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Intervista con Cloe Piccoli — I’ll be there forever

[nemus_slider id=”43722″] — E’ stata aperta da pochi giorni la mostra ospitata a Palazzo Cusani, “I’ll Be There Forever – The Sense of Classic”, a cura di Cloe Piccoli e sostenuta da Acqua di Parma. Sette gli artisti in mostra...

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E’ stata aperta da pochi giorni la mostra ospitata a Palazzo Cusani, “I’ll Be There Forever – The Sense of Classic”, a cura di Cloe Piccoli e sostenuta da Acqua di Parma. Sette gli artisti in mostra –  Rosa Barba, Massimo Bartolini, Simone Berti, Alberto Garutti, Armin Linke, Diego Perrone e Paola Pivi –  invitati a cimentarsi con un tema complesso per vastità e complessità: il classico. Tessendo un fitto dialogo con gli artisti, la curatrice la costruito un percorso tutt’altro che prevedibile lungo le sontuose sale del palazzo milanese, toccando temi che vanno dal citazionismo all’interpretazioni filologica, da temi rinascimentali al concetto di archivio, dalla scoperta delle origini – siano essere culturali e prettamente biografiche – al ritrovamento di riferimenti stilistici solo apparentemente lontani nel tempo. Il risultato più evidente e accattivante, oltre a quello evidente di vedere opere prodotte specificatamente per questa mostra –  dunque si tratta per lo più di nuove produzioni -, è quello di assaporare una panoramica del talento di artisti nostrani e, al tempo, internazionali. Penso facciano molto bene all’arte contemporanea italiana mostre di questo tipo, sostenute da brand importanti e riconosciute anche all’estero,  che decidono di sostenere e investire negli artisti italiani.

ATPdiary ha posto alcune domande alla curatrice Cloe Piccoli.

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ATP: Come nasce la mostra “I’ll be there forever”?

Cloe Piccoli: La mostra nasce all’Accademia di Brera. Negli ultimi due anni ho realizzato un programma di incontri, “Paesaggio Italiano”, dove ho invitato dodici artisti a presentare il loro percorso e la loro esperienza. Ho notato in molte loro storie e racconti, un particolare abbastanza affine: molto di loro si riferivano alla storia, alle città, all’architettura, a paesaggi fisici e metaforici. Nelle visioni e nell’immaginario che ne è risultato veniva fuori spesso l’idea del classico, mai come elemento immutabile e rigido, bensì, come  un’atmosfera diffusa, un’impressione, una percezione, un ricordo, una storia, un radicamento. Da lì ho iniziato a elaborare e a formulare alcune idee per una possibile mostra su questo tema  complesso e sfaccettato. Il risultato è  la mostra “I’ll be there forever – The sense of classic”.

ATP: Mi dai una definizione di classico in relazione al taglio curatoriale che hai dato alla mostra?

CP: Il classico di “I’ll be there forever” non è una citazione, una ripetizione del canone o di un modello. Gli artisti in mostra non hanno fatto opere che immediatamente si posso riconoscere come classiche: ci sono concetti classici, sia individuali che appartenenti a un immaginario collettivo. Quello che ho cercato nel loro lavoro è un “classico” respirato e assorbito nelle città italiane, che non sono solo quelle ‘monumentali’ come Roma, Venezia o Firenze, ma anche Agrigento – dove è nata Rosa Barba – o Asti, città d’origine di Diego Perrone. Ho cercato di mettere a fuoco delle “atmosfere” classiche reinventate e interpretate in opere nuove. (…) Il classico, dunque, come riferimento proveniente dall’antico, dal passato; un elemento fondante con cui gli artisti si sono confrontati, per dare vita a nuove prospettive e visioni della complessità presente. E così anche per rivelare nuove prospettive sul futuro: una dimensione temporale formata dalla stratificazione di stimoli che provengono dalle origini. Questo intendo per visione “classica”.

