Curata da Lucia Aspesi e Fiammetta Griccioli, “A Leaf-Shaped Animal Draws The Hand” è la prima personale di Daniel Streegmann Mangrané (Barcellona, 1977) in un’istituzione italiana, e la più grande mostra dedicata all’artista. Includendo due lavori iniziati nel 1998 e focalizzandosi sulla produzione dell’ultimo decennio, il percorso espositivo presenta oltre venti opere che hanno caratterizzato la carriera dell’artista, e si suddivide idealmente in differenti aree e prospettive tematiche.
Restituire l’esperienza di una mostra di questo tipo significa innanzitutto intercettare personalmente, grazie all’osservazione, una prospettiva o, detto in altre parole, trovare una modalità di percezione dello spazio attraverso la quale leggere le relazioni tra le cose.
Quasi paradossalmente un’avvisaglia di questa modalità è un elemento esterno alla mostra e indipendente dallo spazio: la luce naturale che entra nell’area espositiva dello Shed, che solitamente viene tenuto buio. L’intensità dei raggi, infatti, cade sulle opere e si modula armoniosa nell’ambiente grazie a una struttura disegnata di tessuto, che permette di vedere le opere e di cogliere una sovrapposizione tra uno strato e l’altro.
Non si tratta di un dettaglio allestitivo lasciato al caso, ma di un’opera a tutti gli effetti che avvolge tutte le altre e permette di muoversi in uno spazio che diventa dinamico e teatrale. L’opera in questione s’intitola Phantom Architecture (2019) ed è stata pensata appositamente per lo spazio come una struttura da modulare, una quinta teatrale composta di varie forme in tessuto bianco semitrasparente. Come rivela l’artista: “La prima idea che ho avuto per questa mostra è stata riflettere su come interpretare questo spazio così difficile, così marcante, che è anche un po’ aggressivo, con una presenza delle colonne fortissima, e il suo carattere industriale, e portarlo in una scala più “umana”, più confortevole per il corpo del visitatore. Per questo ho pensato a un’architettura di forme gentili”.
Un display tridimensionale e vivo, eppure astratto e rarefatto. Una soluzione che richiama le ricerche degli anni Sessanta statunitensi. Interessanti in questo caso due parallelismi. Uno è l’opera site-sensitive Varese Scrim realizzata da Irwin per Villa Panza a Varese nel 2013, che modellava la luce in modo geometrico e ritmico – seppur in un labirinto più angusto; l’altro con gli “over-size model pavilions” di Dan Graham esposti recentemente a Milano da Galleria Francesca Minini, giochi di riflessi e trasparente con un’intenzionalità architettonica differente, ma caratterizzati da aspetti formali e echi intersoggettivi comuni. Nello Shed il visitatore si immerge iin un’opera che si estende fisicamente e concettualmente ad ambiente partecipativo dalla triplice natura: paesaggio naturale (ossia disegnato seguendo forme ed estetiche naturali), espediente espositivo e scultura architettonica.
Questa scelta restituisce la complessità della poetica dell’artista, resa nello spazio mediante numerosi rimandi con l’ambiente industriale. Una matrice generativa continua che muove dai primi lavori fino agli ultimi realizzati. In un sistema di scatole cinesi, il progetto espositivo propone opere che generano relazioni tra loro, tra le persone e con lo spazio. È come addentrarsi in una foresta: il visitatore diventa parte integrante di un paesaggio astratto che lo avvolge. Membrane fluttuanti lo proiettano in un’astrazione propria di quel tempo sospeso in cui natura e tecnologia si incontrano.
Per indagare questa condizione, i linguaggi utilizzati dall’artista sono poliedrici: film, scultura, fotografia, disegno, video, installazione e persino esseri viventi. Una cosmogonia di elementi naturali e forme geometriche astratte. Figlie del Neo-Concretismo brasiliano degli anni cinquanta e sessanta, queste opere sollecitano i sensi del corpo dello spettatore, aprendo riflessioni ben lontane dall’antropocentrismo, che riflettono il contesto organico e in continua mutazione in cui viviamo e che accomuna tutti gli esseri viventi, connessi forse da quella che l’artista brasiliana Lygia Clark chiamava “linea organica”.
In quattro occasioni all’interno della mostra, per estensione, Phantom Architecture si trasforma in un dispositivo funzionale. Ne è esempio Lichtzwang, una serie in corso di disegni cominciata nel 1998, che riflette sull’importanza della regola e della modulazione della luce e del colore sfruttando la struttura organica quasi come se fosse una parete di una sala (unico caso in mostra insieme all’opera Phantom (2015), che invece ci immerge digitalmente nella foresta pluviale brasiliana all’interno di una sorta di stanza virtuale spazio-temporale). In altri due casi, A Transparent Leaf Instead of the Mouth (2016-2017) e Orange Oranges (2001) – due episodi quasi conclusivi all’interno del percorso – l’idea di modulo architettonico diventa un contenitore pronto ad ospitare un nuovo contenuto: la struttura cambia forma e materiale, diventando una nuova opera che dà vita a microcosmi, dal sapore d’indagine scientifica. In particolare, Transparent Leaf Instead of the Mouth ospita piante e insetti stecco, foglia e mantidi (tipologie di animali che si mimetizzano con l’ambiente circostante) ed è il caso più emblematico: l’installazione è una struttura in vetro a forma ondulata dialoga con i terrari, tipica modalità di display dei musei di storia naturale, che al tempo stesso richiama, in formato XL, le forme del celebre vaso Savoy di Alvar Aalto.
“A Leaf-Shaped Animal Draws The Hand” di Steegmann Mangrané meraviglia così lo spettatore, stimolando la sua percezione grazie ad una serie di correlazioni molto più ampie, che spaziano dall’ambito scientifico a quello ecologico a una riflessione sull’architettura contemporanea e al corpo del visitatore come parte integrante del paesaggio che il dispositivo espositivo stesso genera. Nelle parole dell’artista, tutto dev’essere “inserito in una rete di percezione maggiore. Se rendiamo più labile la separazione tra esseri umani e creature non-umane (…) cultura e natura diventerebbero un’unica trama. L’essere inseriti dentro una rete, ci permettebbe di sentire di più”.
Daniel Streegmann Mangrané
A Leaf-Shaped Animal Draws The Hand
Fino al 19 gennaio 2020
A cura di Lucia Aspesi e Fiammetta Griccioli
Pirelli HangarBicocca
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