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David Tremlett – Another step | Fondazione Palazzo Magnani, Reggio Emilia – Conversazione con la curatrice

Curata da Marina Dacci, la mostra Another Step raccoglie circa settanta opere dell’artista realizzate tra il 1969 e il 2023, instaurando un dialogo tra spazi liminali e il centro storico, e completando l'intervento urbano con una prospettiva immersiva sull’opera e sul percorso creativo di Tremlett.

Intervista di Gaia Grassi

L’artista britannico David Tremlett presenta un nuovo intervento a Reggio Emilia, The Organ Pipes, presso l’ex Caffarri, nel quartiere Santa Croce: un’opera monumentale composta da tredici silos colorati  e la facciata adiacente dell’edificio che si innalzano verso il cielo come canne di un organo. Quest’ installazione permanente è parte di un intervento  di rigenerazione urbana voluta dalla Fondazione Palazzo Magnani e dalla città di Reggio Emilia, che include un’articolata serie di iniziative: l’intervento di arte pubblica che riqualifica lo spazio dell’Ex Caffarri, la mostra Another Step presso i Chiostri di San Pietro, una nuova opera permanente nel complesso  monumentale. 

Curata da Marina Dacci, la mostra Another Step raccoglie circa settanta opere dell’artista realizzate tra il 1969 e il 2024 e  instaura un dialogo tra spazi liminali della città  e il centro storico, e completando l’intervento urbano con una prospettiva immersiva sull’opera e sul percorso creativo di Tremlett. Di seguito, una conversazione con la curatrice Marina Dacci, che ha seguito tutte le fasi di questo progetto, per esplorarne motivazioni e il percorso curatoriale.

Gaia Grassi: Partiamo dall’inizio. Come nasce questo progetto di David Tremlett a Reggio Emilia?
Marina Dacci: L’idea era di proseguire un progetto che la città aveva già  avviato e che avevo seguito personalmente: “Invito a…” proposta da Claudio Parmiggiani con opere di  Morris,  LeWitt, Fabro e Mattiacci Ero entusiasta che l’Amministrazione avesse deciso di proseguire su questa linea. Il format  dell’invito  all’artista  si  sarebbe arricchito  rispetto  ai progetti precedenti: infatti “Invito a…” prevedeva la commissione di un’opera permanente e una piccola vetrina nel centro della città  per raccontare le fasi  preparatorie, ma non una mostra vera e propria.
Quando si è discusso sul nome dell’artista da invitare che fosse giusto per  il taglio  di  questo intervento  ho proposto David  Tremlett per una serie di ragioni. Prima fra tutte la sua storia artistica costellata di  commissioni di interventi in luoghi  spesso a valenza  sociale e comunitaria (ospedali, uffici, case di  riposo, chiese,  centri di mobilità etc), la sua attitudine a stringere rapporti  col territorio in cui  interviene valorizzando  la storia dei luoghi e il loro portato di  memoria e  di  coinvolgimento  delle collettività.

GG: Tra l’altro Tremlett ha uno stretto rapporto con l’Italia.
MD: Certo.  Tremlett è un artista consolidato che ha lavorato in tutto il mondo , ma il grande pubblico lo conosce soprattutto per i wall drawings, cioè opere di grandi dimensioni realizzate  per mostre , spazi privati o pubblici. Molti  di  questi sono in Italia. Con l’Italia infatti Tremlett ha stretto dagli anni Ottanta una relazione molto stretta.  A questa relazione col nostro paese è dedicata una grande sala della mostra. Pochi però conoscono il suo lavoro  in studio: un lavoro  di  ricerca  e di pensiero  che accompagna   in modo  sistematico  il suo percorso artistico da sempre. Per  quanto mi riguarda è altrettanto interessante ripercorrerlo “dall’interno”  attraverso opere che spesso  non sono state mostrate  e che sono il risultato  del suo  “essere viaggiatore ” con tutto  quello  che ne consegue: il  rapporto con  i luoghi  che percorre (sia paesaggio sia architetture),  le relazioni con le persone  come fruitori  di  spazi  in un determinato territorio   che hanno spesso avuto un seguito  nel tempo generando  rapporti  stabili. 

GG: Mi pare che questo approccio crei anche un legame con la comunità in cui l’opera è inserita, come nel caso del quartiere Santa Croce, non è così?
MD: Sì, esatto. Il suo approccio mi sembrava adatto soprattutto nel caso di Santa Croce, che è un quartiere che ha visto   uno splendore economico in passato, ma  che attualmente  è un’area problematica  in cerca di  una nuova identità.. Tremlett ha incontrato moltissime persone e realtà del quartiere. In questo senso  il suo intervento  artistico  non si pone certo come una impronta di   “abbellimento ” , ma  come  nuova modalità di preservare la memoria di  un luogo  e saperla trasformare in benzina per il futuro.  Non è un caso  che all’interno  dell’ex mangimificio trovino ora sede  un teatro che lavora con territorio e  un centro  di  ricerca  e sperimentazione destinato all’infanzia. Tutto questo è un vicendevole potenziamento.

