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Domenico Ruccia – Quel pazzo di Paolo Uccello | Renata Fabbri, Milano

"In questo ciclo di opere dedicate a Paolo Uccello, Domenico Ruccia ci fa comprendere quanto il suo non sia soltanto un discorso dentro la pittura, ma anzitutto dentro la genesi e la persistenza di alcune immagini." Lorenzo Madaro
Domenico Ruccia, Quel pazzo di Paolo Uccello. Veduta della mostra presso Sotto Project Room, Renata Fabbri, Milano, 2024. Foto: Mattia Mognetti.
Domenico Ruccia, Paolo Uccello’ souttakes#8, 2024, olio su lino,100×140 cm. Courtesy l’artista e Renata Fabbri, Milano. Foto: Mattia Mognetti.

E’ stata inaugurata da alcuni giorni, nella project room della galleria Renata Fabbri Quel pazzo di Paolo Uccello, la prima personale di Domenico Ruccia (Bari, 1986) a cura di Lorenzo Madaro. La mostra riunisce un nucleo di dipinti inediti ispirati all’opera del pittore rinascimentale fiorentino Paolo Uccello.

Per questa occasione, pubblichiamo il testo critico di Lorenzo Madaro

Per la prima volta Domenico Ruccia propone nella sua completezza il ciclo di dipinti, recentissimo, dedicato a Paolo Uccello. Muoversi nella project room della galleria Renata Fabbri è come un viaggio tra immagini che l’artista ha costruito partendo da San Giorgio e il drago (1460 ca.) della National Gallery del grande maestro della storia dell’arte. Niente di nostalgico, neppure di citazionistico, quanto piuttosto un desiderio di ripensare le immagini conducendo un viaggio tra elementi estrapolati da differenti fonti iconografiche e culturali.

“Quel pazzo di Paolo Uccello nel giro di qualche anno ci ha dato tutte le possibili ipotesi, ha affrontato tutte le questioni, il suo approccio era un modo nuovo di affrontare una situazione. Se ci spostiamo nei secoli, ci accorgiamo di come le cose, già prospettate da Paolo Uccello – accentuare la prospettiva, modificarne certi aspetti, continuando a cambiare – vengano assunte in profondità, fino a che arriviamo all’Arte moderna in cui non abbiamo più il punto centrale prospettico, ma i mille punti prospettici del Cubismo”, scrive Luciano Fabro (Lezioni 1983-1995, a cura di S. Fabro, Libri Scheiwiller, Milano 2022) a proposito dell’estrema persistenza della lezione di questo maestro che Domenico Ruccia ha inteso omaggiare senza inciampare nella ripetizione ossequiosa delle sue immagini, quanto piuttosto rielaborandole con differenti declinazioni
di forme e di senso, affiancandole ad altre, ma anche a suggestioni provenienti da altri mondi – orientali, soprattutto – in grado di convivere nel luminoso equilibrio delle sue composizioni.

Cosa vuol dire oggi investigare la storia dell’arte per un artista? Si sa, quello della storia delle immagini
è un grande archivio a cui si è sempre attinto e lo stesso Domenico Ruccia lavora da tempo su una ridefinizione di icone ed elementi visuali provenienti da differenti ambiti: storia dell’arte, folclore, kitsch, cinema e molto altro. In questo ciclo di opere dedicate a Paolo Uccello, Domenico Ruccia ci fa comprendere quanto il suo non sia soltanto un discorso dentro la pittura, ma anzitutto dentro la genesi e la persistenza di alcune immagini. Come si modificano, come convivono con altre, come costruiscono una propria essenza in contesti stranianti, in paesaggi apparentemente impossibili, che non sono reali ma neppure fiabeschi.
Nella superficie apparentemente piatta delle sue tele dipinte ad olio appaiono così tante scene, brani di natura e draghi, ma anche maialini intenti ad accoppiarsi, mentre un paesaggio pre-metafisico con una luce ovattata eppure immaginifica costruisce un’architettura trasognante, impalpabile.
Niente di surreale, s’intende. Il lavoro di Domenico Ruccia è reale nella misura in cui è setacciato da
una memoria plurisecolare capace di rigenerare immagini e di restituircele con un proprio sguardo che è spesso denso di stupore.
È come un grado zero della rappresentazione, una volontà di lavorare su scene apparentemente semplici che però emanano una forza intrinseca in grado di stupire, talvolta di abbagliare, ma soprattutto di interrogarci. Certe convivenze appaiono incomprensibili, d’altronde la forza del lavoro di Domenico Ruccia risiede proprio in quella sua vocazione verso la convivenza di mondi che rientrano in un determinato clima estetico, culturale, visionario e insieme reale, concreto, palpabile. Perciò la sua pittura – lo ha dimostrato anche con un precedente ciclo dedicato al cinema e alla musica – è un grande viaggio in cui riconoscere le radici identitarie di una cultura italiana e internazionale, che è profondamente radicata nella sua stratificazione tra folclore e ricerca, alto e basso, pluralità sofisticata e semplicità assoluta di forme, impostazioni, costruzioni. Non a caso è egli stesso a sostenere: “Parto sempre da un dato reale, appartenente al passato, dal quale poi costruire con l’immaginazione e con l’immagine. L’immagine diventa anzi lo strumento giusto per fraintendere la storia, e per poi cambiarla”.

Adesso che queste opere dal suo studio sono approdate nella project room di Renata Fabbri, lo spazio diventa esso stesso paesaggio. Una camera picta, quella che ha concepito, in cui entrare lasciandosi guidare in un inestricabile vocazione che è quella dell’autosufficienza delle immagini stesse, ma anche della loro capacità di vivere una metamorfosi e di cambiare pelle nel contatto con altre immagini. Vivere Quel pazzo di Paolo Uccello vuol dire proprio questo, ovvero entrare nell’esperienza stessa delle immagini e della loro genesi.

Domenico Ruccia, Paolo Uccello’s outtakes #6, 2024; olio su lino, 40×50 cm. Courtesy l’artista e Renata Fabbri, Milano. Foto: Mattia Mognetti.