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L’inaccessibilità dei fatti. Una conversazione con Federico Pozuelo

Intervista di Leonardo Pietropaolo — «Risolvere il caso significherebbe creare una teoria sulla morte di quelle persone, stabilire la regola che le ha uccise». Stanisław Lem, Febbre da fieno Federico Pozuelo (Madrid, 1992) è borsista presso Castro Projects a Roma (2022) e a novembre ha presentato il suo ultimo lavoro, Burden of proof, durante la […]

Burden of proof, Federico Pozuelo. Still of the video. 2022

Intervista di Leonardo Pietropaolo

«Risolvere il caso significherebbe creare una teoria sulla morte di quelle persone, stabilire la regola che le ha uccise». Stanisław Lem, Febbre da fieno

Federico Pozuelo (Madrid, 1992) è borsista presso Castro Projects a Roma (2022) e a novembre ha presentato il suo ultimo lavoro, Burden of proof, durante la ventinovesima edizione di Artissima, in occasione del Torino Social Impact Art Award, premio di cui è risultato uno dei vincitori. Questa conversazione è dedicata a esplorare la sua pratica artistica, attraverso la quale indaga le relazioni tra le narrazioni e la costruzione della realtà.

Leonardo Pietropaolo: Mi piacerebbe iniziare questa conversazione parlando della tua pratica e in particolare dei tuoi ultimi video. In queste opere è centrale il tema della narrazione, che tu indaghi da una prospettiva critica. A partire da una rielaborazione delle strutture del genere crime, poni in questione quella necessità di trovare sempre una verità che è tipica del razionalismo occidentale. E per mettere in crisi tutto ciò giochi a disattendere le aspettative che lo spettatore ha quando si trova davanti a una storia crime, dato che nelle sceneggiature che scrivi i fatti sono inaccessibili e non possono essere spiegati. Restano sempre aperti dei vuoti, dei dubbi…

Federico Pozuelo: Sì, voglio che la narrazione resti sospesa perché se chiudessi il finale farei ricorso a quegli stessi meccanismi che sorreggono le strutture che voglio criticare, o su cui sto riflettendo. Dare una risposta alla storia significherebbe spiegare il meccanismo con cui si è arrivati fin lì, che sia un meccanismo causale o di tipo storico-positivista. L’assenza di una risposta mi permette di mantenere una modalità critica, serve a lasciare uno spazio aperto per lo spettatore, che poi potrà completare la storia in svariate maniere possibili. Prendiamo ad esempio Burden of proof, il lavoro che ho realizzato nel contesto del Torino Social Impact Art Award con il tutoring di Treti Galaxie. Nel video lascio indizi che permettono di leggere la storia in modi differenti. “Ma è un crimine razzista?”, mi chiedono in molti. Se ti limiti a utilizzare solo alcuni elementi presenti nella storia allora puoi credere che sia così, perché ti consentono di entrare in quella dinamica narrativa. Il lavoro si può però leggere anche diversamente: c’è un fatto che può essere spiegato sia in maniera razionale, sia in modo un po’ più magico. È sempre presente una luce che vibra nel video, che crea un’atmosfera creepy, perché infonde dei dubbi su ciò che stai osservando. Lo spettatore non sa se c’è un terzo fattore sconosciuto e miracoloso che giustifichi il fatto, o se semplicemente non ci sono abbastanza prove per fornire una spiegazione esaustiva. Anche l’ambiente in cui è stato girato il lavoro, un edificio progettato da Oscar Niemeyer all’inizio degli anni Ottanta e in disuso da inizio secolo, contribuisce ad amplificare questa atmosfera di incertezza.

Despite the facts, Federico Pozuelo. Still of the video. 2022

L.P.: Anche in Despite the facts, lavoro che precede Burden of proof, mi sembra esserci una dinamica simile.

F.P.: Lì ho ragionato più sull’idea per cui non è mai possibile accedere al fatto in sé, ma bisogna costruirgli sempre attorno qualcosa che gli conferisca un senso. L’ultima frase del video è molto esplicita e ti fa capire che non importa ciò che è accaduto. Importa solo quello che è stato narrato: ognuno trae le sue conclusioni. L’accesso al fatto è impossibile. E questo è forse un secondo aspetto presente nei miei lavori: puntare l’attenzione su come agisce la gente. La gente agisce attraverso credenze che si creano e si tramandano, e in ciò interviene il ruolo delle narrazioni e del modo in cui vengono costruite. Per esempio, tornando a Burden of proof, mi interessava osservare il fatto che noi abbiamo determinati punti fermi (scientifici, sociali, culturali) per operare connessioni causali e per leggere la realtà. Tutto ciò lo utilizzo a favore della narrazione. Il poliziotto, mentre prepara la scena del crimine, a un tratto dice: “dobbiamo essere precisi! La realtà deve avere un senso”. Quello che voglio dire è che capire la realtà è molto complicato senza una narrazione che la costruisca, che le conferisca un senso. Chiaramente in questi discorsi è presente anche una critica al modo in cui il potere si serve di tali meccanismi.

Archival material n.7, Federico Pozuelo. Turin, 2021. Photo Gabriele Abbruzzese

L.P.: In passato hai vissuto e studiato per diversi anni a Carrara, poi ti sei trasferito a Torino, due città che storicamente hanno una forte tradizione di lotte politiche. In che modo la relazione con queste due città e con la loro storia di lotte ti ha portato a interessarti al rapporto tra narrazione e verità?

