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Bring me the sunset in a cup | Elisa Montessori, Monitor, Roma

[nemus_slider id=”62505″] Fino al 28 gennaio, la galleria Monitor ospita la mostra personale di Elisa Montessori, Ogni cosa è un’altra. Come racconta l’artista, nata a Genova nel 1931, la sua ricerca si è sviluppata sempre all’insegna non tanto di una soluzione, ma del suo contrario, di una messa in dubbio, di una perpetua “accumulazione e […]

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Fino al 28 gennaio, la galleria Monitor ospita la mostra personale di Elisa Montessori, Ogni cosa è un’altra. Come racconta l’artista, nata a Genova nel 1931, la sua ricerca si è sviluppata sempre all’insegna non tanto di una soluzione, ma del suo contrario, di una messa in dubbio, di una perpetua “accumulazione e sottrazione”. Lirica, sia nelle sue opere, che nel raccontare il contesto concettuale in cui nascono, l’artista ci rivela la gestazione che sta alla base della sua ricerca; rivela la convinzione che l’imperfezione “sia sempre fruttifera”, svela le sue predilezioni per determinate tecniche, confida che “lavorare per me è il desiderio di eliminare”. Profonda, intensa e, a suo modo, semplice, Elisa Montessori ribadisce, a parole, ma soprattutto con il suo lavoro l’interesse per il “mescolarsi delle culture, lontane e vicine, esperienza individuale di tradizioni diverse, similitudini inattese”. Ancora, dunque, circolarità e trasformazione.

ATP: La sua ricerca sembra svilupparsi dalla dicotomia di accumulazione e sottrazione. Nella sua lunga ricerca, come ha risolto o approfondito l’opposizione tra queste due azione?

Elisa Montessori: Per dicotomia s’intende generalmente una divisione di due parti, di un concetto in due concetti contrari. Preferisco il termine sotto un aspetto botanico, cioè la biforcazione di un fusto in cui la gemma apicale si divide in due e leggo ancora che in astronomia è l’aspetto della luna quando è illuminata per metà esatta. Mi piace pensare che nel mio lavoro e quindi nella mia vita, non ho mai risolto nulla e che l’accumulazione e la sottrazione sono parti di un unico pensiero.

ATP: L’indagine segnica che ha compiuto in tanti anni di lavoro ha come derivazione la natura. Mi può raccontare la base questa indagine? Cosa la attrae maggiormente del mondo naturale? La crescita spontanea, la perfezione intrinseca e inconsapevole.. o cos’altro?

EM: Ricordo una frase di Maurice Merleau-Ponty: “Niente è più difficile che sapere esattamente cosa vediamo”. Per questo l’indagine segnica sulla natura è sempre per me una traduzione e una memoria. Traduzione perché anche riportando sulla carta il disegno di una foglia, o altrimenti portando la foglia sulla carta, traduco in segno il significante nella memoria che ho depositata nel mio tempo.

Elisa Montessori,   Ogni cosa e? un'altra,   2016,   installation view at Monitor,   Rome - Courtesy Monitor,   Roma
Elisa Montessori, Ogni cosa e? un’altra, 2016, installation view at Monitor, Rome – Courtesy Monitor, Roma

ATP: Come scrive Ilaria Gianni nell’approfondito testo che accompagna la mostra: “Elisa Montessori e? interessata all’imperfezione, al casuale, all’irregolarita?, alle sorprese e ai rischi. Ogni sua opera cela l’imprevedibile, racchiude un segreto.” Mi interessa il suo rapporto con l’accidentale, con gli aspetti imprevedibili che dominano spesso il gesto dell’artista. Che relazione ha con il caso?

