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Condividere frasi in un campo allargato | Intervista a Cesare Viel

Intervista di Francesca De Zotti — È in corso fino al 12 marzo 2022 Condividere frasi in un campo allargato, mostra personale di Cesare Viel presso Galleria Milano, in collaborazione con la galleria Pinksummer di Genova. In occasione della mostra...

Cesare Viel, Condividere frasi in un campo allargato, 2021. Courtesy Cesare Viel e Galleria Milano. Ph. Roberto Marossi

Intervista di Francesca De Zotti —

È in corso fino al 12 marzo 2022 Condividere frasi in un campo allargato, mostra personale di Cesare Viel presso Galleria Milano, in collaborazione con la galleria Pinksummer di Genova. In occasione della mostra ho posto alcune domande all’artista in merito a questo progetto e ad alcune tematiche che attraversano il suo lavoro.

Francesca De Zotti: Il titolo della mostra racchiude due temi, il linguaggio e lo spazio, che nel tempo hanno accompagnato – e tuttora accompagnano – la tua ricerca. Come sei approdato a questa spazializzazione del linguaggio?

Cesare Viel: Fin dall’inizio del mio lavoro in realtà mi ha interessato sempre la “spaziatura” in un testo, intesa come “disposizione degli spazi nella composizione tipografica, compreso l’insieme dei mezzi utilizzati per raggiungere lo scopo”, dunque il fare spazio tra le frasi di un testo, così come tra i pensieri e le parole di una frase, e tra i segni tracciati sulla pagina. La scrittura per me è stata sempre una pratica per lasciar esistere i vuoti. Da qui, dalla superficie di una pagina alla realtà estesa e fisica del pavimento in uno spazio il passaggio è stato inevitabile, fluido, quasi naturale. Ovviamente ci sono voluti anni di esperienza e di ricerca, professionale e creativa, intorno alle dimensioni dell’installazione e della performance. 

FDZ: Alle frasi scritte a mano sono accostati alcuni disegni raffiguranti massi da scogliera; le parole, al pari delle rocce, possono essere viste come una barriera antierosione dai tempi che stiamo vivendo. Pur appartenendo a piani differenti, parola e immagine diventano forme di resistenza. Come dialogano questi due diversi livelli nel tuo lavoro?

CV: Parola e immagine muovono per me dal silenzio e dall’invisibile, e dialogano da una distanza che va rispettata e maneggiata con cura. Insieme costituiscono un serbatoio di energie che necessitano di tempi a volte difficili, se non impossibili, da programmare a tavolino. È spesso anche un conflitto, quello tra immagine e parola, che deve essere ascoltato e risolto. In questa mostra ho sentito particolarmente forte il richiamo di una spinta al dialogo tra le due dimensioni, sempre rispettando le reciproche differenze: le parole non descrivono le immagini, le immagini non illustrano il contenuto delle frasi. Le parole e le immagini che creo sono sempre una forma di resistenza alla dispersione, ma anche all’irrigidimento del significato. Disegnare massi da scogliera, come barriere sul vuoto, in questo caso, significava darsi il tempo necessario per capire il tipo di relazione che avrei intrattenuto con i segni della lingua nello spazio e con la loro organizzazione nella mostra. Disegnare massi è risvegliarsi all’esperienza forte e coraggiosa dell’attesa.

Cesare Viel, Lo strato più duro del linguaggio, 2021. Courtesy Cesare Viel e Galleria Milano
Cesare Viel, Massi da scogliera, 2021. Courtesy Cesare Viel e Galleria Milano

FDZ: Rispetto a questo “paesaggio di frasi”, il fruitore si pone su di un punto d’osservazione privilegiato che gli permette una visione d’insieme, ma al tempo stesso parziale perché non è in grado di afferrare ogni elemento con la stessa completezza, se non soffermando volontariamente lo sguardo più a lungo. Qual è il criterio alla base di questa geografia e cosa ti ha spinto a utilizzare una prospettiva allargata?

