Le curatrici Giulia Gelmini e Federica Torgano li definiscono artisti-collezionisti e si presentano con una sorta di ‘sigla’ DIE FURLANI-GOBBI SAMMLUNG. Il duo formato da Marco Furlani e Jonathan Gobbi presentano allo spazio Current (visitabile fino al 31 luglio) la mostra Nel vuoto del vaso sta il senso dell’uso, titolo mutuato dalla canzone “La norma del cielo” di Claudio Rocchi, musicista milanese attivo negli anni ’70.
Complesso e stratificato, il progetto – come ci spiegano le due curatrici nell’intervista che segue – prende le mosse da un luogo ‘sia fisico che immaginifico’, Casa Corio: “Quando abbiamo sottoposto agli artisti il progetto originario, in cui si prevedeva un intervento d’arte pubblica nello spazio di Casa Corio, la loro prima reazione è stata quella d’interrogarsi sul gesto d’appropriazione artistica dello spazio pubblico. Essendo la loro ricerca da tempo improntata anche all’analisi di alcuni personaggi storici legati all’esplorazione e al colonialismo, hanno scelto il monumento come una sorta di metafora dell’arte pubblica.”
ATP: Partiamo dalla ricerca dei due artisti che presentate, Marco Furlani e Jonathan Gobbi. Il duo chiama ogni esposizione Die Furlani-Gobbi Sammlung. Cosa vi interessa della loro ricerca? Mi raccontate il fulcro del loro lavoro?
Giulia Gelmini e Federica Torgano: Di Marco e Jonathan ci ha subito colpito la loro fascinazione per la tematica dell’esplorazione e del naturale. L’idea di confrontarsi con la figura dell’esploratore che compila un diario di viaggio e colleziona frammenti di memorie e oggetti ci sembrava la perfetta metodologia con la quale affrontare lo spazio di Casa Corio e il discorso da instaurare con esso. Inoltre, l’esplorazione delle pratiche artistiche intrapresa dal duo li ha portati anche a relazionarsi con il concetto di esotismo e i ruderi di una casa sopravvissuta ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale ci sembravano l’ambientazione perfetta per una restituzione di questa tematica. Die Furlani-Gobbi Sammlung, il nome del duo, scardina le regole convenzionali riguardo al modo di esporre la collezione e ci piaceva l’idea di affidare un luogo della memoria a delle mani di artisti-collezionisti, che esplorano le potenzialità della materia sovvertendone i connotati convenzionali.
ATP: Nel testo che accompagna la mostra, (vi) ponete una domanda: “Cosa significa per un artista posizionare un’opera nello spazio della collettività?”. Che risposta hanno dato i due artisti? O, altrimenti, quale è il vostro punto di vista in merito?
GG / FT: Collocare un’opera nello spazio della collettività cela necessariamente un atto politico, l’esercizio di un potere, in quanto si tratta di un’azione artistica che viene imposta allo spettatore. Gli artisti si sono interrogati allora su quale potesse essere il senso di un intervento del genere in un presente in cui il tempo del monumento celebrativo è finito, per la sua perdita di capacità di comunicare e legarsi al contesto che lo accoglie: nel momento in cui questo legame viene meno, cessa anche la sua stessa ragion d’essere. Per queste ragioni hanno scelto di partire dallo spazio di Casa Corio, che è stata il punto di partenza e la matrice di tutto il progetto, per poi però portarlo all’interno dello spazio di Current, connotandolo con un carattere domestico, trasformando l’ingombrante monumentalità delle opere in altarini domestici.
ATP: Il titolo della mostra sembra una citazione – “Nel vuoto del vaso sta il senso dell’uso”. Che attinenza ha con il progetto? Che utilizzo metaforico si nasconde?
GG / FT: La citazione proviene dalla canzone “La norma del cielo” di Claudio Rocchi, musicista milanese attivo negli anni ’70. Rifiutare di mettere un’opera nello spazio pubblico enfatizza il vuoto che ne rimane e l’utilizzo che se ne può fare.
