Testo di Anna Maria Renzi —
Sembra di entrare in una dimensione a parte, quando, dopo aver percorso un lungo corridoio, si arriva nello spazio all’interno di Palazzo Brancaccio che ospita la mostra personale di Cristiano Carotti (1981), aperta fino al 4 maggio 2024 e curata da Domenico De Chirico.
In un percorso dal forte impatto emotivo, senza un’evidente filo conduttore, il lavoro di Carotti si manifesta attraverso tutti gli elementi che lo caratterizzano. Un complesso linguaggio fatto di simboli, riferimenti mitologici, oggetti comuni che l’artista trasforma, passando attraverso il rapporto tra uomo e natura, tra visibile e invisibile, in una ciclica e continua ricerca.
All’ingresso ci accoglie Venere, la stella del mattino, un pentacolo illuminato dalla luce delle candele. Un’immagine tra il votivo e l’esoterico, un omaggio a Venere, non solo dea dell’amore ma anche stella, luce e simbolo delle passioni. La luce è affidata alle candele che, secondo la tradizione mistica, simboleggiano il corpo, l’anima e lo spirito, attraverso i tre elementi che le compongono cera, stoppino e fiamma. Suggestiva ed evocativa Zoodiaco, transito di animali, opera scultorea composta da parabrezza frantumati, assemblati a formare un grande finestrone, quasi un rosone, una sorta di diaframma fra interno ed esterno, tra automobilisti e atmosfera circostante, ma anche tra vita e morte, a cui sono attaccati insetti morti, trasformati dall’artista in piccole particelle di alluminio.
Nella stessa sala l’artista propone una sua personale interpretazione di un simbolo caro a molte culture, l’albero della vita, rappresentandolo attraverso un lampione in alluminio, contorto perché abbattuto da un fulmine ma che continua ad emanare una fioca luce, rimandando all’idea di resistenza contro tutto e di rinascita (Discendi come la folgore, risali come il serpente).
Il percorso di Carotti è stato definito un racconto odepòrico, cioè formato dalle esperienze raccolte durante un viaggio. Il viaggio e la strada sono parti integranti della sua vita divisa tra l’Umbria e Roma. La strada è spunto di ricerca, l’artista raccoglie fisicamente resti di animali investiti, copertoni, parti di automobili, li interpreta come tracce del passaggio umano e dell’ambiente naturale che sarebbero dimenticate. Le recupera, ne fa dei calchi e poi fusioni di alluminio, trasformandole in sculture totemiche.
Utilizzando come supporto i portelloni di un camion dismesso, rappresenta Pegaso, il mitico cavallo alato che dopo aver compiuto le sue gesta vola in cielo e si trasforma in una costellazione. Carotti ha un approccio fisico con le sue opere, le lavora, le manipola, le lucida, trasforma i materiali, in un processo quasi alchemico.
Le opere pittoriche sono intrise di colore, metallico, violento, pastoso, utilizza sullo stesso supporto colori ad olio, vernici, catrame. Sulle tele ricorre il cardo, pianta legata alla sua terra d’origine ma nello stesso tempo simbolo di tenacia e di resistenza in condizioni sfavorevoli; nella mitologia rappresentano le lacrime della natura per la morte del pastore Dafni. I cardi dipinti da Carotti sono fortemente drammatici, le punte, gli angoli e le spine, sono sempre in evidenza, ma nulla tolgono alla bellezza del fiore.
L’incertezza tra ciò che è e ciò che sembra si ritrova in Autogrill Supernova, una visione al crepuscolo, quando la luce non fa ben distinguere le forme, che si confondono e possono essere interpretate in modo diverso da quello che sono realmente.
La mostra è un percorso tra sensazioni contrastanti, luce e buio, certo e incerto, vita e morte, simbolo e spiritualità in cui l’uomo continuamente si dibatte e per il quale Carotti auspica la riconquista di un ruolo attivo con la natura per poter superare la crisi che lo sta affliggendo.