CV: Il criterio complessivo utilizzato per questo progetto è stato un metodo aperto in cui ho attivato l’esercizio dell’invito, dell’attesa e della calma. C’era una dimensione d’imprevisto (non avrei saputo in partenza le risposte delle frasi degli altri), e di necessaria attesa nel tempo. Non dovevo avere fretta, dovevo stare nella situazione che avevo progettato e desiderato, in una condizione di ascolto. E occorreva fare spazio, allargare i confini del progetto, e del rapporto tra me e lo spazio, tra me e tutti gli altri coinvolti, accettare e includere un non so che di dispersivo, compreso il rischio di non sapere. In fondo questa mostra è anche un’indagine gentile sul chiedere qualcosa a qualcuno e vedere che cosa succede, in questi tempi di pandemia che ci hanno così trasformato tutti dentro. Che tipo di onde sarebbero arrivate? Ho sentito che anche il pubblico, una volta entrato nello spazio della mostra, doveva viverla come una scoperta, soprattutto come un’esperienza – percettiva ed emotiva – in cui trovarsi in un paesaggio calmo, composto di frasi a perdita d’occhio, e provare una qualità dell’attenzione basata sulla relazione tra vicinanza e lontananza.

FDZ: Di recente mi sono imbattuta in un tuo testo che accompagnava la mostra La comunità sintattica (Galleria Paolo Vitolo, Roma, 10 aprile – 9 maggio 1992) in cui scrivevi che “la superficie del linguaggio ci offre la garanzia di un assestamento”. Pensi possa avere ancora questo ruolo?

CV: Direi proprio di sì. Un assestamento e non un fondamento. Credo proprio che il linguaggio sia una pratica infinita di ricomposizione dell’ambiente che viviamo. Insomma, una forma di vita, come affermava Wittgenstein. E aggiungo: per far sì che il linguaggio sia un luogo in cui si desideri tornare.

Cesare Viel, Condividere frasi in un campo allargato, 2021. Courtesy Cesare Viel e Galleria Milano. Ph. Roberto Marossi

FDZ: Tra i tuoi progetti futuri c’è Corpi estranei, vincitore della X edizione del bando Italian Council. Puoi anticiparci qualcosa?

CV: Si tratta di un progetto nato in collaborazione con Antonio Leone e Giulia Ingarao di Ruber.contemporanea e con Elisa Fulco. Farò realizzare in Iran, un grande tappeto, un tappeto-esperienza, che riproduce una mia frase manoscritta che afferma: “corpo estraneo/toccare un tesoro o un mistero”. Da questa frase-nucleo si irradia tutto il senso plurale del progetto che coinvolgerà diversi luoghi molto significativi in Italia, la Fondazione Pietro e Alberto Rossini a Briosco, a Palermo il Museo Riso, dove il tappeto troverà la sua dimora, e a Villa Zito dove farò un’altra importante tappa espositiva, e infine in Spagna all’Università di Màlaga in partnership con il Centre Pompidou di Màlaga e la Facoltà di Belle Arti di Màlaga. Il progetto è complesso da ridurre in poche parole, posso dire però che si tratta di un ulteriore approfondimento della mia ricerca sul concetto e la pratica di “campo allargato”, in cui performance, scrittura, disegno e installazione contribuiscono alla tessitura di più esperienze basate sull’incontro e l’intreccio di memorie ed emozioni proprie e altrui, e dove il passaggio e il contributo dell’altro determinano il divenire e la trasformazione dell’opera.

Cesare Viel (Chivasso, 1964) vive e lavora a Genova, dove insegna all’Accademia Ligustica di Belle Arti. Espone in Italia e all’estero dalla fine degli anni Ottanta in gallerie private, musei e fondazioni. Nel 1991 si laurea in Lettere Moderne all’Università di Genova. Nel 1998 vince il “Premio Francesca Alinovi”. Nel 1999 partecipa al progetto collettivo Oreste alla Biennale, in occasione della 48esima edizione della Biennale d’Arte di Venezia. La sua prima retrospettiva, nel 2008, si è tenuta al Museo d’Arte Contemporanea-Villa Croce di Genova; nel 2019 il PAC, Padiglione d'Arte Contemporanea di Milano, gli ha dedicato una personale, con un catalogo monografico edito da Silvana Editoriale. Nel 2020 espone presso la Galleria Pinksummer di Genova con una mostra dal titolo “Scrivere il giardino”. Nel 2021 risulta tra i vincitori della X edizione dell’Italian Council.
Cesare Viel, La comunità sintattica, 1992. Courtesy Archivio Viafarini
Cesare Viel, Condividere frasi. Tutto torna, anche indietro (di Laura Guglielmi), 2021. Courtesy Cesare Viel e Galleria Milano