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Un dialogo ‘a due’: Michelangelo Consani e Emanuele Becheri alla Galleria ME Vannucci, Pistoia

Fino al 21 aprile la Galleria ME Vannucci di Pistoia, ospita A due #2: Opere/Costellazioni, il secondo capitolo di una serie di dialoghi e incontri che creano un ponte tra artisti della galleria e figure selezionate direttamente da loro o individuate per affinità elettive. I due artisti selezionati per questo secondo appuntamento sono Michelangelo Consani […]

Opere/Costellazioni, veduta della mostra. In primo piano: Michelangelo Consani, Sopra i figli dei figli il sole, 2019, bronzo patata e erba prelevata dal parco di Celle. Courtesy Galleria ME Vannucci, Pistoia. Ph Ernesto Mangone.

Fino al 21 aprile la Galleria ME Vannucci di Pistoia, ospita A due #2: Opere/Costellazioni, il secondo capitolo di una serie di dialoghi e incontri che creano un ponte tra artisti della galleria e figure selezionate direttamente da loro o individuate per affinità elettive. I due artisti selezionati per questo secondo appuntamento sono Michelangelo Consani (Livorno, 1971) ed Emanuele Becheri (Prato, 1973). Consani, che ha iniziato la collaborazione con la galleria ME Vannucci nel 2021 con la mostra personale “Attraversò il campo di patate senza farsi alcun male”, curata da Pier Luigi Tazzi, ha coinvolto Becheri per questo progetto a quattro mani. I due artisti, a loro volta, hanno invitano l’artista e amico Francesco Carone a contribuire alla mostra con un testo.
Tema delle loro ‘conversazioni’ il linguaggio scultoreo, gli sguardi su un materiale classico come il bronzo, ma anche la definizione stessa di relazione tra artisti. Nell’intervista che segue abbiamo cercato di sondare come è nata la mostra, ma non solo anche capire l’importanza di saperla capire e raccontare. 

Elena Bordignon: Il ‘dialogo’, fin dalla notte dei tempi, è un procedimento di ricerca condotta mediante interrogazioni fra due o più interlocutori. Se vogliamo esser più precisi, in filosofia, la sua origine ci porta a Seneca. Nell’antichità il dialogo si svolgeva per lo più nella forma scritta, in età moderna, invece, il dialogo è diventata una vera e propria pratica filosofica di indirizzo fenomenologico. Nell’arte, traslare questo processi introspettivo – a due – può dare esiti decisamente incontrollati e lungimiranti. Mi raccontate come avete vissuto questo ‘discorso’ alterno?

Michelangelo Consani: In realtà più che riferirci al dialogo in senso “classico”, noi abbiamo operato in modo diverso.  Non ci sono stati scambi rigidi ma piuttosto aperture poetiche. Siamo stati liberi come è giusto che sia, ma controllati, nel rispetto dell’altro. Senza dubbio abbiamo lavorato molto per il raggiungimento del nostro obiettivo; per dirla brevemente siamo stati degli “Anarchici organizzati”.

Elena Bordignon: Il dialogo A Due – che è anche il nome dell’iniziativa della Galleria ME Vannucci che coinvolge sempre un artista che ne invita un altro – nel vostro caso è iniziato con Michelangelo Consani che ha invitato Emanuele Becheri. Una domanda per Michelangelo: perché hai deciso di invitare Becheri? E perché, entrambi, avete coinvolto un terzo artista, Francesco Carone, a scrivere un testo? 

Michelangelo Consani: Il lavoro di Emanuele lo conosco bene e lo seguo da diversi anni. Mi ricordo ancora, le grandi carte nere sulle quali depositava le lumache che con la loro bava tracciavano traiettorie “immaginifiche”, opere assolutamente meravigliose. Oggi le opere di Becheri sono il risultato del lavoro costante dello scultore, che con la pratica del fare modella e studia all’interno del proprio atelier quotidianamente. Quindi il motivo per cui ho deciso di coinvolgere Emanuele in questo dialogo è semplicemente il fatto di “vivere la scultura” quasi come un artista di altri tempi nell’accezione positiva del termine. Becheri, Carone ed io siamo grossomodo della stessa generazione e proveniamo dalla stessa regione, la Toscana. Francesco Carone utilizza nel suo lavoro anche la scultura e ha un’abilità innata nello scrivere testi che colgono bene l’anima delle opere. Questi sono i motivi per cui è stato coinvolto. 

