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Ciò che resta del corpo nella contemporaneità | Corpus Domini a Palazzo Reale

“E’ una mostra che racconta un passaggio da un corpo vero ad un corpo finto, la sua sparizione, passando dalla Body Art degli anni ’70 fino alla ricerche che rappresentano i corpi come sembianza, come spoglia. In mostra si trovano cumuli di vestiti, di scarpe, di valigie, tutto quello che ci racconta di un corpo […]

Corpus Domini _ Foto Allestimento – Christian Boltanski – Foto EdoardoValle
Corpus Domini – Foto Allestimento – Sala Dedicata A Lea Vergine – Foto EdoardoValle

“E’ una mostra che racconta un passaggio da un corpo vero ad un corpo finto, la sua sparizione, passando dalla Body Art degli anni ’70 fino alla ricerche che rappresentano i corpi come sembianza, come spoglia. In mostra si trovano cumuli di vestiti, di scarpe, di valigie, tutto quello che ci racconta di un corpo assente, dove non c’è più l’uomo. Dunque è una mostra che deve riportarci a considerare l’essere umano e cosa gli sta attorno, nella realtà.” Mentre racconta ciò che anima la mostra Corpus Domini –  Dal Corpo glorioso alle rovine dell’anima (catalogo Marsilio), la curatrice Francesca Alfano Miglietti indica una delle opere più suggestive allestite nelle sale di Palazzo Reale, l’installazione dell’artista giapponese Chiharu Shiota, Over the Continents 2011, una raggiera di fili di cotone rosso che si disperdono da un’unica sorgente e alla cui estremità è legata una scarpa, ognuna diversa dall’altra, nuova o utilizzata da molto tempo, simbolo di un corpo assente che, però, lascia una traccia. “Sono tutte scarpe singole che vanno da qualche parte, ma hanno un unico filo che le lega assieme. Assieme possono cambiare qualcosa, degli orizzonti, singole, invece, sono inerti, inutili.”
Impegnativa, profonda, pensata fino al dettaglio: questa mostra, continua la Miglietti, “E’ dedicata a tre figure per me importanti: Lea Vergine, come si vede entrando in mostra con la sala che le abbiamo dedicato; Christian Boltanski, scomparso da poco, è presente con l’opera La Terril Grand-Hornu (2015) e a Gino Strada. Sono tre persone con cui ho lavorato durante questa mostra e devo dire che tutte e tre avevano un modo fantastico di essere disubbidienti ed eleganti.  Sono tre persone che non hanno mai cercato le parole più convenienti sulla loro vita. Tre persone molto dichiarate nei loro ambiti e che hanno insegnato come si potrebbe vivere, sono persone che hanno scelto un mondo migliore di quello che abbiamo.”
Mentre dichiara questa forma di dedica appassionata, la Miglietti guarda davanti a sé, dove è installata la foto scattata all’ingresso di Villa Orlandi, a Capri, che mostra Joseph Beuys mentre cammina verso di noi nella sua tipica divisa con cappello di feltro, borsello a tracolla, gilet e stivali da pescatore: un manifesto della propria vita, libero pensatore solitario che ‘manifesta’ il suo atto artistico semplicemente camminando. L’opera non può che essere l’iconico manifesto La Rivoluzione siamo noi del 1971.   
La curatrice utilizza una metafora molto poetica per raccontare com’è stata ideata questa mostra: “ciascuna di queste opere è arrivata in un momento preciso, quindi è entrata in un cassetto della mia mente fino a a comporsi in un disegno più grande assieme alle altre opere compagne di strada. Non c’è un’opera che prediligo o che sintetizza la mostra nelle sue complesse dinamiche, ogni opera è significativa e ha un suo necessario motivo per essere esposta.”
E di fatto, ogni opera è portatrice di una profonda e attualissima riflessione sui limiti e le potenzialità del corpo, sulla sua fragilità o potenza, sulla sua sparizione o insolente moltiplicazione. Accomuna tutte le opere, nessuna esclusa, l’intenzione di sollecitare del disagio, sollevare una reazione che non sia una mera e passiva contemplazione ma bensì un malessere. 

