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EARTHRISE – Intervista con Marco Scotini PAV, Torino

[nemus_slider id=”49408″] — Venerdì 6 Novembre alle 17, 30al PAV di Torino inaugura EARTHRISE, mostra collettiva a cura di Marco Scotini, con opere di Gianfranco Baruchello, Piero Gilardi, 9999 e Ugo La Pietra. L’idea alla base della serie di mostre realizzate da Scotini nell’ultimo anno per il Parco di Arte Vivente, a partire da Vegetation […]

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Venerdì 6 Novembre alle 17, 30al PAV di Torino inaugura EARTHRISE, mostra collettiva a cura di Marco Scotini, con opere di Gianfranco Baruchello, Piero Gilardi, 9999 e Ugo La Pietra.

L’idea alla base della serie di mostre realizzate da Scotini nell’ultimo anno per il Parco di Arte Vivente, a partire da Vegetation as a Political Agent, passando da Grow It Yourself fino ad Earthrise, è di scandagliare tutti i rapporti esistenti tra il piano ecologico e quello della produzione artistica declinata in senso politico e sociale. In Vegetation il curatore, attraverso una panoramica molto ampia, che andava dal colonialismo fino ai giorni nostri, ha affrontato un’analisi dei rapporti di produzione nei quali era coinvolto l’ambito naturale, con l’obiettivo di far emergere la valenza politica e sociale della vegetazione, comunemente (ed erroneamente) ritenuta spontanea e avulsa dall’azione dell’uomo. In Grow It Yourself l’argomento è lo stesso della mostra precedente, ma indagava a livello internazionale recenti esperimenti in cui la produzione agricola fa da connessione tra pratiche artistiche e attività sociali. Earthrise si concentra invece su un insieme di ricerche pionieristiche portate avanti dalle avanguardie storiche italiane tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70.

Abbiamo fatto alcune domande a Marco Scotini.

ATP: In questa mostra raccogli una serie di opere e progetti realizzati nello stesso periodo in cui nasceva l’Arte Povera, e che in un certo senso si distanziano dalla posizione poetica e “metafisica”, quasi distaccata, che questo movimento ha avuto nei confronti della natura. Potresti introdurci alla mostra partendo proprio da questo aspetto, che a mio avviso è centrale?  

Marco Scotini: Il titolo della mostra al PAV, Earthrise, fa un po’ volutamente il verso agli Earth Works della fine dei Sessanta e inizio Settanta proprio perché se ne vuole distaccare. Gli Earth Works americani o inglesi sono sempre associati all’Arte Povera e c’è forse una precisa dimensione cosmologica che li unisce, una sorta di sublime naturale o di neoromanticismo che non è stato mai smentito nel corso degli anni. La natura o i materiali naturali sono sì utilizzati direttamente come mezzi fisici primari dell’opera, ma sempre in opposizione dialettica all’artificio, alla tecnologia, alla cultura in senso più generale. La sovraesposizione – in queste opere – di carbone, pietre, fascine di legna, grasso animale così come d’acqua, sabbia o piombo è sempre il simbolo di forze cosmiche, tensioni energetiche, espansione vitale. Le opere e gli artisti che, al contrario, ho inserito in Earthrise si confrontano con una natura socializzata, mai intesa in senso idealistico o come qualcosa d’incontaminato da rivendicare. Mi è sembrato molto interessante rintracciare in Italia un senso di natura alternativo a quello egemonico poverista emerso negli stessi anni e che avesse posto l’ambiente piuttosto all’interno di un discorso economico, politico-sociale, pre-ecologista in sostanza. Se la natura diventa un mito immemore, un fuori distante o uno spazio perduto da celebrare, ecco che, come tale, non dà nessun fastidio alle forme della produzione e all’accaparramento delle risorse. In questo senso solo un certo Beuys in panciotto da giardiniere, nonostante tutte le ambiguità della sua morale, mi pare più vicino a questo discorso.

ATP: Questo tema si rispecchia anche nelle tue scelte di allestimento. Prima di accedere alla mostra ci troviamo di fronte ad una gigantografia di Earthrise, la prima foto della Terra vista dalla Luna. Nella parte bassa si vede ancora una porzione del suolo lunare, ed entrando nello spazio espositivo è come se idealmente ci stessimo avvicinando alla Terra, ed è proprio quello che poi i lavori in mostra propongono di fare. Avvicinarci sia alla Terra che alla terra, lasciandoci per un attimo alle spalle questo mondo delle idee. In che modo è nata questa particolare scelta di iniziare la mostra in questo modo?

