Testo di Francesca Furini
La Fondazione Ermanno Casoli, nata nel 2007 con l’obiettivo di far dialogare mondi apparentemente lontani come quello dell’arte contemporanea e dell’industria, ha ideato E-STRAORDINARIO, un ciclo di progetti, workshop e incontri in collaborazione con artisti di fama internazionale, che lavorano direttamente con i dipendenti aziendali. Varie realtà industriali hanno scelto di sperimentare queste innovative forme di coinvolgimento, fra cui Angelini, Biotronik e Artsana. L’ultimo appuntamento si è tenuto negli spazi di Hangar Bicocca a Milano e ha visto coinvolti l’artista Diego Marcon e gli studenti del Master in Economia e management dell’arte e dei beni culturali della Business School de Il Sole 24 Ore, che collabora già da cinque anni con la Fondazione Casoli.
Oltre all’artista, durante il workshop sono intervenute diverse personalità, portando un contributo significativo non solo all’attività laboratoriale, ma anche a livello teorico: Marcello Smarrelli, direttore artistico della Fondazione, Luca Varvelli, trainer specializzato nello sviluppo della leadership, Giovanna Amadasi, responsabile delle strategie culturali e delle relazioni per Hangar Bicocca e coordinatore scientifico del Master, e Timothy Small, giornalista e traduttore.
Diego Marcon si è presentato alla classe (o meglio, al gruppo di lavoro) mostrando alcune delle opere più significative della sua produzione artistica. Nei primi video-documentari la ricerca dell’artista aveva lo scopo di documentare la realtà senza commentarla per “rendere visibile la dimensione profonda del reale”. Attraverso la pratica audiovisiva Marcon cerca metodi di produzione sperimentali che lo portano non all’innovazione tecnologica, bensì a forme di protocinema e a forme estreme di annullamento del figurativo. La negazione dell’immagine è stato il punto d’approdo inevitabile, spiega l’artista. Il lavoro sull’immagine e sulla narrazione attraverso il medium audiovisivo porta l’artista a una riflessione sull’impossibilità dell’oggettività nella rappresentazione. E’ solo attraverso la finzione che siamo in grado di indagare il reale.
Proprio questa riflessione è il punto di partenza per il workshop, che vuole rendere evidente la necessità della soggettività e l’importanza della forma nella creazione narrativa. Il medium prescelto non è stato però l’audiovisivo, bensì il linguaggio. Il workshop trae ispirazione dal libro Esercizi di stile di Raymond Queneau, da cui prende il titolo.
Ai partecipanti è stato assegnato un aneddoto di base, scritto dall’artista, che vuole essere uno spaccato di realtà reso attraverso una narrazione il più “oggettiva” possibile (ma che oggettiva chiaramente non può essere) di un episodio apparentemente poco significativo. Gli studenti del Master erano incaricati di sviluppare tre tipologie di variazioni a partire dall’aneddoto dato, secondo indicazioni precise. La prima variazione era di tipo linguistico, ad esempio veniva richiesto di cambiare i tempi verbali, scrivere rime baciate, aggiungere onomatopee, la seconda di genere, ad esempio fiabesco, onirico, filosofico, e la terza di supporto, con l’obiettivo di adeguare l’aneddoto a un supporto inaspettato quale una fotografia, una cartolina o un biglietto del treno.
Tutto il materiale prodotto durante la giornata è stato sistemato e raccolto in un libro d’artista, sotto forma di eBook. L’artista ha prodotto un’opera d’arte grazie all’aiuto del gruppo di lavoro, instaurando così un rapporto di fiducia con l’audience. Si tratta di fiducia reciproca: da una parte verso l’artista e la sua autorevolezza creativa, dall’altra verso i partecipanti e la loro capacità di seguire le indicazioni, creando qualcosa di nuovo.
Abbiamo intervistato l’artista per capire meglio il suo punto di vista —
Come è nata l’idea del workshop e della collaborazione con il mondo aziendale?
Diego Marcon: Entrambe sono nate su invito della Fondazione Ermanno Casoli di progettare un laboratorio per la formazione aziendale.
Come si inserisce il workshop all’interno del tuo percorso artistico? Perché l’audiovisivo, che è il medium che più ti caratterizza, in questo caso viene a mancare?
DM: Porto avanti un lavoro sull’audiovisivo in cui la forma e il soggetto sono inseparabili fra di loro. Non lavoro mai a video e a film a soggetto e il soggetto stesso dà forma ai lavori. Questo meccanismo è anche il nucleo di “Esercizi di stile” che, nel suo svolgimento, mostra come sia il testo, il linguaggio usato, il genere letterario e anche il supporto di scrittura a variare il significato di lettura delle informazioni trasmesse. Ce ne siamo accorti bene quando, alla fine del laboratorio, abbiamo letto alcuni dei 90 e più testi che abbiamo prodotto assieme.
Quando parli di annullamento del figurativo come punto di arrivo intendi la negazione di una realtà oggettiva a favore di una pluralità di realtà diverse?
DM: Intendo annullamento del figurativo in senso letterale, in relazione a Litania, un lavoro del 2011 girato a Medjugorjie, in cui l’immagine diventa nera in maniera progressiva con il calare del buio. Svuotare il fotogramma di elementi visivi è stato per me liberare il campo al fuori-campo dell’immagine.
Oggi hai detto “la soggettività è un problema dal punto di vista creativo”. Cosa intendi?
DM: Che l’Io è d’impiccio
Il libro che abbiamo realizzato insieme può considerarsi un’opera d’arte partecipativa? Esiste un legame con l’estetica relazionale di Nicolas Bourrriaud?
DM: No. Il lavoro che abbiamo realizzato assieme è corale nella misura in cui il libro risulta essere una raccolta di tutti gli scritti prodotti dal gruppo di lavoro, ma il processo che abbiamo messo in atto è individuale e credo sia importante che rispetti questa peculiarità, data la natura del progetto.