Emanuele Becheri: L’invito a Francesco è stato nel segno della continuità: l’avevo chiamato a scrivere per una mia mostra al Museo del 900 di Firenze, nel 2019, e in quell’occasione invitai anche altri artisti: mi incuriosivano sguardi sul mio nuovo lavoro plastico. Nacquero dei testi intimi suggestionati dalle visite in studio. Mentre in quest’occasione Francesco scava nella sua memoria, costruendo in una sorta di ritratto con autoritratto la sua personale visione dell’origine del gesto artistico. La sua è la chiara voce di uno scultore, quella di chi vede e riesce a scrivere per Figure. Parole che adesso trovano eco nella mostra.   

Opere/Costellazioni, veduta della mostra con le opere: Michelangelo Consani, il Malatiello, 2023, marmo nero del Belgio, legno, 34x32x133 cm; Emanuele Becheri, Figura, 2020, terracotta, ossidi, 65x12x30cm; Emanuele Becheri,Testa, 2018, terracotta, ossidi, h27 cm ; Emanuele Becheri, Coppia, 2023, terracotta, ossidi, 32x18x31cm. Courtesy Galleria ME Vannucci, Pistoia. Ph Ernesto Mangone.

Elena Bordignon: In questo dialogo a due, quali affinità o divergenze avete scoperto? Al di là dell’amicizia e delle analogie dei vostri percorsi artisti, il vostro dialogo si è focalizzato sul senso, sulle finalità e sulle procedure del linguaggio scultoreo. Mi raccontate cosa avete scoperto dal confronto che avete avuto?

Michelangelo Consani: A questa domanda ho parzialmente risposto precedentemente. Il mio modo di intendere la scultura differisce da quello di Emanuele e questa è la cosa interessante scaturita da questo dialogo. Le mie opere sono praticamente figurative. Le basi delle sculture sono parte integrante della scultura stessa, che siano pezzi di design o elementi di falegnameria costruiti a completamento dell’opera. Diverse sono le opere di Emanuele che, anche se racchiuse in delle teche, vivono di autonomia propria. Quindi siamo molto diversi anche dal punto di vista puramente estetico, ma abbiamo lavorato in modo rigoroso sullo spazio per costruire una mostra non di facile fruizione per lo spettatore. Per dirla alla Graham Chapman “la nostra più grande conquista fu liberarci della battuta finale”.

Emanuele Becheri: Fino ad alcuni anni fa non avevo nessun rapporto particolare con Michelangelo. Ci guardavamo forse da lontano. C’eravamo incrociati, e nel 2019 mi aveva invitato a una mostra da  lui curata al Museo d’Inverno, ma ancora non c’era stata la scintilla che avrebbe portato alla mostra attuale. È successo lo scorso anno, quando Michelangelo mi ha mostrato un Serpente (che adesso è in mostra), un’opera aggressiva, una fusione in bronzo di piccole dimensioni dove ho sentito immediatamente il fatto scultoreo, quell’intelligenza della mano che sveglia il tempo e riempie il vuoto di uno spazio. Era successo qualcosa.

Elena Bordignon: Per Michelangelo – come racconteresti il tuo considerare tutte le opere in mostra, come elementi di un unico autoritratto? Che nessi e analogie possiamo intravedere tra le opere che esponi?

Michelangelo Consani: Le opere appartengono a vari periodi della mia vita: dalla fanciullezza all’adolescenza, all’essere uomo adulto ora. Un esempio per tutti è rappresentato da una scultura con la quale ho convissuto fin da bambino, un daino in gesso a tutto tondo. L’ho sempre portato con me, trasloco dopo trasloco, nel corso di quasi un lustro. Il gesso, materiale estremamente friabile, non è di facile conservazione e così la scultura ha subito nel corso degli anni delle trasformazioni a causa di agenti accidentali: prima ha perso le orecchie, poi parte degli arti ed infine, cadendo, si è incrinata in molti punti. Recentemente ho deciso di effettuare una fusione in bronzo per cercare di bloccare il tempo. Tutte le sculture in mostra sono il risultato di esperienze temporali diverse e sono collegate naturalmente tra loro proprio perché rappresentano un’evoluzione dell’opera; è come se si assistesse al mio invecchiare nel tempo.