MS: L’immagine all’inizio del percorso espositivo è la celebre foto scattata da William Anders il 24 dicembre 1968, nota come “Earthrise” appunto, da cui la mostra prende il titolo. La foto diventa una sorta di soglia, un diaframma fra il prima e il dopo la conquista dello spazio. È come se in questo passaggio si consumasse un rovesciamento di prospettiva in rapporto alla Terra, che è ancora incompiuto e in attesa di essere sviluppato. I motivi per partire da questa prima visione della Terra dalla Luna erano vari e tutti convergenti. Il progetto “Apollo” del gruppo radicale fiorentino 9999 vede la Luna come l’arca su cui conservare i modelli della vita terrestre (tra cui un giardino rinascimentale) mentre la Terra si stava autodistruggendo. Inoltre una frase di Baruchello dell’83 recitava: “L’dea che faremo meglio a tornare alla terra intesa come risposta polemica all’esplorazione spaziale è l’idea di base dalla quale sono partito per questa avventura chiamata Agricola Cornelia”. Dunque è  la Terra a divenire a quella data l’oggetto di una nuova consapevolezza antropologica e responsabilità sociale: quella della limitatezza e finitudine del pianeta. Ma non si tratta di ritornare a mitiche e impossibili condizioni originarie, tantomeno di sbarazzarsi della tecnologia avanzata, il cui uso politico comincia ad apparire la vera posta in gioco di ogni futuro possibile. È lo stesso Gilardi a ricordare di fronte al suo primo Tappeto-Natura in gommapiuma, un greto sassoso di un torrente cosparso di rifiuti, “Sentii allora l’impulso immaginifico a ricreare quel frammento di paesaggio inquinato nel mio studio, ma completamente ripulito e organico”.

ATP: Questo movimento di “avvicinamento” alla terra è come se si sviluppasse in maniera graduale nel percorso di mostra attraverso le opere, partendo dal Progetto Apollo e terminando idealmente con l’Agricola Cornelia di Baruchello. Nella concezione di questo percorso, quali aspetti delle opere ti premeva maggiormente mettere in luce?

MS: Quello che mi interessa sono le condizioni d’intervento possibili all’interno di questo nuovo ‘ethos della finitudine’, come lo chiama Gilardi. Dunque le attività agricole, di allevamento e raccolta all’interno dell’Agricola Cornelia S.p.A. di Baruchello. Oppure tutto il lavoro su “recupero e reinvenzione” che per lungo tempo ha portato avanti Ugo La Pietra, a partire dagli orti periferici abusivi, dal riciclo dei materiali o dai tracciamenti pedonali spontanei. C’è al lavoro tutto un modo di ripensare e la città e l’ambiente che mi sembra molto contemporaneo, in netto antagonismo alle archistar e alle loro torri per i nuovi feudatari. Se volessimo trovare dei precedenti a tutto quel processo di urban ecology contemporanea non potremo prescindere da questi pionieri. Di fatto la mostra Earthrise continua nella ricerca che abbiamo avviato al PAV di individuare una genealogia al rapporto tra pratiche artistiche ed ecosistema. Prendiamo il progetto a Detroit The Catherine Ferguson Academy, nato nell’86 oppure il Soweto Project di Marjetica Potrc, che abbiamo presentato lo scorso anno. C’è, in sostanza, tutta un’attualità che richiede una storia e che, solo con essa, diventa praticabile o concreta, uscendo dal campo dell’utopia.

ATP: Recentemente abbiamo avuto la conferma dell’effettiva presenza di acqua su Marte. Ritieni che le tematiche affrontate dalla mostra siano comunque attuali in un momento in cui si sta parlando molto di futuri viaggi nello spazio?

MS: Ti risponderò che c’è sempre un modo per distogliere la gente dai propri affari. Ce lo ha insegnato la religione, no? A noi ci piace invece riportare la gente sulla terra.

Fino al 21 Febbraio.

Piero Gilardi,   Sedilsasso,   sassi,   1968,   poliuretano espanso,   vernice Guflac,   courtesy Fondazione Centro Studi Piero Gilardi
Piero Gilardi, Sedilsasso, sassi, 1968, poliuretano espanso, vernice Guflac, courtesy Fondazione Centro Studi Piero Gilardi
9999 (G.Birelli,   C.Caldini,   F.Fiumi,   P.Galli),   Space Mondial Festival,   1971,   documentazione fotografica,   Courtesy Carlo Caldini
9999 (G.Birelli, C.Caldini, F.Fiumi, P.Galli), Space Mondial Festival, 1971, documentazione fotografica, Courtesy Carlo Caldini
Ugo Lapietra,   Recupero e reinvenzione (orti urbani),   1969,   tecnica mista e collage su carta,   Courtesy Studio Ugo La Pietra
Ugo Lapietra, Recupero e reinvenzione (orti urbani), 1969, tecnica mista e collage su carta, Courtesy Studio Ugo La Pietra