ATP: Mi fai degli esempi concreti, tra gli artisti in mostra, che hanno interpretato questa tua visione del concetto di “classico”?

CP: Un esempio è l’opera di Alberto Garutti “Fulmini”. Consiste in un’installazione luminosa che registra la caduta dei fulmini in tutto il territorio italiano e che si illumina di una luce molto forte nel momento in cui un fulmine colpisce la terra. Quando cade, lo spettatore presente nella stanza dove è installata l’opera, è al centro di un evento cosmico in cui  il cielo si collega con il nostro pianeta e l’uomo si trova ad essere, come nel Rinascimento, al centro dell’universo. Un’altra opera che potrei citarti è quella di Diego Perrone, che introduce per molti aspetti l’intera mostra: “La Fusione della Campana”. Questa grande opera è una metafora della creazione: uno dei temi più antichi dell’arte. Perrone si ispira al film “Andrej Rublëv”  del 1966 scritto e diretto da Andrej Tarkovskij. Un giovane inesperto fonditore della campana, deve combattere con la paura del fallimento artistico. Nel film c’è la contrapposizione tra un pittore di icone in crisi di ispirazione  – che però possiede la sapienza e la conoscenza di come fare le icone -, mentre dall’altra c’è il talento del fonditore della campana che però non ha mai realizzato una campana. E’ fondamentale il rapporto tra questi due personaggi che distillano molti degli elementi alla base della creazione.

Armin Linke serie “Carlo Scarpa,   Palazzo Abatellis” Palermo 2015 C-print,   150 x 200 cm Commissioned and Produced for "I’ll Be There Forever / The Sense of Classic" Courtesy of the Artist. Collezione Acqua di Parma © Photo A.Osio
Armin Linke serie “Carlo Scarpa, Palazzo Abatellis” Palermo 2015 C-print, 150 x 200 cm Commissioned and Produced for “I’ll Be There Forever / The Sense of Classic” Courtesy of the Artist. Collezione Acqua di Parma © Photo A.Osio

ATP: C’è una citazione o un testo a cui ti sei ispirata nella gestazione della mostra?

CP: C’è un passaggio molto interessante di Walter Benjamin  in cui individua l’opera d’arte come profezia, ovvero l’opera come ‘luogo’ anticipatore del futuro, che si definisce in un presente preciso, e che viene reinterpretata ogni volta alla luce del presente in cui si trova. In questo senso ogni opera ha diverse letture, diverse storie da raccontare, profezie da rivelare a seconda del momento storico, del contesto, delle coincidenze in cui si trova. Dunque l’opera contemporanea è profetica rispetto al futuro in cui sarà considerata antica. Entra in gioco una sovrapposizione temporale. Un tempo fluido che è quello che si respira “The Hidden Conference”: la trilogia di film  di Rosa Barba per la prima volta presentata completa per “I’ll be there forever”.  Qui l’artista ha cercato e ripreso delle opere che non sono esposte nei musei ma nei depositi; opere o reperti che sono spesso dei frammenti e che restano spesso nascosti agli occhi del pubblico, da qui il titolo “The Hidden Conference”. Queste  opere diverse, realizzate in epoche diverse e affiancate secondo criteri archivistici nei magazzini instaurano un dialogo che oltrepassa epoche e geografie e crea un tempo sospeso, incerto, sfuggente, eppure denso di storia, storie, radici.

ATP: Citi anche uno storico dell’arte francese, Georges Didi Huberman.