The Organ Pipes, 2024, Installazione permanente / Permanent installation, Reggio Emilia, Ex Caffarri Courtesy dell’artista / of the artist, © Lorenzo Palmieri

GG: Da un lato hai a che fare con un’opera monumentale come The Organ Pipes, dall’altro con una mostra più raccolta che sembra completare e ampliare l’insieme dell’intervento. Mi puoi raccontare di più sul tuo approccio curatoriale?
MD: Come ti ho accennato ho trovato vincente questo format: opera permanente, ubicata in quartiere periferico problematico, collegato a una mostra  che è un excursus  generale sul suo lavoro in uno dei luoghi storici più prestigiosi  nel centro  cittadino. Questo  potenzialmente consente di  offrire un approfondimento  sulla ricerca dell’artista  agganciando  e coinvolgendo  pubblici diversi, che normalmente non sono frequentatori  assidui di  spazi  museali. In questa direzione andava  valorizzato questo legame con una serie di  iniziative  e interventi  collaterali che, devo  dire, stanno egregiamente sviluppando  Palazzo  Magnani  e altri  soggetti  del territorio: la realizzazione di  un podcast che non è un semplice making of ma  racconta  di  come era una architettura in disarmo e come è diventata un centro  di  aggregazione e simbolo di  sviluppo, la formazione per bambini e famiglie, gli incontri  di  quartiere (nella biblioteca e con le associazioni attive sul posto,  un  intervento  performativo di  danza  in collaborazione con i  Teatri, la creazione della Tremlett line,  sviluppata dai ragazzi del dal liceo  artistico locale, che punteggia e collega i due luoghi   come le briciole  di  Pollicino! 

GG: Tremlett ha avuto una grande parte nell’allestimento della mostra Another Step. Mi dicevi che è stato lui a progettare la posizione delle pareti, giusto?
MD: E ha anche deciso i colori  delle pareti! Ha creato queste pareti autoportanti con delle  strutture particolari  molto  diverse  dalla modalità tradizionale di  addossare i pannelli temporanei  alle pareti delle singole sale.  Una ad esempio ha una forma  a Z , l’altra a cannocchiale: insomma  tutto  enfatizza l’idea di  un percorso  labirintico  che lo  spettatore deve  fare in mostra. Il tutto genera  un habitat vero  e proprio che ingloba  il DNA del palazzo in dialogo con le opere. Come ho accennato la mostra  è costituita prevalentemente   da lavori   realizzati in studio   di  cui oltre la metà mai  esposti o esposti  tantissimi anni fa  all’estero. Ho fatto  questa ricerca a Londra nello studio  dell’artista e ho potuto  visionarne la maggior parte  sul posto.  Partendo  da questo legame  con l’opera permanente  sono arrivata al suo studio   con alcune parole chiave  che avrebbero  costituito  l’ossatura della mostra e il mio criterio  di selezione. In base a questo e alla relazione con gli  spazi  l’allestimento  non è stato  concepito  in cronologia ma appunto per parole chiave. 

GG: Quali sono queste parole chiave?
MD: Il viaggio inteso  come scoperta anche inaspettata, l’architettura leggibile con modalità diverse (dal recupero  della sua memoria alla sua rilettura visionaria), la ridefinizione del concetto di dentro e fuori per architetture e ambiente, il rapporto con la parola e con le lettere come criteri ordinatori  di  segno e colore , il rapporto con il suono declinato in musica e in danza in rapporto  all’esplorazione dello spazio, il lavoro della mano.

GG: Tra le parole chiave, mi ha colpito molto il suono, che sembra collegare con un filo invisibile la mostra all’opera di arte pubblica.
MD: Uno dei focus che mi ha colpito molto del lavoro di David era, come dicevo prima, l’approccio fisico che ha con gli spazi, e il suono è uno degli elementi che hanno sempre caratterizzato il suo lavoro che si intreccia strettamente all’uso  della linea e del colore. Non è un caso che una delle sale  in mostra è dedicata a questo aspetto. Il suono che può addirittura diventare partitura musicale, come  in alcune opere esposte degli  anni Settanta ad esempio. . Quando Tremlett  mi ha detto che aveva deciso finalmente il titolo dell’opera permanente con queste parole  «Ho avuto questa intuizione…quando entravo nelle chiese, soprattutto in Francia, ho visto questi organi monumentali con le canne rivolte al soffitto… Perché non intitolarlo così? Questi silos sono come grandi canne d’organo che alla fine emettono un suono anche se virtuale… ” ho realizzato che si era rafforzato ulteriormente il legame con la struttura della mostra.

GG: Quindi c’è un legame tra suono e architettura, qualcosa che comunica anche attraverso la dimensione spaziale?
MD: Sì infatti, Il colore  e le sue gradazioni ne scandiscono il ritmo e  le superfetazioni  di  tubi sopra i silos paiono concretizzazioni di  suoni, anche se chiaramente  si  tratta di sonorità virtuale. 

David Tremlett, Another Step, Chiostri di San Pietro, Reggio Emilia, 11 ottobre 2024 -9 febbraio 2025, ©Lorenzo Palmieri
David Tremlett, Another Step, Chiostri di San Pietro, Reggio Emilia, 11 ottobre 2024 -9 febbraio 2025, ©Lorenzo Palmieri
David Tremlett, Another Step, Chiostri di San Pietro, Reggio Emilia, 11 ottobre 2024 -9 febbraio 2025, ©Lorenzo Palmieri