Elena Bordignon: Per Emanuele – nelle tre opere in mostra scorgo una sorta di riflessione su quelli che sono gli archetipi della scultura classica: Testa, Figura e Coppia. Qual è la genesi di questa serie di opere?

Emanuele Becheri: “Dovrebbe forse scomparire l’umanità per rendere vana la costruzione di una Testa?”, s’interrogava Giacometti fra mille dubbi. Vanitas sotto pelle, la Testa ritrae il paesaggio, ci appartiene nel movimento, accentra lo guardo da lontano, da vicino svela il dettaglio, e come mi suggerisce spesso Luca Rento “la Testa è l’unico modo che ci permette di guardarci negli occhi”. Più che archetipica, pare lo sguardo più sensibile dell’artista verso il mondo, il luogo scultoreo da cui trasmettere dati sensibili. Spesso ho cercato d’immaginarmi la testa del Torso di Belvedere o come mi apparirebbe, per contro, la scena plastica  troiana con il Laocoonte decapitato fra i figli morenti…

Michelangelo Consani, il Malatiello, 2023, marmo nero del Belgio, legno, 34x32x133 cm. Ph Nicola Gnesi. Courtesy galleria ME vannucci, Pistoia.

Elena Bordignon: Per Francesco Carone – Anche tu in questi ultimi anni hai “modellato” delle Teste

Francesco Carone: Mi incuriosisce ciò che dici sulle teste mancanti – o da rimuovere – nella grande statuaria perché proprio in questo periodo sto ragionando su alcuni soggetti decollati: da Golia a Sante Caserio, passando per i santi cefalofori e tanti altri classici.
Tra realizzare una semplice testa e quella di un soggetto a cui fu tagliata, la differenza sta nel corpo: nel primo caso questo può esser dato per scontato, nel secondo è invece fondamentale ricordarlo, seppur per assenza.
Benvenuto Cellini realizzò la testa della Gorgone antecedentemente – e forse in maniera funzionale – a tutto il resto. Questo sfasamento temporale è ancora oggi evidente: il corpo accasciato a terra sembra non appartenere (o non appartenere più) a quella testa ostentata da Perseo.
Ho realizzato teste in molti materiali, ma soprattutto amo tornirle in ceramica, come fossero anfore capovolte, così da potervi versare o nascondere dentro una personalità, un carattere, dei pensieri e magari anche un’anima segreti. Non basta fare due fori in un cerchio, le emoticon e prima di loro gli smile ci ricordano quanto sia semplice ed inconscio individuare un volto umano in qualsiasi forma, seppur senza dettagli anatomici.
Questo fenomeno chiamato pareidolia insieme al polveroso voodoo style tribale e alla gommosa fissità (dell’idiozia) androide, negli ultimi anni ha invaso di superficialità il panorama artistico, confondendo così essenzialità con banalità. Un campionario di teste vuote, di volti assenti, inconsistenti, leggeri, “invecchiabili”, seppur nati vecchi: maschere nel più roseo dei casi.
È necessario modellare prima l’interno, il nucleo, il nocciolo e solo dopo rivestirlo di quella polpa superficiale che ne definirà l’aspetto esteriore di scultura. L’arte non si limita a ciò che è visibile con gli occhi, sembra banale ma talvolta fa comodo ripeterselo. Tanto più per un soggetto come questo, che ci guarda (e ci spoglia) mentre lo stiamo guardando.

Elena Bordignon: Nella project room presentate due opere destinate a “non separarsi mai”. Cosa lega le due opere in questa relazione indissolubile?

Michelangelo Consani: Abbiamo presentato le due opere senza conoscerle a fondo; in realtà appena avvicinate tra loro si è da subito scritto un “sonetto” destinato a non essere mai scordato.

Emanuele Becheri: L’ala adagiata di Michelangelo esposta vicino al mio Studio per figura e l’attiguo controcanto di Francesco Carone, rappresentano tre differenti gesti che afferiscono alla plastica. Sono mostrati in una stanza separata dalla mostra, un’enclave come luogo ideale dell’incontro e dello scambio; risultato del tempo che ci siamo presi in questi ultimi anni.

Emanuele Becheri, Testa, 2018, terracotta, ossidi, h27 cm. Ph Emanuele Becheri.