EM: Non ho mai cercato la perfezione, anzi sono convinta che l’imperfezione sia sempre fruttifera. Lo sbaglio, il fallimento quotidiano provoca sia frustrazione che accanimento continuo e lavoro esasperato: rischio su sentieri sconosciuti, smarrimenti e vertigini. Lavoro da sempre sull’ambivalenza simbolica, il vortice come caduta e rinascita, gli oggetti casalinghi come ciò che rinasce e che si usa (la tazza, i pennelli, le matite, contenente e contenuto). Mi viene in aiuto l’inizio di una poesia di Emily Dickinson che recita “Bring me the sunset in a cup” (Portatemi il tramonto in una tazza). Lontano dal naturalismo, nel visibile, la possibilità della magia “che è un modo di rendere problematica la bellezza” (Nadia Campana).
Prediligo alcune tecniche. Tra queste il monotipo, che è un disegno in negativo, matrice che non può prevedere l’esattezza, il caso che interferisce nella geometria del supporto. L’acquarello che si affida alla porosità della carta e all’espansione dell’acqua. Il pastello nelle sue sfumature. I colori della ceramica che nel calore del forno ad alta temperatura cambiano di registro. Insomma l’accidentale provoca l’imprevisto sempre accettato e usato.

ATP: Che effetto le fa riguardare, con occhi decisamente nuovi, delle opere risalenti a quarant’anni fa? Penso, ad esempio, a “Tropismi” del 1975. Quest’opera è rimasta immutata nel tempo o ha conservato l’immagine condensata molti anni prima?

EM: Il rivedere opere datate – le prime sono del ’48 – rappresenta uno specchio che non rimanda la mia immagine da giovane, ma piuttosto la continua domanda e il desiderio di sempre, cercando nuove strade che riconduco alle solite tematiche. Opere apparentemente slegate che rimandano a una richiesta di fondamenti formali: lavorare per me è il desiderio di eliminare. E per finire: “Estraneo alla bellezza non può essere nessuno, perché la bellezza è l’infinito e il potere di essere finiti cessò prima che l’identità fosse concessa naturalmente” Emily Dickinson.

ATP: Mi racconta il legame tra le sue opere e le influenze letterarie? C’è una relazione prossima tra alcune sue ricerche visive e testi che l’hanno particolarmente suggestionata?
In alcune opere sono evidenti le suggestioni segniche più prossime all’arte orientale. Ci sono delle fonti dell’arte orientale da cui ha tratto ispirazione?

EM: Il mio interesse è sul mescolarsi delle culture, lontane e vicine, esperienza individuale di tradizioni diverse, similitudini inattese (il bordo delle vesti nelle incisioni cinesi e quello delle nuvole di Botticelli). Oggi le mappe geografiche cambiano continuamente, mari e deserti che le attraversano e se pensiamo all’occidente e all’oriente, andiamo indietro nel tempo in tradizioni antiche. Il pennello cinese che nel ritmo del tempo scandiva il segno è un lontano ricordo, come la nostra calligrafia. Per questa e contro questa omologazione, scrivo sempre a mano tutte le poesie con le quali, aggiungendo i miei disegni, ho letto i miei libri. Vorrei costringere il lettore a “leggere e non a guardare” e il libro ti vede. L’esercizio quotidiano e onnivoro della lettura è stato ed è un legame tra opera e poesia. Ho nel mio studio più di cento libri che testimoniano questo mio amore, una fedeltà necessaria e vitale.”

Elisa Montessori testo di Ilaria Gianni

Elisa Montessori,   Tropismi,   1977,   collage on white gauze and cardboard,   installation view at Monitor,   Rome
Elisa Montessori, Tropismi, 1977, collage on white gauze and cardboard, installation view at Monitor, Rome
Elisa Montessori,   Paesaggi trasparenti,   1977,   cellophane,   black marker,   plastic box,   18,  5 x 12,  5 x 11 cm - Courtesy Monitor,   Roma
Elisa Montessori, Paesaggi trasparenti, 1977, cellophane, black marker, plastic box, 18, 5 x 12, 5 x 11 cm – Courtesy Monitor, Roma