ATP: Che relazione hanno creato gli artisti tra Casa Corio – che mi sembra, dalla descrizione, uno spazio immaginario o immaginifico – e lo spazio di Current? Quali sono i nessi o le dissonanze?
GG / FT: Casa Corio è in realtà uno spazio fisico, ma è anche un luogo immaginifico e della memoria che fa da contrappunto a Current per la sua dimensione pubblica, per la sua possibilità di accogliere una monumentalità, negata però dagli artisti nella decisione di lavorare nello spazio privato di Current, situato nel cortile antistante. Se da un lato la prospettiva di un intervento in Casa Corio riflette il desiderio di attuarlo, la sua realizzazione che volontariamente non avrà luogo si manifesta fattivamente nello studio delle forme potenziali esposte nello spazio progetto, dove il monumento diventa statuina e il piedistallo un display in formato di altarino domestico, di consolle, di mensola.
ATP: In parallelo alla mostra Die Furlani-Gobbi Sammlung hanno immaginato una sceneggiatura composta da un coro polifonico. Qual è la finalità di questi dialoghi?
GG / FT: Gli artisti utilizzano spesso la forma dialogica come introduzione alla loro ricerca, è un altro degli elementi che caratterizza la “collezione”, anche nella sua forma di ripresa/ripetizione di pratiche dalle esposizioni precedenti. Il dialogo è una forma fluida che diventa prima di tutto uno degli oggetti in mostra, entra a fare parte della “Sammlung” a tutti gli effetti. Inoltre richiama l’aspetto di narrazione che instaura un continuo rimando a ciò che non può essere fisicamente all’interno della mostra, per esempio personaggi o avvenimenti storici. È come un collante che espande la sua azione al di fuori dei confini fisici della “Sammlung”.
ATP: Emerge dal progetto nel suo complesso una profonda riflessione della statuaria e il concetto di ‘monumento’. Mi raccontate, in breve, cosa emerge da questa riflessione (o decostruzione) del significato della scultura monumentale e, più in generale, sul ‘monumento’?
GG / FT: Quando abbiamo sottoposto agli artisti il progetto originario, in cui si prevedeva un intervento d’arte pubblica nello spazio di Casa Corio, la loro prima reazione è stata quella d’interrogarsi sul gesto d’appropriazione artistica dello spazio pubblico. Essendo la loro ricerca da tempo improntata anche all’analisi di alcuni personaggi storici legati all’esplorazione e al colonialismo, hanno scelto il monumento come una sorta di metafora dell’arte pubblica. Partendo da questa sovrapposizione, si sono relazionati con i movimenti post-coloniali che attuano una forte critica nei confronti della statuaria intesa come traccia del passaggio dei colonizzatori, ma anche con istanze che polemizzano la presenza del monumento nelle sue varie forme, (compresa la titolazione di strade, piazze e così via) in quanto non più fondato su una memoria condivisa, ma messo a confronto con una frammentazione della storia dovuta a una convivenza di molteplici punti di vista.
Nel caso specifico del progetto presentato a Current, l’esempio è il monumento a Vittorio Bottego a Parma: se un tempo considerato personaggio di spicco e ispiratore della comunità parmense, è adesso promotore di un dibattito storico e sociale che manifesta una maggiore sensibilità della comunità stessa attraverso un’analisi delle varie caratteristiche del monumento stesso. La decisione degli artisti di portare le opere all’interno dello spazio chiuso/privato di Current è di fatto un momento di riflessione, una scomposizione delle parti, un ridurre la statuaria pubblica a un livello “potenziale”. È il miniaturizzare le grandi utopie monumentali e sociali fino a contenerle all’interno dello spazio privato, forse unico luogo in cui l’utopia, in quanto luogo di non-confronto dove chi entra dovrà attenersi alle regole del padrone di casa, può ancora sopravvivere.
Per leggere la sceneggiatura scritta dagli artisti: Nel vuoto del vaso sta il senso dell’uso