Carlo Garaicoa
Yona Friedman
***
Secondo appuntamento all’Hangar Bicocca per Terre Vulnerabili /2, progetto di Chiara Bertola e curato da Andrea Lissoni. Finalmente si vede ‘in concreto’ quello che la prima tappa aveva solo presentato sulla carta. Il punto di forza dell’intero progetto ‘ a bassa visibilità, è quello di suggerire un diverso modo di fruire l’arte contemporanea. Questa ‘bestia nera’ ci deve toccare, coinvolgere… muoverci qualcosa o per lo meno suggerirci un diverso punto di vista della realtà. Il titolo di questa seconda fase del progetto, Interrogare ciò che ha smesso per sempre di stupirci, prende il titolo da un libro di George Perec , (L’infra-ordinario, Torino 1994, pp. 13-14).
“Ciò che dobbiamo interrogare sono i mattoni, il cemento, il vetro, le nostre maniere a tavola, i nostri utensili, i nostri strumenti, i nostri orari, i nostri ritmi. Interrogare ciò che sembra avere smesso di stupirci. Viviamo, certo, respiriamo, certo: camminiamo, apriamo porte, scendiamo scale, ci sediamo intorno a un tavolo per mangiare, ci corichiamo in un letto per dormire. […]. Fate l’inventario delle vostre tasche, della vostra borsa. Interrogatevi sulla provenienza, l’uso e il divenire di ogni oggetto che ne estraete. Esaminate i vostri cucchiaini.* Cosa c’è sotto la carta da parati?.”
Sfida ardua ‘smuoverci’…
Ma vale il tentativo e ancora di più una visita alla mostra che finalmente attua quelle ‘relazioni’ e ‘interazioni’ tra gli artisti. Le opere che c’erano della prima tappa, si trasformano, si muovono o si smontano, come l’installazione di Alice Cattaneo. L’erbetta di Ackroyd & Haervey continua ad ingiallire o crescere, l’Italia in frantumi di Arienti si sposta, le immagini di Rä di Martino si espandono fino in Tunisia; le crine di cavallo di Christiane Löhr, si innalzano fino a perdita d’occhio per forma un’invisibile colonna infinita; i vasi di Elisabetta di Maggio continuano a sciogliersi… A queste opere se ne aggiungono di nuove. Bruna Esposito ha creato un altarino (con tanto di candele e sacchi di riso per sedersi) a tutto ciò che sta nel sottosuolo, dunque una dedica alla paura morte; Remo Salvadori ha installato in una zona di passaggio una grande stella con dei blocchi di marmo che fungono anche da sedute. Kimsooja presenta una sequenza di 13 fotografie Architecture of Vulnerability, che mostrano “il cancro che lacera le viscere della spiaggia” vicino al centro nucleare du Yeong Gwang (Corea del Sud).
Una delle opere più suggestive è Wax, Relax, una grande grotta di cera che si dissolverà con il tempo. A fianco, e per tutta la lunghezza dell’Hangar i tappetini in feltro di Adele Prosdocimi, che riportano alcune frase emerse dai suoi incontri con gli altri artisti e i curatori. Alcune frasi : vorrei buttare giù le torri di Kiefer, ciascun uomo leggerà il messaggio destinato a lui, rimanere fuori dalla spettacolarità… Mi ha, invece, un pò deluso il labirinto di Yona Friedman. Speravo in qualcosa di più coinvolgente. All’interno di questa struttura in cartone, l’intenso video di Margherita Morgantin, Der Taupunkt (termine scientifico che in tedesco significa ‘punto di rugiada’. In meteorologia, indica a che temperatura deve essere l’aria per condensare in rugiada). Il video è stato girato in Namibia e, con lentissimi cambi di inquadratura, ci mostra paesaggi sconfinati e minimali e operai che eseguono rilevazioni delle radiazioni solari. C’è un altra ‘opera’ della Morgantin, una sacchetto appoggiato al muro con una scritta: ‘Vite complete’. Objet trouvé che l’artista ha trovato in casa dopo dei lavori di ristrutturazione.
Anche Nico Vascellari partecipa alla mostra con un video, Untitled (86 94 11). Le immagini caotiche ci mostrano lo scoppio di fuochi d’artificio dentro ad un edificio distrutto durante la guerra. Interessante in quest’opera scoprire che la parte sonora è eseguita da Tiberio, un vecchietto conterraneo di Vascellari, scoperto dall’artista in televisione durante la Corrida di Corrado. Tiberio simula lo scoppio dei fuochi d’artificio con il suono della sua voce. L’opera fonde la tipica estetica graffiante dell’artista con temi come la memoria, la violenza della guerra, la scoperta di come le paure ora, come in periodo di guerra (c’è da sapere che Tiberio la Seconda Guerra Mondiale se la ricorda bene), possono essere le stesse. Nell’ultima stanza la grande installazione (devo dire anche un pò macchinosa) di Carlo Garaicoa, La camera Oscura. Mi è piaciuta l’idea di ‘cancellare’ intere pagine di quotidiani internazionali con un denso nero, lasciando visibili solo dei dettagli. Per un giorno l’artista ha avuto il potere di ‘censurare’ ciò che voleva. Non mi è piaciuto però come ha risolto formalmente l’opera, con decine di cavalletti di legno.
