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Testo di Livia Sperandio
Il progetto offre la possibilità di ragionare sul concetto di spazio. Qui, il limite strutturale non più letto come ostacolo, è angolo che descrive ciò che possiamo osservare, è ciò che arresta lo sguardo e su cui si imbatte la vista, l’interstizio in cui si accumulano i pensieri. Alcune opere sono esposte a parete, altre sono da ricercare negli angoli, in alto, nei passaggi e nelle congiunzioni murarie.
Eva Brioschi cita Georges Perec che pensa allo spazio come un dubbio, qualcosa che deve essere conquistato studiando le parti di cui si compone.
“ Vivere è passare da uno spazio all’altro
cercando di non farsi troppo male”
Il sottotitolo del libro “Specie di spazi” fornisce una chiave di lettura che vede la vita scandita dai diversi ambienti che abitiamo, conosciamo o affrontiamo di passaggio. Per indagare la banalità, l’ordinario e il rumore di sottofondo, Perec utilizza un approccio tassonomico; elenca quello che il suo sguardo, depurato dallo straordinario, può registrare. Analogamente il procedimento di fruizione di questo progetto, sottolinea che il pensiero si accumula e si stratifica anche negli anfratti esclusi dall’attenzione.
E’ in questa zona di rinnovata concentrazione che gli artisti e le loro opere si misurano, compiendo un passo laterale. L’azione curatoriale si sviluppa dall’interrogazione sull’abituale, sul quotidiano, sullo spazio che occupiamo con i nostri corpi, quella zona che per definizione, essendo ordinaria, rimane uno “scarto” del pensiero confinato in uno spazio bianco.
Protagonista della visione è la linea spezzata che produce un angolo, quella materiale e in tensione del filo nero di Fred Sandback, quella riconosciuta e fotografata da Francesco Gennari con “Il luogo dove non c’è più posto per la coscienza (angolo n.1)” o quella più morbida e vibrante che descrivendo il corpo di Vincent, ritratto da Robert Mapplethorpe, rimanda anche al contatto delle dita di “Untitled (fingers)”, opera di Steve McQueen. Si tratta in ogni caso di oggetti e visioni che hanno la caratteristica della non rilevanza e proprio da questa particolarità traggono valore. Attraversando la considerazione sullo spazio, la struttura espositiva conduce alla riflessione rispetto al rumore; gli artisti sono celebri ma non c’è niente di urlato o di imponente. Il sonoro prodotto dalla mostra è piuttosto assimilabile ad un sottofondo, un vocio dal tono né melodico né sconvolgente, ma diffuso.
Dal momento in cui l’orecchio, dall’udito intorpidito, si avvicina alla condizione vigile dell’ascolto, questa vibrazione assume forma e rilievo, diviene un suono nuovo, armonico e dinamico. E’ in questi luoghi dell’infra-ordinario che si muove la mostra; Francesco Arena colloca il libro “Extreme Orient” proprio dove due pareti della galleria convergono e accanto alla finestra che delimitando lo spazio esterno inquadra la Gran Madre, il Po e il Monte dei Cappuccini. L’angolo opposto con Pratchaya Phinthong, da zona invisibile e non investigata dallo sguardo, diventa punctum dorato con la sua installazione “All is dust”. L’abituale assume anche la forma luminosa del neon con l’intervento “Same words different thoughts” di Maurizio Nannucci, concetto che Giulio Paolini traduce in immagine tramite i due collage su carta. Le opere presentate, di natura fotografica o installativa, muovendosi tra il positivo e negativo dei pieni e vuoti, dialogano perfettamente tra loro in un gioco di rimandi, il cui esito fa pensare che sia una piacevole sensazione abbandonarsi allo stupore dell’ordinario, come svegliarsi da un’anestesia visiva.
Gli autori che espongono i propri progetti sono: Francesco Arena, Richard Artschwager, Talia Chetrit, Daniel Faust, Francesco Gennari, Paolo Icaro, Jochen Lempert, Robert Mapplethorpe, Landon Metz, Maurizio Nannucci, Richard Nonas, Giulio Paolini, Pratchaya Phinthong, Steve McQueen, Fred Sandback, Rosemarie Trockel, Franz Erhard Walther.
CORNERS / IN BETWEEN
Norma Mangione Gallery
A cura di Eva Brioschi
Fino al 28 ottobre, 2017