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ED ATKINS | Il monaco dell’era digitale — Castello di Rivoli

[nemus_slider id=”60145″] Il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, in collaborazione con la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, ha inaugurato la personale dell’artista inglese Ed Atkins. La mostra si articola negli spazi delle due istituzioni in maniera complementare: al Castello di...

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Il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, in collaborazione con la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, ha inaugurato la personale dell’artista inglese Ed Atkins.
La mostra si articola negli spazi delle due istituzioni in maniera complementare: al Castello di Rivoli, infatti, è presente una selezione di opere che raccontano la complessità del lavoro di un artista che investiga quello che è il rapporto odierno tra corpo e tecnologia. E lo fa attraverso tutti gli strumenti che caratterizzano la sua pratica: l’animazione, la performance, la scrittura, la musica, tutti elementi che invadono le cinque sale del sottotetto del Castello. L’intero edificio viene visto da Atkins come un corpo-museo, in cui tutto ha inizio nel cervello sognante di Rivoli, ovvero l’ultimo piano che per la propria posizione riveste il ruolo del subconscio. La ricerca dell’artista si espande fino ad arrivare al pian terreno, nella biblioteca, dove Ed Atkins condivide una selezione di libri a lui cari, che sono anche le sue fonti, aggiungendoli all’archivio e rendendoli consultabili da parte del pubblico.
La mostra si completa negli spazi della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo dove è presente l’opera più recente di Atkins, Safe Conduct (2016), un’installazione video a tre canali, che racconta, secondo la visione grottesca dell’artista, ciò che significhi oggi passare attraverso i controlli di un aeroporto. Presso la Fondazione sono presenti anche dei lavori grafici aventi come soggetto parti del corpo che l’artista raffigura creando forme composte e astratte.
Carolyn Christov-Bakargiev, nel curare la mostra, ha definito l’artista “un monaco dell’era digitale, che salvaguarda alcune storie e traiettorie intellettuali che hanno a che vedere con la libertà che si può avere rispetto alla tecnologia dominante del momento in cui si vive”.
La mostra, visitabile fino al 29 gennaio 2017, è a cura di di Christov-Bakargiev, con le due curatrici Marianna Vecellio, per il Castello di Rivoli, e Irene Calderoni, per la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo; queste ultime hanno risposto ad alcune domande.

Di seguito la prima delle due interviste a Marianna Vecellio, curatrice presso Castello di Rivoli. Nei prossimi giorni pubblicheremo la seconda intervista a Irene Calderoni.

Giovanna Repetto: Qual è la peculiarità di questo artista, che cosa buca lo schermo al punto da determinare la vostra scelta di portarlo al Castello di Rivoli dedicandogli una mostra così articolata e importante?

Marianna Vecellio: Secondo noi, nel panorama attuale, la relazione di Ed Atkins con il mezzo digitale, osservato anche da molti altri artisti contemporanei tra cui Helen Marten, Jon Rafman, Ian Cheng, è una delle più interessanti.
Il suo approccio è molto sofisticato e intellettuale, egli compie un’indagine stratificatissima: a partire da un’analisi di molti degli aspetti che compongono questo mezzo, offre una riflessione che rivela la fallimentarietà stessa dell’operazione digitale. A partire dall’analisi dell’alta definizione, e tramite gli elementi costruttivi del video, Atkins si chiede se sia possibile riappropriarci di una soggettività portandoci a riflettere su come oggi viviamo l’esperienza.

GR: Un’esplorazione del digitale come tecnica ma anche come elemento a lui contemporaneo e, in un certo senso, inevitabile: è infatti un rapporto duplice, in cui Atkins e il digitale dialogano a tutto tondo..

