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“Il titolo associato al mio nome mi piace. Una terza persona singolare femminile: “La Caduta”. Penso ad un corpo che cade, nello specifico quello di una donna: la caduta. Uno svenimento, un corpo che scivola, che è caduto.” Sono due le immagini che introducono la bella mostra di Enrico David – Enrico « La Caduta » David – ospitata alla Collezione Maramotti di Reggio Emilia: un corpo femminile caduto e quello invece capovolto di un’anziana donna dagli occhi pesanti, grevi, attratti al suolo da una forza che solo banalmente può essere la forza di gravità.
Questa seconda immagine è quella che apre la mostra, la fotografia di un frame del film di Pierpaolo Pasolini “Il Vangelo Secondo Matteo”. Racconta l’artista: “Uno dei motivi per cui ho scelto questo film, è per una questione di sguardi. Mi ha sempre attratto il silenzio negli sguardi dei personaggi di Pasolini. Mi interessava trasformare o trasportare lo sguardo nella scultura. Mi interessa dare alla scultura un volto, uno sguardo. E’ difficile trovare l’idea di un’espressione di un volto in un oggetto. La mostra, frutto di questa ricerca, è fatta soprattutto di volti. Guardando il film di Pasolini, ho iniziato a scattare delle foto delle inquadrature che mostravano dei volti. Oltre agli sguardi, mi sono concentrato anche nelle bocche, mi interessavano gli sguardi e le bocche, la struttura dei denti. Bacon diceva che non era mai riuscito a dipingere qualcosa che rappresentasse la qualità agghiacciante di una bocca, di questo orifizio misterioso. Per lui rappresentare una “bella” bocca era un miraggio a cui ha aspirato in tutta la sua vita. Ci ha provato tante volte, i denti, le labbra…”
Ciò che colpisce, parlando con l’artista, è la sua capacità di rendere le sue sculture non tanto animate, ma provviste di un’ “anima”. Ne parla come se la materia di cui sono fatte, composte, formate, fosse dotata di sensibilità, di senso. “La scultura è al buio. La scultura non sa cosa fare, come farlo, come farsi. La triangolazione soggetto-forma-materiale implica dei responsi tattili, narrativi, lineari.” Spiega David in conversazione con Jonathan Miles (testo pubblicato nel catalogo della mostra alla Collezione Maramotti – Silvana Editoriale).
Nella scultura “Gradazioni di un Lento Rilascio”, colpisce il volto contratto in un ghigno (ma potrebbe anche essere un urlo), di una donna attempata dai tratti rafforzati da un segno a matita. Il volto è capovolto, gli occhi spiritati, la nuca coperta da una stretta cuffia che incornicia il viso, un piccola mano… il resto è una spirale che si perde nello spazio, come un vortice di materiali uniti assieme da una forza centripeta: legno, rame, gesmonite, carta e pigmenti. L’artista mi spiega che ha deciso di utilizzare la gesmonite in quanto è un materiale estremamente duro e molto più resistente del gesso. E’ pietroso e ha delle proprietà di finitura molto alta, il che consente di curare anche in piccolissimi dettagli la materia. “Considero la bocca, un foro, un buco che collega il dentro al fuori, penso anche al vocale, all’orale. Non mi interessano tanto le metafore o le infinite visioni metaforiche che può avere la bocca, questo elemento mi ha da sempre affascinato e ora volevo applicarla alla scultura, o alla forma di oggetto. Formalmente, mi sono concentrato sulla creazione di un orificio con la materia, con la cera. Tutto dunque è iniziato attorno all’idea di fare una ‘bocca’. Ho anche voluto fare un omaggio a tutte quelle sculture e dipinti che hanno messo la testa sottosopra. In merito a “Gradazioni di un Lento Rilascio” – ma penso anche all’invito della stessa mostra – ho deciso di ribaltare il corpo e con esso il volto. Lo considero un corpo prosciugato, seccato. Sono partito dal volto e poi ho sviluppato il corpo, immaginandomi per gradi che tipo di massa corporea poteva avere. Che tipo di spazio corporeo potesse occupare. Invece di fare un corpo che fosse proporzionale alla testa, ho deciso di fare un corpo allungato, come fosse un elastico, distrutto dunque ma anche presentato, dilatato.”
