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I coniglietti di polvere di Adelisa Selimbašić | z2o Project, Roma

Il titolo particolare e forse provocatorio, Dust Bunny, letteralmente “coniglietti di polvere”, si riferisce a quegli agglomerati di polvere e cellule che si formano negli ambienti domestici.

“…sono incuriosita dal comportamento umano…e di come le altre persone interpreteranno questo comportamento…” (Adelisa Selimbašić)

Gli spazi di z2oProject di Sara Zanin ospitano la prima mostra personale di Adelisa Selimbašić (1996) a Roma, frutto del periodo di residenza dell’artista italo-bosniaca nello Spazio Project.
Il titolo particolare e forse provocatorio, Dust Bunny, letteralmente “coniglietti di polvere”, si riferisce a quegli agglomerati di polvere e cellule che si formano negli ambienti domestici. Comunemente considerati materiale da eliminare, qualcosa da rimuovere ma che, seguendo il pensiero di Donna Harraway, sono anche residui di vita, risultato di connessioni tra organico e inorganico, testimoni silenziosi del nostro agire quotidiano. 
Da questo singolare punto di partenza, si muove la ricerca dell’artista che riflette sul tema dello scarto, parla di pelle, si focalizza su parti del corpo fissate in movimenti usuali, quotidiani, apparentemente banali ma che allo stesso tempo racchiudono tracce di vissuto.
La figura femminile è rappresentata con decisione nel suo esistere, ritrae figure contemporanee, non perfette, non idealizzate, attenziona difetti che si tenderebbe a nascondere, superando le convenzioni, affermando così un pensiero proprio della generazione a cui la giovane artista appartiene. 
Attraverso un taglio fotografico e corpi quasi sempre privi di volto, Adelisa Selimbašić si concentra su gesti e movenze senza definirne il contesto spazio-temporale. Come in Estate a Roma (2024), due gambe, vicine, distese, ma il dove e il perché l’artista lo lascia dire al visitatore. 

Installation View – Adelisa Selimbašić – Dust Bunny – Curated By Michele Spinelli, 2024, z2o Sara Zanin – Foto Roberto Apa
Installation View – Adelisa Selimbašić – Dust Bunny – Curated By Michele Spinelli, 2024, z2o Sara Zanin – Foto Roberto Apa

Ogni opera rappresenta porzioni del corpo connesse tra loro, due mani che si toccano, due corpi che si abbracciano, le mani sul ventre, immagini che richiamano nella mente di chi le guarda altre immagini, altre storie. L’artista non le racconta, lasciando ad ognuno la possibilità di leggerle secondo le proprie personali connessioni. 
Spesso i suoi soggetti partono da fotografie, come Doppie punte (2024), in cui un gesto semplice e intimo come intrecciare i capelli, suggerisce un legame tra le fanciulle, un intreccio di amicizia, di esperienze vissute, avvolto da un velo di malinconia.
Originale e suggestivo il paravento (Dust Bunny, 2024), dipinto da entrambi i lati, un supporto non usuale, che rimanda a tempi passati, a spazi privati, sul quale i corpi si fondono e si abbracciano, utilizzando un tratto più definito verso l’esterno e più sfocato, quasi “polveroso” sul lato interno.
Esalta i piccoli difetti, che nel sentire comune verrebbero nascosti o camuffati, qui invece attirano l’attenzione, come le mani, belle ma imperfette nella scheggiatura dell’unghia smaltata di Ti credo, (2024) o i nei di E io ti aspettavo (2024). 
L’opera della Selimbašić ci parla di accettazione del corpo e stimola una lettura del comportamento umano oltre le apparenze, attraverso una pittura monumentale, in cui le figure dominano lo spazio, diventando quasi tangibili.
È un’osservazione lucida e attenta, in cui la forza plastica contrasta con la fluidità delle pennellate e con la delicatezza dei colori usati, quasi cipriati. 

La mostra, curata da Michele Spinelli, sarà aperta fino al 15 novembre 2024.

Cover: Installation View – Adelisa Selimbašić – Dust Bunny – Curated By Michele Spinelli, 2024, z2o Sara Zanin – Foto Roberto Apa

Installation View – Adelisa Selimbašić – Dust Bunny – Curated By Michele Spinelli, 2024, z2o Sara Zanin – Foto Roberto Apa
Installation View – Adelisa Selimbašić – Dust Bunny – Curated By Michele Spinelli, 2024, z2o Sara Zanin – Foto Roberto Apa