E’ dall’invito fatto a Gianluca Concialdi dall’Associazione ARS Contemporanea alla Gam di Palermo che la mostra Caro Federico prende forma: invito esteso da Concialdi a Mario Airò, il quale dopo Blue Spirit – Cinque interventi facili (1996) torna ad esporre a Palermo dopo vent’anni. Ma i protagonisti di questa vicenda sono tre: Gianluca, Mario e Federico, Federico Rahola, sociologo. In una sua breve nota che accompagna la mostra è intuibile quella vicinanza e forse quell’affetto che lega certe corrispondenze intellettuali come se si trattasse di dividere lo stesso oroscopo.
Due spazi distinti ospitano i lavori di Concialdi e Airò delimitandone i confini: Airò ripropone Acqua Tonica (1994), installazione fluorescente di bottigliette sdraiate contenenti chinino che reagisce alle luci wood illuminandosi. Sembrano seguire lo stesso pattern i piattini in porcellana serigrafati con la scritta Baldo, (nome del proprietario di un bar caro all’artista) di Concialdi, appesi alle pareti, tinte con inchiostro di seppia naturale. In questo ambiente semibuio due sculture, ricoperte di vernice catarifrangente, costituiscono un ulteriore elemento luminoso narrativo di un’unica visione che unisce affinità estetiche e specificità identitarie. Al centro, particolarmente ambiguo, un telamone dormiente, che è poi un autoritratto/salma di Concialdi.
L’unico lavoro realizzato da entrambi, nello spazio di confine tra le due stanze è una fotografia che li ritrae insieme: una scena notturna realizzata a Militello Rosmarino, dove Concialdi conserva la sua opera Calendarissimo Baikoko (2015), visibile alle loro spalle. Lo scatto, a metà tra una la pittura di paesaggio dell’ottocento siciliano e documentazione di una performance senza pubblico, li ritrae unendo gli elementi formali delle rispettive ricerche.
La mostra si concluderà il 31 Luglio, il progetto è stato possibile grazie a L’Ascensore e ARSMediterranea.
Mario, Giallo, potevano discutere fino
all’alba cercando di capire quanto di
neotènico o anti o post neotènico ci
avvicina e ci distingue. E magari, nel
frattempo, farci sfilare tra le mani una città
che era li’. Non vi sfuggirà, forse,
una nota di rammarico, tipica di chi
resta. Vi mando una lettera, gailla, va da
sè.
F