Dominante nella grande sala, “Gradazioni di un Lento Rilascio” è stata realizzata con dei blocchi di materiale di isolamento, schiuma poliuretanica che poi David ho formato e tagliato. “E’ un’operazione molto elaborata che mi ha richiesto moltissimo tempo. Volevo come risultato la combinazione tra il generato organicamente e qualcosa che è controllato dalla mano in modo molto perfetto. Volevo raggiungere una sorta di equilibrio tra queste due ‘forze’.”
Nell’esile scultura “Fermento di Riserva”, una piccola testolina con un accenno di spalle, si alza da un’alta canna di bambù conficcata nel pavimento. Sembra di ferro o bronzo, invece è composta da resina colorata. I tratti del viso sono abbozzati. L’impressione che si ha di fronte a questa asta umanizzata è quella di fissare un’arma a riposo, una lancia d’altri tempi. “C’è qualcosa di rovinoso in questa scultura. E’ ambigua nell’intenzione tra la sua benevolenza e malevolenza. Non lo so bene esattamente.” Queste anche le impressioni dell’artista.
Che presagio c’è in quest’opera? Chiedo a proposito del grande dipinto che domina lo spazio dal titolo “Presagio”. Alto quasi 3 metri, uno sfondo di rosa pallido ospita un volto in trasformazione: lo sguardo è deviato verso tre direzioni grazie ad un innesto che trapassa o si sostituisce il corpo. “L’ho intitolato ‘Presagio’ perché la presenza dipinta aveva l’aspetto di qualcuno che vede, mi sembrava una chiaroveggente. Ho avuto la sensazione che questo volto, in particolare lo sguardo, possedesse la capacità di vedere e intuire delle cose che a noi è impossibile capire, afferrare. La stranezza di uno sguardo diventa un tramite. Penso ai veggenti o chiaroveggenti, alla strana anomalia che posseggono come chiave di comprensione per qualcosa che non conosciamo. Questo disegno – originariamente era un disegno, non nasce come dipinto – lo possiamo vedere come una sorta di portale verso qualcosa che è sconosciuto e con cui dobbiamo familiarizzare. Familiarizzare con l’incomprensibile è un tema che mi interessa molto perché penso che stabilire i parametri di ciò che funziona o non funziona è sempre molto complicato. Abbiamo una relazione molto difficile con l’incomprensibile. (…) Il problema della nostra società è che l’incomprensibile è difficile da consumare e quindi, essendo diventati così professionisti nel consumo, abbiamo una relazione molto difficile con quello che non capiamo. Per questo motivo, nell’arte contemporanea, le persone pretendono che molte cose vengano spiegate, raccontate e chiarite. L’istinto che le persone hanno è quello di capire; la comprensione è consolatoria. Il mistero è sinonimo di abisso, ignoto e spaventa. La maggior parte delle persone hanno un rapporto conflittuale con l’incomprensibile.”
“Apparato Prodigioso” è un disegno realizzato con rame, acciaio, resina, pigmenti, carta e grafite. Il suo aspetto è quello di un piano intrecciato le cui trame e ordito si trasformano in sostegno tentacolare. Decine di fragili gambette sostengono un esile corpo che si intreccia alla stessa materia che lo costituisce. Un corpo-organo che conserva un volto coronato da un fitto intrico di coralli. “Lo considero un disegno che a tutti i costi vuole diventare una forma che si auto-sostiene. Lo sviluppo che dal disegno (forma finita e chiusa in se stessa) porta a qualcos’altro è un percorso che mi intrattiene e mi affascina infinitamente. Penso che la mia vita sia fatta di questo: capire come esiste un disegno, che forma diventa o vuole diventare. Se guardo le mie sculture, vedo dei disegni che si sviluppano nello spazio.”