“Luogo di cultura, di arte contemporanea, di spiritualità”: brevemente ma arrivando al nocciolo, Angela Vettese presenta uno dei luoghi votati all’arte più significativi in Italia, la Villa e Collezione Panza, a Varese, che da alcuni giorni ospita l’opera di Arcangelo Sassolino “La Condizione del Desiderio” (fino al 23 febbraio 2025).
L’installazione di Sassolino è ospitata nella project-room della Villa, in contemporanea con la mostra a cura di Gabriella Belli con Marta Spanevello, “Nel tempo”. In merito alla compresenza di questi due progetti, spiega Vettese, curatrice della project-room di Sassolino: è “un modo per centrare le questioni fondamentali del nostro vivere, del nostro tempo. E non si tratta solamente del tempo presente, ma le mostre trattano soprattutto il nostro ‘vivere’ come dato permanente nella storia di noi esseri umani.”
In una dimensione dalla temporalità dilata, dove il tempo diventa un concetto filosofico dai molteplici significati, si inserisce l’opera di Sassolino che si pone come una riflessione “su qualcosa di momentaneo, contingente, anche se le riflessioni che suscita sono di carattere permanente.”
La monumentale installazione è composta da putrelle, ferro e metallo, e due lastre di marmo di Carnia. A muovere le due lunghe braccia metalliche, un dispositivo pneumatico, una pompa azionata da un compressore ad acqua, che suscita il movimento di un lunghissimo asse che porta le due lastre a oscillare in modo basculante. I paragoni metaforici potrebbero essere tanti; la sua forma ricorda una grande trivella, ma anche un gigantesco metronomo che con i suoi movimenti, sembra rimarcare un tempo incommensurabile. In tutta la sua imponente fisicità, l’opera occupa l’intero spazio della Scuderia Grande.
Con i suoi lenti e cadenti movimenti, l’opera diventa ipnotica perchè ha in sé un momento che eccede le nostre capacità fisiche, va la di là delle dimensione del nostro corpo. E’ come se ci sentissimo avvolti in questo movimento. Di fatto il primo pensiero che formuliamo entrando nella grande sala, dettato da un istinto irrazionale, è quella di essere in pericolo; entriamo lentamente cercando un punto dove soddisfare la piena visibilità senza compromettere la nostra sensazione di sentirci al sicuro.
Perchè ha scelto il titolo “La condizione del desiderio”? L’opera ha avuto una prima fase nel 2009, in cui si chiamava, Time Tomb; era un’altra versione, un germe di quella attuale. Allora il titolo esplicitava la ‘fine del tempo’ della tensione che suscita il tempo, l’attesa. Da quella versione, il progetto ha avuto molte modifiche, anche dovute alle prime impressione che ha avuto l’artista vedendo per la prima volta il grande spazio che avrebbe ospitato l’opera.
“Quando sono entrato in questo spazio”, spiega l’artista, “mi è tornato in mente il lavoro di Hasselt e ho capito che qui c’erano le condizioni ideali per mostrarlo: per la sua dimensione, per l’acustica, per la luce e per il fatto che Villa Panza è un tempio di meditazione minimale”.
In questa seconda versione l’attesa diventa una condizione, appunto, in cui il desiderio rimane nel suo stato perenne. Spiega la curatrice: “C’è una distanza tra noi e il compimento del desiderio, e questa distanza diventa una tensione attiva: noi cerchiamo di arrivare al compimento del desiderio che non è detto che arrivi. Questo protendere verso, diventa allora una condizione desiderante, un moto perpetuo verso un meta che forse è raggiungibile o forse no. Ecco allora che il movimento dell’opera, l’azione costante del sali e scendi diventa la metafora che ben racconta questa condizione desiderante. In quest’opera non ci si concentra sul desiderio compiuto, ma sull’attesa che è pesante, è spasmodica anche se controllata; è gigantesca – almeno nella nostra mente assume dimensioni gigantesche – riguarda l’oggetto del desiderio che a tratti sembra molto vicino, certi altri momenti irraggiungibile. C’è un discorso sull’uomo, di poeticità, di poesie sulla condizione umana, e c’è anche una dimensione di lotta, di tensione nel senso del fare la guerra alle condizioni così come stanno, alla vita così com’è, come a volerne raggiungere un’altra. Uso la parola guerra, anche se in questo momento non è tra le più appropriate, perchè inaspettatamente, quando ho chiesa a Sassolino quali sono i suoi libri preferiti, mi ha risposto che ama molto leggere i libri dedicati alla guerra; non nel senso di libri dedicati alle dinamiche di distruzione dell’altro, di violenza, ma guerra come strategia, guerra come modo per ragionare, come un modo per disporre le forze e poi metterle in maniera tale che possano agire.”
Le ragioni profonde fatte emergere in modo magistrale dalla Vettese, incontrano, formando una perfetto connubio, le motivazioni ‘pratiche’ dell’artista che sembra avere la capacità di tradurre complessi e profondi concetti esistenziali in opere dall’estrema pulizia formale, dalla cristallina funzionalità tecnica e dalla distillata scelta dei materiali. Ospitata in questo luogo – dove sono conservate nella collezione Panza, opere dalla forte valenza spirituale ed emotiva – accresce non solo la sua leggibilità ma la colloca in perfetta sintonia con un tipo di ricerca che fa della sintesi e della polizia formale, una delle sue più magistrali caratteristiche.
La mostra è presentata dal FAI – Fondo per l’Ambiente Italiano
L’installazione è accompagnata da un catalogo, edito da Magonza, con un’inedita intervista di Angela Vettese all’artista, un testo di Gabriella Belli e uno di Marta Spanevello.
La project room si inserisce come arricchimento e aggiunta all’esposizione Nel Tempo. opere della Collezione Panza, inaugurata il 6 giugno 2024 che durerà fino al 6 gennaio 2025.