Testo di Salvatore Emanuele —
Days of Inertia di Nina Canell – è la seconda personale milanese alla galleria kaufmann repetto, visitabile fino al 12 settembre 2025 – capovolge e frantuma la membrana sottile ma consistente che separa la galleria dal mondo esterno.
L’opera che accoglie il visitatore – e che dà il titolo alla mostra – si dispiega tra interno ed esterno, superando ogni soglia simbolica o fisica. È una scultura liquida: un arcipelago di pietre calcaree disposte a terra e trattenute da barriere idrofobiche. Su queste si deposita uno strato sottile d’acqua, che riflette luce, polline, polvere e condensa. Le pietre, in Arabescato Orobico, provengono dalle montagne lombarde, ma la loro storia risale alle acque cristalline e alle barriere coralline del Triassico. Rosa tenue e grigiastro, venature intense e curve ruvide: il marmo si presenta come una superficie stratificata e aperta, simile a pagine di un libro geologico. Ogni taglio racconta una vicenda sedimentaria, ogni scanalatura descrive un’origine lontana che riemerge nel presente.
Canell ibrida questi elementi naturali con i fattori atmosferici contemporanei, costruendo sculture che respirano e reagiscono. La sua pratica si fonda su una logica trasformativa: instabile, permeabile, continuamente adattiva che si riversa in tutta la performatività della galleria. Nulla è definitivo, tutto è in fase di assestamento.
Nella prima sala, la narrazione materica si complica. Oltre a nuove pietre – ancora calcaree, ancora locali – si incontra Murmur (2025), un nastro trasportatore modificato che rompe la funzione industriale e diventa corpo coreografico. Le rocce, adagiate sulla superficie verde pastello, si muovono secondo logiche caotiche, casuali, facendo attrito – inciampando e cadendo – emettendo suoni sordi e irregolari.



Il rumore delle pietre ricorda il fragore di fabbriche d’altri tempi, ma qui si fa eco di qualcosa di più instabile, più fragile. Gli ingranaggi meccanici procedono, ma l’effetto è perturbante. La scultura, ancora una volta, si nega come oggetto stabile.
Nella seconda sala, Days of Inertia si prolunga e muta ancora forma. Le pietre e l’acqua tornano, ma a tagliare lo spazio frontalmente – a circa due metri d’altezza – si presenta Bubble Cult (Porta): una composizione con livelle segmentate di legno grezzo, che costruiscono un arco. La livella – strumento di misura – è qui decostruita e trasformata in soglia. La bolla d’aria, solitamente indice di stabilità, è invece trattenuta in un continuo movimento: un equilibrio che sfida se stesso. L’arco non chiude, non sorregge, apre.
Nel piccolo spazio adiacente, quasi nascosto della seconda sala, l’opera Pistachio Pangolin on the Continuous Fingernail Transmitter (2020) appare come un’installazione sospesa e vibrante. Piccoli rumori, appena udibili – che ti spingono ad avvicinarti con l’orecchio – vengono emessi da gusci di pistacchio e unghie appesi a un filo di cotone. È un suono fragile, effimero, che sembra provenire da un organismo invisibile. La materia qui si fa quasi viva, e in tensione nervosa. La vibrazione è minima, ma costante. Esiste.
Days of Inertia non è una mostra da visitare, ma da percorrere, ascoltare, attraversare. Nina Canell costruisce un ecosistema aperto dove le sculture non occupano spazio: lo contaminano. La materia, qui, è possibilità.