Corpus Domini – Foto Allestimento – Chrles LeDray – Foto EdoardoValle
Corpus Domini – Foto Allestimento – Sun Yuan & PengYu – Shiota Foto Edoardo Valle
Oscar Munoz, Proyecto para un memorial, Courtesy l’artista / the artist e / and Mor Charpentier Foto: Ramiro Chávez

Ci sono delle opere in mostra che, anche grazie alla loro collocazione, ci ‘muovono’ delle particolari reazioni. Penso al senso di inquietudine davanti al cumulo di abiti nell’opera di Boltanski, accatastati come fossero i resti o le spoglie di corpi svuotati; la piccola opera di Rober Gober Bird’s Nest (2018-2019) che consiste in un assemblage di elementi da cui si profila il calco di una gamba fusa in cera d’api, completa di cerotto, calza e sandalo, sul cui troncamento poggia un nido di uova azzurre; la statua in cera a grandezza naturale di Ludwig Wittgenstein mentre contempla un uovo nella sua mano, di Gavin Turk; Denizens of Brussels, una delle ultime rassegne di Andres Serrano, che mostra donne, bambini, cani e tante altre categorie sociali che vivono da senzatetto nella capitale belga; il toccante Muro Occidentale o del Pianto, di Fabio Mauri, una catasta di valigie di cuoio e legno di varie dimensioni che forma un muro alto 4 metri che  simboleggia la vita dei migranti, le loro speranze e preghiere. 
Le tematiche che questa mostra approfondisce toccano ambiti diversi da diverse prospettive, che raccontano la miseria dell’uomo contemporaneo: cadute, contraddizioni, viltà e idiosincrasie che rispecchiano corpi spesso assuefatti da un’irraggiungibile perfezione e una immodesta bellezza. Ma alla perfezione, spesso non coincide un’elevato intelletto, anzi, spesso è proprio il ‘corpo’ interiore che langue e si svuota. 
A raccontare questi corpi celati ci provano gli artisti, dipingendoli con l’acqua, dunque evanescenti, come quelli di Oscar Muñoz così come i corpi colpiti da un proiettile nei grandi disegno di Robert Longo; le sculture dei due ‘turisti’ realizzate in modo iperrealistico da Duane Hanson che guardano un paesaggio altrettanto surreale che è la realtà contemporanea e la donna nuda di John Deandrea, anch’essa realizzata con la massima fedeltà al corpo umano, tanto da avere capelli e peli veri per renderla più reale. 
A questi corpi, che competono per dettagli e imperfezioni con i corpi reali, Vlassis Caniaris risponde con l’opera Where’s North, Where’s South? fatta di corpi di rete metallica che disegnano i profili anonimi di fragili vite umane. Poco lontano le inquietanti ambientazioni miniaturizzate di Charles Ledray. L’artista presenta MEN SUITS, un’installazione composta da tre stazioni illuminate in cui gli scenari sembrano essere quelli di un atelier di vestiti, con l’unica differenza che le proporzioni sono completamente ridotte. 
Tra le stanze più intense di tutta la mostra, quella dedicata a Janine Antoni. L’artista è presente con Slumber: una vera macchina dei sogni che viene attivata attraverso la performance dell’artista stessa. L’opera è composta da un letto su cui la Antoni giace collegata a un rilevatore di onde elettromagnetiche che, tramite la propria oscillazione, disegna linee più o meno turbolente che la stessa artista ricama attraverso un telaio collegato all’opera. La macchina lascia la traccia di un sogno corporeo che segna il passaggio tra l’invisibile e l’umano. 
Quest’opera, più di altre sembra raccontare le intenzioni curatoriali della Miglietti, quando parla di sparizione dei corpi, tracce, resti dell’umano. 
Le premesse di questa mostra sono sintetizzate nello spazio dedicato alla grande critica e saggista Lea Vergine. Nella  prima sala a lei dedicata che apre la mostra, realizzata grazie alla collaborazione con l’Archivio Lea Vergine, sono esposte fotografie, libri, documenti e interviste video che documentano la sua lunga e intensa militanza nel mondo dell’arte, dagli anni Settanta fino ai giorni della sua scomparsa. Alle pareti, le opere di Carol Rama, Gina Pane e Urs Luthi, tre degli artisti che la Vergine ha amato particolarmente. 

Corpus Domini – Foto Allestimento – Antoni – Foto EdoardoValle
Corpus Domini – Foto Allestimento – Longo, Deandrea, Bartana – Foto Edoardo Valle
Corpus Domini – Foto Allestimento – Hanson – Foto Edoardo Valle
Corpus Domini – Foto Allestimento – Caniaris , Mahama – Foto EdoardoValle