la forma della grande vela realizzata con i tessuti donati che attraversera? le sale del MAN.”

Seguono alcune domande alla curatrice Chiara Vecchiarelli per comprendere appieno l’ambizioso progetto.

ATP: Da un decennio la ricerca di Ettore Favini è rivolta alla relazione tra l’opera e l’ambiente in cui si inserisce. Dal tuo punto di vista, in che modo l’ambiente assume una funzione generativa? 

Chiara Vecchiarelli: A ben guardare Ettore Favini, nei nuclei salienti della sua pratica artistica, interviene sulla relazione con l’ecosistema e il contesto sociale considerandoli come i termini di una relazione avente rango d’essere. Questo vuol dire che l’ambiente non viene inteso come il termine altro di un rapporto, che esso sia un ostacolo o il bene a cui tendere. Al contrario, è considerato come parte dell’opera: da un lato la genera, dall’altro le rimane addosso. L’opera porta con sé l’ambiente nel quale è nata perché è di esso che si nutre. Considerare l’ambiente come separato equivarrebbe a tentare di contenerlo all’interno di un immaginario perimetro rispetto al quale l’altro termine si porrebbe alla pari dell’osservatore di un esperimento presumibilmente avulso dal resto. Nella prima metà del novecento Kurt Lewin, pioniere della psicologia sociale, aveva intuito l’importanza dell’ambiente nella sua teoria del campo. Lewin manteneva però una separazione tra la personalità oggetto dei suoi studi psicologici e l’ambiente: pur essendo per lui parte dello stesso sistema, questi rimanevano termini distinti. Pensare invece l’ambiente come associato all’individuo, persino portato da esso nel corso della sua vita come ha fatto il filosofo Gilbert Simondon, permette di pensare efficacemente anche l’opera in quanto incorporante il suo ambiente in modo generativo: è così per Verdecuratoda (2008-), il progetto di Ettore Favini in cui sono le piante seminate a venire a comporre l’opera, per Dendro (2007), un autoritratto in forma di sezione di tronco in cui l’ambiente costituito dagli incontri di una vita viene spazializzato nella cronologia dell’albero, ed è così anche per Arrivederci, la mostra che inaugurerà al Museo MAN il 22 aprile, in cui le narrazioni associate ai tessuti adoperati per creare le opere da un lato hanno contribuito a generarle, dall’altro, con la loro carica, renderanno le opere stesse suscettibili di generare nuove narrazioni.

Ettore Favini,   Arrivederci,   MAN di Nuoro 2016 - Installation view

Ettore Favini, Arrivederci, MAN di Nuoro 2016 – Installation view

ATP: In merito alla mostra che curi al MAN e a Villa Croce, Arrivederci. Su quali elementi del territorio sardo ha intrapreso la sua ricerca?

CV: La ricerca di Ettore in Sardegna si è rivolta alla tradizione della tessitura per arrivare a toccare, attraverso il linguaggio tattile della trama e dell’ordito, un piano più generale — e direi immateriale — di significazione. Ettore è partito alla volta della Sardegna con una mappa e alcuni indirizzi. Qui ha incontrato tessitori, tintori, artigiani e stilisti chiedendo loro un atto di fiducia: il dono di un pezzo di stoffa per realizzare un’opera. La generosità è stata tanta, e ogni tessuto è arrivato alle sue mani carico di un racconto, di una storia. In questo senso l’opera diventa l’ordito delle molte trame di una narrazione comune. Come ogni racconto, anche questa narrazione è destinata a viaggiare. Il suo viaggio lo inizierà sui flutti, con un’opera che sarà installata a bordo di una delle navi che collegano la Sardegna al porto di Genova, la città in cui avrà luogo il secondo atto del progetto Arrivederci; tra la mostra a Nuoro e la mostra a Genova uno dei tessuti raccolti fungerà da diaframma, segnalando una densità altra: qualcosa come un altro piano di visione per chi si troverà a guardare dall’oblò davanti al quale sarà collocato. Nella seconda tappa, poiché il progetto lavora sia su elementi del territorio sardo che di quello genovese — i suoi ambienti — nelle sale del Museo Villa Croce dei velluti tinti del blu di Genova copriranno le finestre che danno sul mare, lasciandolo vedere da piccoli fori, a loro volta una mise en abyme dell’oblò. All’esterno, dinnanzi al giardino della villa, delle vele da navigazione cucite insieme, ricevute anch’esse in dono, verranno attaccate ai ganci che la famiglia Croce adoperava d’estate per tendere i tessuti che l’avrebbero riparata dal caldo nelle giornate d’estate.

