Intervista di di Carlo Sala —
Il duo Tania & Lazlo lavora da oltre quindici anni nel campo della staged photography creando delle immagini fondate su scenari sospesi tra sogno e realtà, che sono dei veri e propri pretesti per indagare la condizione umana. In questa conversazione abbiamo ripercorso i punti salienti della loro poetica a partire dalla serie realizzata negli Stati Uniti attualmente esposta alla Black Light Gallery di Padova.
Carlo Sala: Nella mostra With half closed eyes presentate per la prima volta in Italia i lavori della serie Hiding from the Sun (2023) dove vediamo immagini situate in una zona liminare e ambigua tra realtà e finzione, in un clima perturbante dove, entro la quotidianità, si inseriscono degli elementi che alterano il normale svolgimento delle cose. Vorrei che mi parlaste di questa serie.
Tania & Lazlo: Il paradosso ci affascina molto, sia pensato in contesti elaborati sia in quelli semplici e quotidiani. Le tensioni che si vengono a creare lavorando su piani contrapposti creano una sovrapposizione di sensazioni e significati che vogliamo indagare. Hiding from the Sun è stata sviluppata a Palm Beach in Florida, nata in un contesto per noi inusuale, per cui le prime sensazioni trasmesse da quegli ambienti risultavano distanti dal nostro sentire. Abbiamo pertanto fatto un lavoro di decostruzione cercando di rintracciare degli elementi che ci aiutassero a ripensare quei luoghi, addentrandoci nel loro lato perturbante dove la natura predomina la scena in quasi tutte le immagini. Nel tempo abbiamo sviluppato sempre maggiormente l’interesse e l’attenzione verso i sottili mutamenti disturbanti che modificano la percezione della realtà, come se queste alterazioni mettessero forzatamente alla prova e obbligassero a porsi interrogativi in merito alla comprensione dell’immagine e a chiedersi cosa stia succedendo, cosa sia successo o cosa succederà. Nell’opera Soaked (2023) si vedono dei piedi con addosso degli scarponcini immersi per metà nell’acqua, a rappresentare il ritrovarsi in una situazione anomala, creando una sensazione straniante e dove un paradiso naturale si percepisce solo attraverso il suo riflesso.
CS: Una delle immagini più significative e stratificate è The Lighthouse (2023) dove sul tetto di una casa è seduta una figura femminile, che cogliamo solo in un secondo momento, immersa in un contesto sospeso dove la luce ha un valore primigenio nel determinare le sensazioni dell’accadimento.
T&L: Si, una luce che avvolge e che richiama, come a voler proteggere, una sorta di canto delle sirene che ti attrae ma che al contempo percepisci poter celare delle insidie. La casa, luogo di rifugio per antonomasia, emana una luce calda e familiare ma al contempo è svuotata da ogni suo elemento interno, facendo convivere il tutto e il niente, l’abbraccio e l’abbandono. Queste sensazioni contrapposte creano una tensione al centro della scena caoticamente incorniciata da numerose foglie di palma cadute a terra e sul tetto, che ci suggeriscono un evento tumultuoso arrivato al suo epilogo.
The Lighthouse, la casa della luce, che al contempo significa anche faro, fa convivere la speranza di ritrovare un altrove calmo e sicuro e la comprensione del valore e della bellezza generati dal caos.


CS: Come ha influito sulle opere il vostro lavorare nel contesto di The Society of the Four Arts di Palm Beach in Florida?
T&L: Durante la residenza d’artista ci è stata data totale libertà di agire in connessione e dialogo con i loro luoghi, questo ovviamente è un presupposto ottimale per sperimentare e lasciarsi contaminare da realtà inedite, e di questo siamo particolarmente grati a Philip Rylands che ci ha invitato per cimentarci in questa esperienza. Lavorare in un luogo mai visitato e con evidenti differenze culturali, sociali e ambientali mette alla prova il proprio sentire e spinge la ricerca in nuove direzioni. Siamo partiti con la consapevolezza che sarebbe stato un progetto diverso, dove avremmo accolto maggiormente l’imprevisto e cercato di entrare in contatto con l’ambiente, decostruendolo dal suo immaginario tipico. In quel contesto abbiamo anche avuto l’occasione di tenere delle lecture sul nostro lavoro, sia per i membri del museo, sia per gli studenti di scuole d’arte ed è stato molto interessante confrontarsi con loro, oltre a respirare l’energia vibrante di Art Basel Miami che si svolgeva in quel medesimo periodo.
CS: La vostra precedente serie Behind The Visible (2014-2015) incarna la volontà di guardare dentro se stessi attraverso immagini che generano cortocircuiti di senso. Parlatemi della sua genesi e di quali sono i principali temi che affrontate.
T&L: Behind the Visible è per noi un progetto cardine realizzato tra l’Italia e gli stati di New York e Connecticut. La sua origine ha inizio proprio con una delle immagini più rappresentative del nostro percorso, Under the Surface (2014), dove il soggetto della foto seduto sul letto in una stanza allagata protende in modo delicato la mano verso un’acqua torbida, abitata da pesci e fiori recisi, iniziando lentamente ad addentrarvisi. Un gesto che passa in secondo piano nella lettura immediata dell’opera, ma che invita ad immergersi nell’inconscio alla ricerca di una maggiore conoscenza di se stessi. Questo invito intimo e destabilizzante è esteso e declinato in diversi modi in tutta la serie Behind the Visible, dove le opere inducono la ricerca di un contatto con memorie, visioni, pulsioni che si sedimentano negli angoli più bui dell’esperienza cosciente e che riemergono attraverso letture a più livelli.