CP: In “Storia dell’arte e anacronismo delle immagini” osserva come l’anacronismo  all’interno di un’architettura, un quadro o una scultura, è quell’elemento  dissonante, anomalo, che ben lungi dall’essere evitato è invece il sintomo di una complessità e profondità storica interamente da scoprire. Huberman non sfugge l’anacronismo, ma anzi lo insegue.   Il lavoro di Armin Linke ha diverse affinità con  questo percorso concettuale. Nella serie di fotografie prodotte per “I’ll Be There Forever”, si concentra sull’intervento di Carlo Scarpa nel 1953 a Palazzo Abatellis a Palermo. Scarpa è intervenuto rispettando e interpretando gli elementi storici presenti, mettendoli a in rilievo, in evidenza come potenzialità. Armin Linke, a sua volta, è andato a leggere le varie stratificazioni storiche, quella rinascimentale e quella modernista di Scarpa, con sguardo contemporaneo. Linke  ha messo in evidenza quell’elemento di cui parlavamo prima, quello ‘anacronistico’, dissonanze, che mostra Palazzo Abatellis come un luogo in cui è possibile leggere la profondità storica e la stratificazione di epoche. Ma potrei nominare anche i dipinti di Simone Berti, in cui Berti cita dame rinascimentali e romantiche  mettendole a confronto con ritratti contemporanei, la tappezzeria del palazzo, i quadri, i camini, i parquet  e le strutture metafisiche che alzano a mezz’aria la pittura creando quell’atmosfera radicata ma straniante, classica ma indefinibile propria dell’opera di Berti.

ATP: Il Classico è una caratteristica degli artisti italiani?

CP: E’ un retaggio culturale, un riferimento inconscio, talmente presente e talmente ‘dimenticato a memoria’ che gli artisti italiani non si pongono nemmeno la questione del classico. C’è e basta. Mai come citazione ma come concetto, come solida impostazione formale, che non significa rigida, significa strutturata. Pensa alle sculture di Bartolini o anche a quelle di Pivi, che persino quando si confronta con un’iconografia tutt’altro che classica come quella degli orsi ha una dimensione scultorea, plastica, classica. 

ATP: Perchè palazzo Cusani? 

CP: Ho pensato fin da subito che fosse uno spazio perfetto in quanto è un Palazzo in cui le stratificazioni e gli innesti storici sono molto evidenti: interventi architettonici neoclassici, barocchi, altri più recenti; gli interni sono molto ricchi con sovrapposizioni di ogni tipo. Non volevo un white cube, bensì un luogo in cui gli artisti potessero confrontarsi per la produzione di nuovi lavori. In altri termini, Palazzo Cusani era un luogo “ideale” dove gli artisti potessero lavorare e confrontarsi con lo spazio e con una moltitudine di temporalità.

ATP: Come hai scelto  Kuehn Malvezzi?

CP: “I’ll be there forever” è una mostra che nasce dal dialogo tra il curatore, gli artisti e gli architetti. Kuehn Malvezzi  ha un modo non convenzionale di relazionarsi ai luoghi, talvolta in scelte molto rigorose, altre volte in modo del tutto radicale. Loro l’idea di lavorare in questo luogo con la luce naturale lasciando entrare lame di sole sui vetri di Perrone. 

Simone Berti Untitled,   2015 Mixed media on canvas,   150 x 120 cm Commissioned and Produced for "I’ll Be There Forever / The Sense of Classic" Courtesy of the Artist © Photo A.Osio
Simone Berti Untitled, 2015 Mixed media on canvas, 150 x 120 cm Commissioned and Produced for “I’ll Be There Forever / The Sense of Classic” Courtesy of the Artist © Photo A.Osio
Exhibition view "I'll Be There Forever/ The Sense of Classic" Diego Perrone Untitled,   2015 Pasta di vetro / Glass casting. 70 x 85 x 16 cm Commissioned and Produced for "I’ll Be There Forever / The Sense of Classic" Courtesy of the Artist / Galleria Massimo De Carlo Milano-London. Collezione Acqua di Parma © Photo A.Osio
Exhibition view “I’ll Be There Forever/ The Sense of Classic” Diego Perrone Untitled, 2015 Pasta di vetro / Glass casting. 70 x 85 x 16 cm Commissioned and Produced for “I’ll Be There Forever / The Sense of Classic” Courtesy of the Artist / Galleria Massimo De Carlo Milano-London. Collezione Acqua di Parma © Photo A.Osio
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