“Ciò che dobbiamo interrogare sono i mattoni, il cemento, il vetro, le nostre maniere a tavola, i nostri utensili, i nostri strumenti, i nostri orari, i nostri ritmi. Interrogare ciò che sembra avere smesso di stupirci. Viviamo, certo, respiriamo, certo: camminiamo, apriamo porte, scendiamo scale, ci sediamo intorno a un tavolo per mangiare, ci corichiamo in un letto per dormire. […]. Fate l’inventario delle vostre tasche, della vostra borsa. Interrogatevi sulla provenienza, l’uso e il divenire di ogni oggetto che ne estraete. Esaminate i vostri cucchiaini.* Cosa c’è sotto la carta da parati?.”
Sfida ardua ‘smuoverci’…
Ma vale il tentativo e ancora di più una visita alla mostra che finalmente attua quelle ‘relazioni’ e ‘interazioni’ tra gli artisti. Le opere che c’erano della prima tappa, si trasformano, si muovono o si smontano, come l’installazione di Alice Cattaneo. L’erbetta di Ackroyd & Haervey continua ad ingiallire o crescere, l’Italia in frantumi di Arienti si sposta, le immagini di Rä di Martino si espandono fino in Tunisia; le crine di cavallo di Christiane Löhr, si innalzano fino a perdita d’occhio per forma un’invisibile colonna infinita; i vasi di Elisabetta di Maggio continuano a sciogliersi… A queste opere se ne aggiungono di nuove. Bruna Esposito ha creato un altarino (con tanto di candele e sacchi di riso per sedersi) a tutto ciò che sta nel sottosuolo, dunque una dedica alla paura morte; Remo Salvadori ha installato in una zona di passaggio una grande stella con dei blocchi di marmo che fungono anche da sedute. Kimsooja presenta una sequenza di 13 fotografie Architecture of Vulnerability, che mostrano “il cancro che lacera le viscere della spiaggia” vicino al centro nucleare du Yeong Gwang (Corea del Sud).
Una delle opere più suggestive è Wax, Relax, una grande grotta di cera che si dissolverà con il tempo. A fianco, e per tutta la lunghezza dell’Hangar i tappetini in feltro di Adele Prosdocimi, che riportano alcune frase emerse dai suoi incontri con gli altri artisti e i curatori. Alcune frasi : vorrei buttare giù le torri di Kiefer, ciascun uomo leggerà il messaggio destinato a lui, rimanere fuori dalla spettacolarità… Mi ha, invece, un pò deluso il labirinto di Yona Friedman. Speravo in qualcosa di più coinvolgente. All’interno di questa struttura in cartone, l’intenso video di Margherita Morgantin, Der Taupunkt (termine scientifico che in tedesco significa ‘punto di rugiada’. In meteorologia, indica a che temperatura deve essere l’aria per condensare in rugiada). Il video è stato girato in Namibia e, con lentissimi cambi di inquadratura, ci mostra paesaggi sconfinati e minimali e operai che eseguono rilevazioni delle radiazioni solari. C’è un altra ‘opera’ della Morgantin, una sacchetto appoggiato al muro con una scritta: ‘Vite complete’. Objet trouvé che l’artista ha trovato in casa dopo dei lavori di ristrutturazione.
Anche Nico Vascellari partecipa alla mostra con un video, Untitled (86 94 11). Le immagini caotiche ci mostrano lo scoppio di fuochi d’artificio dentro ad un edificio distrutto durante la guerra. Interessante in quest’opera scoprire che la parte sonora è eseguita da Tiberio, un vecchietto conterraneo di Vascellari, scoperto dall’artista in televisione durante la Corrida di Corrado. Tiberio simula lo scoppio dei fuochi d’artificio con il suono della sua voce. L’opera fonde la tipica estetica graffiante dell’artista con temi come la memoria, la violenza della guerra, la scoperta di come le paure ora, come in periodo di guerra (c’è da sapere che Tiberio la Seconda Guerra Mondiale se la ricorda bene), possono essere le stesse. Nell’ultima stanza la grande installazione (devo dire anche un pò macchinosa) di Carlo Garaicoa, La camera Oscura. Mi è piaciuta l’idea di ‘cancellare’ intere pagine di quotidiani internazionali con un denso nero, lasciando visibili solo dei dettagli. Per un giorno l’artista ha avuto il potere di ‘censurare’ ciò che voleva. Non mi è piaciuto però come ha risolto formalmente l’opera, con decine di cavalletti di legno.