Le opere lavorano in equilibrio precario tra il quotidiano e l’elemento di sorpresa, attraverso immaginari cinematici dall’ambiguità temporale e formale che cercano di insinuare il dubbio all’interno dell’esperienza cognitiva dell’osservatore. Immagini che appaiono riconoscibili e allo stesso tempo disorientanti, come parole che risultano familiari in una lingua sconosciuta.
CS: Questa serie è stata realizzata in America, come avete coniugato nel tempo la vostra formazione e identità italiana e questo legame così forte con gli Stati Uniti?
T&L: Cercando di cogliere i lati stimolanti e anche disturbanti delle due culture. Una commistione di influenze, che parte dalla cultura e storia dell’arte italiana ed europea che hanno formato il nostro sentire ed il nostro essere, mescolata al ritmo veloce di una città stimolante ed impegnativa come New York e le sue molteplici contraddizioni, ma anche alla dimensione monumentale di quella natura americana vasta e incontrollata, che spesso risulta imponente rispetto all’uomo e disinteressata ad esso, e crediamo che questo si possa cogliere anche nei nostri lavori. Tutt’ora cerchiamo di continuare a nutrirci da entrambe le realtà e mantenere questo connubio in un fresco bilanciamento di continuo scambio e arricchimento.


CS: Le vostre opere afferiscono al fenomeno della staged photography, vorrei conoscere il vostro processo di lavoro dall’intuizione iniziale alla realizzazione dell’opera
T&L: L’approccio che abbiamo è sicuramente strutturato e appartiene ad una dimensione lenta, formata da numerosi livelli e stratificazioni, sia concettuali sia nell’uso di diversi media (fotografia, video, performance, installazione), ma succede anche di lasciarsi stupire dall’imprevisto e accoglierlo in forme più spontanee. Il processo segue usualmente fasi ben definite che potremmo riassumere in: suggestioni > approfondimento tematiche e concetti specifici > confronto e aggregazione dei pensieri di entrambi, che vanno poi a sommare e limare le suggestioni iniziali delineando una sorta di compromesso al rialzo > disegni preparatori dei concetti e studio della composizione > costruzione delle scene immaginate creando set dal vivo o facendo interventi site specific in determinate location esistenti > interpretazione dei personaggi in prima persona o direzione nel caso in cui vengano coinvolti altri soggetti.
Sicuramente la dimensione installativa e performativa, che segue la fase di ideazione e ricerca, è molto importante per la realizzazione dell’opera. In questa fase sentiamo il bisogno di percepire e toccare la scena esattamente come sarà poi immortalata nella fotografia finale cercando di calarci nella situazione e viverla dal vero prima che continui ad esistere solo attraverso la sua riproduzione. Il media fotografico, che appartiene alla fase finale del nostro lavoro, è però essenziale in quanto lo usiamo per alterare quell’impressione di realtà intrinseca in questo strumento per rappresentare invece delle scene di finzione, creando un paradosso percettivo.
CS: Da molti anni nelle vostre opere sono sparite le citazioni evidenti che realizzavate nei primi lavori, ma questo non vuol dire che dentro ogni immagine non ci siano varie suggestioni. Quali sono le fonti – tanto di cultura alta che popolari – che influenzano la vostra arte?
T&L: Nei nostri lavori si possono cogliere suggestioni che vengono dal nostro vissuto, pertanto anche dai nostri interessi verso diverse tipologie di arte, oltre all’arte contemporanea, anche il cinema, la musica e la letteratura. Cerchiamo di seguire da vicino anche la scena indipendente che racchiude spesso al suo interno una freschezza comunicativa. Molto importante rimane anche l’influenza della città di New York dove trascorriamo diverso tempo ogni anno e dove ci lasciamo affascinare da nuove ricerche artistiche e retrospettive importanti.
CS: La nuova esposizione si intitola With half closed eyes, cosa vuol dire per voi avere – metaforicamente – questo sguardo socchiuso sul mondo?
T&L: With half closed eyes suggerisce al visitatore una lettura delle opere intima e profonda, che spinga a misurarsi con dimensioni altre, legate ai lati irrisolti dei propri vissuti, reali e immaginati, quasi si trattasse di una visione ad occhi socchiusi. In una prospettiva più ampia, uno sguardo che riesca ad addentrarsi lentamente nelle cose, che entri in profondità nella complessità della vita e delle sue molteplici sfaccettature, un filtrare quello che vediamo della realtà, rallentando il tempo e riscoprendo un modo di vedere disassuefatto. Socchiudendo gli occhi la percezione immediata diventa disorientante e si è portati ad allertare gli altri sensi, ampliando la capacità di ricezione.
Tania & Lazlo. With half closed eyes
Black Light Gallery, Padova
Via Dante 87/89
dal 12 Aprile al 18 Giugno 2025
Cover: Tania & Lazlo Gathering Storms, 2023