MV: Ed Atkins compie una riflessione da dentro il mezzo digitale. Quando ho iniziato a lavorare su Atkins facevo un errore, e cioé osservavo la realtà presente nei suoi video dall’esterno.. Mi ponevo di fronte. Lui, al contrario, nato nel 1982, non distingue nella realtà il contributo della tecnologia, il suo lavoro infatti non è una critica al digitale; egli compie una riflessione esistenziale mettendo in scena l’ambivalenza di cosa significhi vivere oggi in una realtà già ampiamente ibridata.
Una metafora che lui usa per parlare dei suoi surrogati è fossile estatico. Mi fa venire in mente un corpo che è ridotto a traccia, prosciugato della sua essenza vitale di cui rimane solo il calco. La cosa interessante però è che questo fossile ha ancora desiderio di rimanere incantato.
I suoi video raccontano questa esperienza: narrano la realtà, della quale ci dà prove continue di esistenza vera, mostrandoci l’acqua, la polvere, le tracce sottili che si vanno a depositare sulla superficie della cinepresa (falsa!); ci mostra uomini, dai capelli sinuosi, che cantano in cerca di empatia o recitano poesie maledettamente malinconiche, per poi ricordarci che in quanto ibride queste alterità non sono in grado di provare tutto quello che ci hanno appena detto che sentono.
La complessità del suo racconto parte anche dal fatto che mette in discussione l’immaterialità stessa del digitale ricordandoci che esso è fisico, ci ricorda che dietro al digitale c’è il lavoro, c’è l’elettricità, e ci sono le persone. Noi pensiamo che sia immateriale, ma in realtà è molto materiale. Quindi cresce questa ambivalenza e questa dicotomia tra reale e virtuale diventa più complicata.

GR: Per quanto riguarda il suo rapporto con il pubblico, nella quasi maniacale cura per la creazione dell’opera è chiaro come sia attento al punto di vista dell’osservatore..

MV: I suoi surrogati sono identità ibridate con la tecnologia, e sono come dice Atkins stesso “pateticamente e dolorosamente compiacenti”: sono disperati e patetici. E lui sa che questi personaggi ammaliano il pubblico, perché creano empatia.
I suoi personaggi infatti guardano il pubblico, c’è sempre il contatto visivo: da qui l’interesse per la ricerca dell’empatia, la costruzione della relazione con l’altro per arrivare poi a riconoscere te stesso e infine a ricostruire la soggettività.

Ed Atkins,   Ribbons (Nastri),   2014 video HD a tre canali 4:3 in 16:9,   sonoro surround a tre canali 4.1,   13’19’’ Collezione Marco Rossi,   Torino Courtesy l’artista e Isabella Bortolozzi Galerie,   Berlino
Ed Atkins, Ribbons (Nastri), 2014 video HD a tre canali 4:3 in 16:9, sonoro surround a tre canali 4.1, 13’19’’ Collezione Marco Rossi, Torino Courtesy l’artista e Isabella Bortolozzi Galerie, Berlino

GR: A questo punto, com’è nata l’idea dell’installazione e come si è rapportato con lo spazio?

MV: Per il museo, Atkins ha pensato un’installazione immersiva; ha immaginato il museo una sorta di corpo, sormontato dalla sua testa: lo spazio espositivo del terzo piano, abitato dai personaggi dei suoi video che sono gli incubi consci e inconsci.
Ha lavorato su un’idea di ambiente totale, senza i soffitti alle sale espositive, in modo da liberare la visione delle travi e del camino, concepito come una colonna vertebrale del corpo del museo. Senza soffitti l’audio si mescola, lo spazio diventa un’esperienza unica, sonora, visiva ed esperienziale. L’audio di mescola, e così anche i bagliori emanati dalle superfici si propagano sul soffitto: si crea una sorta di unica installazione, che abbiamo definito olistica, immersiva, costruita su una cacofonia sonora.

GR: Ci racconti del suo rapporto con la scrittura nei suoi lavori?