ATP: Compiendo quest’esperienza l’artista ha raccolto una molteplicità di narrazioni legate all’ambiente e alle persone. In che modo ha ‘tradotto’ le tante storie in opere d’arte?

CV: La traduzione non è mai didascalica. Per tornare a Simondon, si potrebbe forse parlare di “transduzione”, un termine in uso principalmente in biologia, che il filosofo francese impiega per descrivere il processo attraverso il quale ordini di realtà prima incompatibili vengono spazialmente e cronologicamente ridefiniti a creare una compatibilità nuova. È nello spazio intermedio dell’opera che una nuova unità viene raggiunta. In questo senso si può dire che l’opera è una dimensione nuova che non coincide esattamente né con le storie né con la materia eppure, al tempo stesso, le rende comunicanti.

ATP: La mostra Arrivederci tocca due musei, Il MAN di Nuoro e Villa Croce a Genova. Come avete sviluppato e suddiviso il progetto in questo due musei? C’è una relazione contenutistica tra la Sardegna e Genova?

CV: I due progetti sono connessi tra loro, seppure ciascuno sia dotato dell’autonomia che la specificità del suo ambiente gli offre. La relazione che li lega è operativa più che contenutistica: la storia che li percorre prosegue prendendo delle pieghe che solamente gli elementi del nuovo luogo fisico e concettuale possono imprimerle. Queste striature, der dirla con Deleuze, increspano i flutti che senza spostare molecole d’acqua fanno avanzare il progetto tra le diverse sedi alla stessa stregua di un’onda.

ATP: In che modo la mostra omaggia il mare?

CV: Lo fa portando nel cuore dell’opera elementi che sono connessi al mare e valorizzando, nel farlo, la ricchezza delle loro analogie formali e operative con altri elementi che sono invece site specific. L’infilata delle sale del MAN verrà attraversata da una grande opera pensata per trasformare lo spazio. Quest’opera è composta dall’assemblaggio dei tessuti raccolti in Sardegna, cuciti a formare una grande vela. Questa forma proveniente dalla navigazione renderà tangibile nello spazio l’azione dell’attraversamento e la sua fluidità. A Genova delle vele nate per la navigazione verranno agganciate all’esterno del museo là dove la famiglia Croce legava le tende per schermare la calura durante l’estate. I tessuti si fanno vele e le vele diventano tappeti, tende e arazzi. Su una nave, poi, verrà installata un’opera: con essa sarà il mare stesso a farsi sede espositiva alla pari dei musei. Infine, è sempre il legame al mare che sta chiamando questo progetto a essere esposto e sviluppato ancora in altre sedi…

Ettore Favini,   Arazzo (Gneiss),   2016 (dettaglio) lino,   lana,   velluto,   Portland,   ossido di zinco,   silicato di sodio e alluminio blu

Ettore Favini, Arazzo (Gneiss), 2016 (dettaglio) lino, lana, velluto, Portland, ossido di zinco, silicato di sodio e alluminio blu

Ettore Favini,   Bisso,   2016,   ricamo in bisso su lino,   vetro plexiglas,   acqua,   anilina blu oltremare,   MAN di Nuoro 2016

Ettore Favini, Bisso, 2016, ricamo in bisso su lino, vetro plexiglas, acqua, anilina blu oltremare, MAN di Nuoro 2016

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