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Ethan Cook, De Beauvoir Crescent — T293, Roma

[nemus_slider id=”44655″] Decisamente diversa dalle precedenti, De Beauvoir Crescent, mostra personale del texano Ethan Cook (1983), sarà visitabile fino al 17 luglio alla galleria T293. In Problem in Chair Not in Computer, organizzata l’anno scorso a NY – American Contemporary – Cook aveva presentato grandi tele cucite a mano, proponendo un tipo di pittura che, […]

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Decisamente diversa dalle precedenti, De Beauvoir Crescent, mostra personale del texano Ethan Cook (1983), sarà visitabile fino al 17 luglio alla galleria T293. In Problem in Chair Not in Computer, organizzata l’anno scorso a NY – American Contemporary – Cook aveva presentato grandi tele cucite a mano, proponendo un tipo di pittura che, anche senza l’uso di pennelli e tubetti, rivelava una propria essenza genuina: erano gli errori dell’artista a conferire alla superficie la capacità di raccontare qualcosa.  In De Beauvoir Crescent, Cook mantiene il gusto per le grandi dimensioni e l’amore per la processualità, scegliendo un metodo di lavoro che si basa sull’accumulazione di passaggi pratici e concettuali. L’artista colleziona una serie di immagini camminando per De Beauvoir Crescent, a Londra. Ne stampa quattro a grandezza umana e le scolpisce con uretano ad altissima densità, argilla e gesso. Infine fissa i rilievi su un pannello, uniforma il tutto con vetroresina e  del colore bianco. La mostra si compone quindi di queste entità spiazzanti, presenze misteriose che ricordano i tanti rilievi antichi disseminati per Roma o sculture da colorare con i pennarelli come se facessero parte di un album per bambini.

 Ma non è soltanto la dimensione dei blocchi o il loro bianco abbagliante a stupire. I soggetti, in ordine di apparizione, riescono a dar vita ad una strana storia: a un pappagallo dal piumaggio dettagliato seguono due bambini (molto probabilmente pescati da un qualche gioco o libro infantile) che vorrebbero dimostrarsi festosi ma appaiono inequivocabilmente tristi e, dopo due veri cespugli a spirale, un insieme di piante i cui rami compongono la scritta Welcome e un calco di mano che regge una rosa rossa – vera anch’essa -, ecco apparire, nell’ultima sala, l’inequivocabile immagine (di schiena) della vergine Maria, o meglio, del suo velo.

Che tipo di storia ci sta raccontando Ethan Cook? I cespugli danno ritmo alla composizione, così come la mano con la rosa crea un punto focale per il visitatore che, entrando in galleria, rimane abbagliato dai bianchi blocchi appesi alle pareti. Ma la scritta Welcome? Vien da chiedersi come sarebbe stata questa mostra senza il verde delle piante e il rosso della rosa a fare da contrappunto a questi bianchi e alle loro ombre delicate.

Le piante a spirale parlano di un giardino curato e inquietante, in stile Alice nel paese delle meraviglie. La rosa sembra una freccia che invita il movimento e lo sguardo a dirigersi verso Maria. Il rilievo della Madonna può ricordare la lapide di una tomba. Le altre tre immagini, invece, sono spiazzanti e l’esperienza che ne fa lo sguardo è assolutamente originale: sembra si tratti di disegni trasformati in oggetti, di corpi intrappolati in una trasformazione rimasta incompleta, di messaggeri da un altro mondo, familiare ma inaccessibile (anche questa volta è l’unheimlich a dominare). Il comunicato stampa parla di “memi culturali”. Ma parla anche di “riflessione sul declino materiale inerente la produzione di massa, e l’apparentemente consequenziale perdita di significato e valore di tutte le sue forme”.

La sensazione, in effetti, è quella di trovarsi davanti a qualcosa di non-significante. I blocchi contengono immagini mute, rese incapaci di comunicare, spogliate di ogni potere narrativo. Perfino la Madonna, pezzo forte della mostra, condanna sguardo e pensiero alla sospensione. E poi c’è la natura viva, anch’essa resa anonima, stereotipata. I cespugli potrebbero essere di gomma, così come la scritta Welcome. I colori sono quelli della bandiera italiana, ma il bianco non vale qui come colore (il tono è identico a quello dei muri e del soffitto della galleria), funziona piuttosto come una trasparenza. Tutto è fermo e morto in questa mostra, che riesce a parlare di uno sguardo (collettivo) annoiato e saturo senza annoiare e saturare lo sguardo.

Ethan Cook,   'De Beauvoir Crescent’,   installation view,   T293 Rome - Courtesy of the Artist and T293,   Photos by Roberto Apa
Ethan Cook, ‘De Beauvoir Crescent’, installation view, T293 Rome – Courtesy of the Artist and T293, Photos by Roberto Apa
Ethan Cook,   De Beauvoir Crescent,   installation view,   T293 Rome- Courtesy of the Artist and T293,   Photos by Roberto Apa
Ethan Cook, De Beauvoir Crescent, installation view, T293 Rome- Courtesy of the Artist and T293, Photos by Roberto Apa
Ethan Cook,   'De Beauvoir Crescent’,   installation  view,   T293 Rome - Courtesy of the Artist and T293,   Photos by Roberto Apa
Ethan Cook, ‘De Beauvoir Crescent’, installation view, T293 Rome – Courtesy of the Artist and T293, Photos by Roberto Apa

 

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