F.P.: Da Madrid mi sono spostato a Carrara, dove ho vissuto in una realtà più piccola in cui è molto forte il movimento degli anarchici, con cui sono stato a contatto. Sicuramente a Carrara ho potuto osservare un certo modo di costruire le narrazioni: essendo una realtà di dimensioni ridotte è facile rintracciare le vicende locali, che cosa fanno le persone, quali sono le loro storie. Lì, inoltre, gli anarchici hanno costruito una loro tradizione, con blasoni, bandiere, ma anche vere e proprie processioni, come quella del Primo Maggio. Però a Carrara non avevo ancora sviluppato quell’interesse verso i rapporti tra narrazione, verità e costruzione dei fatti che mi sembra appartenere maggiormente al periodo torinese. A Torino c’è una questione politica che ho percepito come tuttora attiva. Forse soltanto ora si sta davvero storicizzando ciò che è accaduto negli anni Settanta, perché inizia a esserci un filtro maggiore ma anche una maggiore attenzione verso quegli anni lì, quando ci furono molti episodi in cui era davvero complesso capire che cosa fosse accaduto. È da qui che nasce il mio interesse. Anche perché si tratta di un’epoca storica che ha investito non solo le vite degli italiani, con l’atmosfera di terrore degli Anni di Piombo, ma anche l’Europa intera. Attentati, cellule terroristiche, tensione ovunque. La paura era diffusa in modo capillare e tuttora è difficile comprendere bene cosa accadde…molte piccole storie di cui non è mai chiara la causa. E a Torino ho realizzato che si può individuare un rapporto diretto tra questi eventi e la sfera culturale dell’epoca. C’è una parte del cinema anni ’70 in cui i confini tra cinema e fatto storico tendono a sfumare. Anche se forse suona troppo postmoderno per il 2022, per me non c’è differenza tra vedere un film di Elio Petri e capire chi ha ucciso Pinelli o Feltrinelli. Non sono cose così lontane tra loro. Parlo proprio del modo in cui si è poi strutturata la narrazione storica, di come la stampa ha narrato quegli eventi. Mi sembra che ci sia stato quasi un ricorso alla struttura della narrativa cinematografica, come in un poliziesco: qualcuno ha fatto questo, qualcun altro ha fatto quest’altro; c’è una bomba, che ha una connessione con questo evento, poi con quello, bim bam bim, e per questo motivo qualcuno è morto. Questo interesse mi ha portato a fare una ricerca d’archivio per approfondire la storia di quegli anni, e per formalizzarla ho poi avuto l’idea di scrivere un copione. Despite the facts è iniziato con tutta questa grande ricerca.

L.P.: Ora sei a Roma per alcuni mesi, c’è qualcosa della città che ti ha colpito in relazione a questi tuoi interessi?

F.P.: Roma mi sembra molto diversa sia da Torino che da Carrara, e solo ora, dopo qualche mese, sto iniziando a sviluppare una vera relazione con la città. Si sente una forte divisione tra centro e periferia, così come tra le fasce alte e basse della società. Per il momento, però, è qualcosa che non conosco sul serio e su cui non posso proporre un’analisi. Credo che sia un luogo che capirò davvero col passare del tempo, ma mi interesserebbe comprendere quali sono le storie che caratterizzano la città e in che modo posso entrarci in contatto.

Installation view, Federico Pozuelo, Lo invisible, Sala Amadís, curated by Adonay Bermúdez. Madrid, 2022. Photo Sue Ponce

L.P.: Nei lavori di cui abbiamo parlato la formalizzazione non si arresta mai ai soli video. Con Despite the facts hai prodotto anche un’opera che ha le sembianze di un finto archivio, mentre un oggetto di scena del set di Burden of proof è stato concepito come una scultura a sé stante. Da dove nasce questa esigenza di non fermarti soltanto al video e di espandere i progetti con altre produzioni?

F.P.: La prima risposta che posso dare è che provengo da un background di formazione in scultura, che mi ha lasciato un interesse verso il funzionamento dell’oggetto in sé. In questi casi sono attento non tanto a come questi oggetti funzionano in maniera autonoma, ma a come si inseriscono all’interno della struttura del progetto. In secondo luogo, l’esigenza che mi porta a uscire dal video è quella di accentuare e riflettere. Se la componente video abbraccia gli aspetti che hanno una natura più narrativa e concettuale, mi piace però anche espandermi formalmente utilizzando altre soluzioni, che sono già contenute e in qualche modo controllate dalla struttura del progetto. L’idea del finto archivio, ad esempio, va a rinforzare le riflessioni sul rapporto tra realtà, narrazione e fatto. Fa emergere domande su quale sia la differenza tra una foto di attori sulla scena di un crimine che non è mai avvenuto e la foto di un crimine che è davvero accaduto. So che è una questione molto relativista, ma trovo interessante indagarla anche tramite altri linguaggi. Chiaramente entrano in gioco riferimenti legati al postmoderno e alla teoria dell’immagine. Penso a Blow Up di Antonioni: l’immagine è autonoma, ha una realtà in sé, però genera delle credenze che agiscono sul reale. È qualcosa che metto in gioco fuori dal video, ma anche nel video stesso. In Despite the facts, ad esempio,mi muovo nel campo del finto documentario. Ho chiamato degli attori che sono stati legati a movimenti politici, che sono stati anche in galera, e ho scritto per loro un copione la cui trama è molto vicina, ma non identica, alle storie che hanno vissuto. Si genera un piccolo cortocircuito meta-cinematografico, tra realtà e finzione, tra quello che vedi, che sembra dire una cosa, e quello che sai, ovvero che ciò che stai vedendo è finto. Si crea una vibrazione molto forte…

Despite the facts, Federico Pozuelo. Still of the video. 2022