Testo di Claudia Santeroni
CODE Art Fair, in programma dal 31 agosto al 3 settembre 2017 negli avveniristici (ma periferici) spazi del Bella Center di Copenaghen, è solamente alla sua seconda edizione, ma sembra potersi ritagliare uno spazio nella già affollatissima agenda fieristica europea.
La calendarizzazione in un periodo dell’anno strategico, quando la pausa estiva inizia a diventare lunga e il mondo dell’arte freme per riprendere i giochi, l’appeal del collezionismo nordico e l’importanza dell’essere il maggiore polo fieristico dell’area scandinava fanno di CODE, sulla carta, una fiera allettante sia per chi partecipa come pubblico sia per le settanta gallerie che aderiscono, tra cui nomi di primo piano come Galleria Continua, KOW, Konig Galerie, Nagel Draxler, Perrotin, Pilar Corrias. Nonostante il riscontro si sia rivelato inferiore alle aspettative, è da segnalare l’apprezzata organizzazione del VIP program che ha permesso un tour di tre prestigiose collezioni private.
La presenza italiana a CODE è cospicua; oltre a Continua partecipano a questa edizione anche A+B, Montoro 12, Namproject, Privateview e Eduardo Secci.
L’offerta artistica presentata dalle gallerie è variegata, sia da un punto di vista stilistico sia da un punto di vista generazionale.
Galleria Continua (San Gimignano – Beijing – Les Moulins – Habana) propone uno stand personale dedicato all’artista indiana Shipta Gupta (1976).
Nella serie “100 Hand drawn maps of my country” troviamo tracce blu su carta, macchie che sembrano dettate da una sorta di inconscio ottico, ammassi informi che invece, paradossalmente, alludono ai confini nazionali di paesi differenti.
Le opere creano un cortocircuito tra l’informe che osserviamo e la connotazione dei confini che apprendiamo essere, disegnati da decine di persone diverse coinvolte dall’artista.
A+B (Brescia) espone dei monocromi di Simon Laureyns (1979), tre piani color magenta, turchese e blu, intitolati ciascuno con un nome di donna: Cristina, Renée, Carla. Si tratta di velluti di tavoli da biliardo, intelati senza aver subito alterazioni rispetto al loro naturale processo di consunzione. L’apparente formalismo di Laureyns è corrotto, le superfici sono logorate e le campiture non offrono orizzonti (in questo senso è possibile un parallelismo con la serie “Paintings” di Paul Grahm esposta alla 49° Biennale di Venezia: anche qui dei prelievi, fotografie di muri di servizi pubblici su cui nel tempo sono germogliati scritte macchie disegni graffi). In antitesi alla stasi percettiva di Laureyns, è interessante l’accostamento con le astrazioni gestuali di Max Frintrop (1982), le opere di Davide Mancini Zanchi (1987) e Tiziano Martini (1983).
Montoro 12 (Roma – Bruxelles) presenta un catturante lavoro dell’artista azero Faig Ahmed (1982): un “oggetto poetico”, un tappeto la cui trama si polverizza in pixel. Il manufatto-tappeto costituisce il paradigma di una cultura, ma qui la trama e l’ordito si liquefanno, collassando e ricomponendosi verso nuove associazioni di pattern digitali.
Nello stesso stand un’immagine di temperatura apocalittico visionaria di Larissa Sansour (1973), e le opere di Emmanuele De Ruvo (1983) e Fabio Ranzolin (1993).
Privateview (Torino) offre un duo geometrico minimale: Ted Larsen (1964) e Derrick Velasquez (1982). Le opere di Larsen sono impianti plastici dal richiamo optical, in cui è preponderante la componente assemblativa di materiali industriali. La lamiera viene educata attraverso l’assembramento e la geometria: i solidi si giustappongono come dei mattoni, innestandosi uno sull’altro e giocando sull’arbitrio compositivo e su un marcato minimalismo d’insieme. Derrik Velasquez propone un lavoro di stratificazione. Come per Larsen, si tratta di prelievi di semi-lavorati preesistenti, appartenenti al dominio industriale e ri-configurati dall’artista.
Il disegno di CODE on Sunday, il programma domenicale che si sposta dall’ambiente fieristico del Bella Center per invadere il centro cittadino con una performance di Marinella Senatore, è promettente.
La fiera esce dalla fiera nobilitandosi attraverso una serie di iniziative extra-commerciali: come avviene sempre più spesso a livello globale la fiera si sviluppa e da risalto a un più ampio circuito culturale; CODE si inserisce infatti nella Copenaghen Art week 2017 e l’organizzazione dimostra perspicacia nel far culminare una pluralità di eventi culturali con l’evento fieristico.
Tra le proposte più considerevoli rivolte agli operatori del settore, oltre al public program curato da Irene Campolmi, va segnalato lo SPEEDDATING – an international network meeting: un incontro tra 50 artisti danesi e 22 curatori e direttori internazionali, tra cui Pedro Gadanho (Direttore MAAT, Lisbona); Kim Nguyen (Curatore CCA Wattis Institute for Contemporary Arts, San Francisco) e Stefano Raimondi (Curatore GAMeC, Bergamo).
L’iniziativa di strutturare una rete di contatti significativi per gli artisti è lodevole: si attiva in concomitanza di CODE un’opportunità rivolta a tutti i protagonisti del settore.
In conclusione, il programma complessivo offerto da CODE e soprattutto quello proposto dall’intero sistema artistico cittadino rendono la manifestazione da monitorare nei suoi futuri sviluppi.