MV: La scrittura è un aspetto molto importante del suo lavoro. Atkins scrive moltissimo e soprattutto usa differenti forme linguistiche: nel catalogo abbiamo diviso l’ampio corpo in sceneggiature, testi in prosa e testi critici. Atkins però non scrive solo o usa solamente la propria di narrativa: egli legge e cita moltissimo altri autori. Ad esempio Gilbert Sorrentino di cui recita The morning roundup, che apre il catalogo ed è presente in Warm, Warm, Warm Spring Mouths: un testo meraviglioso che riporta di nuovo l’attenzione al tema della fragilità.
Si avvale infatti anche della scrittura di altri, citandoli o utilizzandone i riferimenti teorici, come nel caso di Judith Butler o Leo Bersani. Invita spesso a scrivere sul suo lavoro critici presi in prestito dalla letteratura, dalle discipline letterarie; gli interessa una visione colta, e portare una parte del progetto in biblioteca aveva totalmente senso nel suo caso: in chiusura del catalogo infatti è presente una reading list di libri suggeriti dall’artista che compongono la sua visione letteraria. In questa lista che riprende lo stile dei suoi video, tramite tagli, salti di contenuto, etc., c’è un po’ di tutto, c’è filosofia, letteratura, c’è Roberto Bolano, c’è Daumal, ma c’è anche il libro su come smettere di fumare.
A partire da questa mostra abbiamo tra l’altro deciso di creare in biblioteca una sezione che si chiama Biblioteca d’artista, accoppiata ai cataloghi, che accrescerà il lavoro dell’artista tramite una prospettiva diversa, letteraria.

GR: A proposito di catalogo, quello su Atkins è il primo? Come avete coniugato la sua rapida crescita con la molteplicità di tecniche e linguaggi utilizzati dall’artista?

MV: No, non è il primo catalogo, è in realtà il secondo. Ma è il primo che raccoglie la cronologia completa dell’artista, la sua storia dalla nascita ad oggi: abbiamo deciso di tracciare il 2009 come anno d’inizio della vita consapevole d’artista: anno in cui Atkins si diploma alla Slade School of Fine Arts e in cui gli viene a mancare il padre. Un momento di svolta che fisserà dei punti di contenuto nel suo lavoro. Da quell’anno in poi abbiamo raccontato la sua storia che si sviluppa come un’immersione in una frammentarietà di esperienze: l’intangibilità è rappresentata dall’idea di frammentarietà, da un corpo che si compone e scompone ciclicamente, riconducibile a noi stessi, virtuali e reali. Questa frammentarietà si mostra attraverso il suo approccio artistico che si palesa in mostre personali, collettive, in progetti in rete, la cui presenza è molto forte come per i testi scritti.
Anche le pratiche artistiche che adotta sono infatti differenziate: usa la performance, usa la scrittura, il suono, il video, la grafica, il disegno.
Fa tutto personalmente, sebbene spesso lavori con altre persone: cura progetti con altri artisti, scrive testi per altri artisti, testi critici; condivide molto, e questa idea di frammentarietà ritorna in questo approccio, che è raccolto nel catalogo.

GR: Nell’installazione presso il Castello una componente molto forte è quella della musica, del suono e della voce dell’artista..

MV: Come per la scrittura direi che il suono è affrontato in vari modi: la musica è mutuata da diversi generi, come la classica de La passione secondo Matteo di Bach, o una canzone di Randy Newman molto pop, melodica, romantica, o ancora si incontra il Bolero di Ravel; poi è presente il suono, che lui usa in modo batetico, da quel bathos parola coniata da Alexander Pope nel 1700 come alterazione di patetico: praticamente un qualcosa di patetico che scivola nel ridicolo; ed ecco quindi scene interrotte da suoni grotteschi, suoni del corpo o degli apparati tecnologici, e tutto avviene insieme alla sua voce che spesso è la protagonista. Serve di nuovo anche qui a spezzare, a rompere questo equilibrio per evitare l’immedesimazione: lui vuole che il pubblico rimanga nella consapevolezza di chi è.

Ed Atkins,   Castello di Rivoli 2016 - Installation view - Foto Andrea Guermani
Ed Atkins, Castello di Rivoli 2016 – Installation view – Foto Andrea Guermani
Ed Atkins,   Warm,   Warm,   Warm Spring Mouths (Calde,   calde,   calde sorgenti),   2013 video HD,   sonoro surround 5.1,   12’51’’ Courtesy l’artista,   Cabinet,   Londra e Isabella Bortolozzi Galerie,   Berlino
Ed Atkins, Warm, Warm, Warm Spring Mouths (Calde, calde, calde sorgenti), 2013 video HD, sonoro surround 5.1, 12’51’’ Courtesy l’artista, Cabinet, Londra e Isabella Bortolozzi Galerie, Berlino