Testo di Aurelio Andrighetto —
Chiamare a raduno. Sorelle. Falene e fiammelle. Ossa di leonesse, pietre e serpentesse è il titolo della mostra di Chiara Camoni, curata da Lucia Aspesi e Fiammetta Griccioli per la fondazione Pirelli Hangar Bicocca (fino al 21 luglio 2024). Lo spazio espositivo dello Shed è dominato dalle Sisters, raffigurazioni di divinità arcaiche composte da terracotta, ferro, insetti, erbe selvatiche, bacche, fiori, legno, paraffina, fuoco, porcellana, grès smaltati, piume, cenere, sabbia, plastica e oggetti trovati. Il mondo minerale si mescola a quello vegetale richiamando figure antropomorfiche e zoomorfiche, come le due leonesse scolpite in pietra leccese, che include resti fossili di conchiglie e ossa. Per il loro aspetto metamorfico, si potrebbe pensare alle Sisters come a delle versioni femminili di Vertumno, il dio etrusco e poi romano pronto ad adattarsi a formae o species di volta in volta diverse: da fanciulla a soldato, da vecchia ad acrobata che salta da un cavallo all’altro. Una divinità che ha il potere di «mutarsi in tutto», valicando anche la barriera di genere. Le corone di fiori che gli venivano offerte appassivano sulla sua fronte, come i mazzi di fiori che ornano le teste delle Sisters, rappresentazioni dell’impulso delle cose a divenire altro da quello che sono. Raffigurazioni del mutamento delle stagioni e forse, come Vertumno, anche del mutare idea: «Ha nome Vertumno il dio che presiede a come ci si sente, perché muta e trasforma i pensieri degli uomini» (Maurizio Bettini cita uno scoliasta di Orazio in Il dio elegante. Vertumno e la religione romana, Einaudi, Torino 2015, p. 91).
Di memorie etrusche è carico il luogo dove l’artista vive e lavora: Seravezza, un paese raccolto in una conca delle Alpi Apuane. Il genius loci di questo luogo l’avrà ispirata? Spesso è rappresentato da un serpente, come quelli (anzi quelle serpentesse) in onice e ceramica che strisciano sul pavimento dello Shed delimitando stanze, corridoi, ambienti e strade di un sito archeologico.
L’esperienza di luogo è il tema dei seminari condotti dal sociologo Gian Antonio Gilli, ad alcuni dei quali Camoni ha partecipato. Per il catalogo della mostra l’artista ha chiesto al sociologo un contributo, che sorprende per la sua indipendenza rispetto al corpus di opere esposte (è in stampa il catalogo monografico con contributi di Anna Anguissola, Domitilla Dardi, Gian Antonio Gilli, Chus Martínez, Alice Motard e Andrea Viliani).
A questo proposito ho chiesto a Camoni la sua opinione.
Cara Chiara,
Gian Antonio mi ha inviato il testo che ha scritto per il tuo catalogo.
Piccole creazioni non è un testo critico. Gilli non fa riferimento diretto a te e neppure alla tua opera. Egli riflette sul tema della creazione portando l’attenzione sulla diversità di ciascuna.
Nel contesto di una crisi della scrittura critica alla ricerca di una sua nuova identità e in riferimento all’emergere di nuove forme di narrazioni sull’arte, Piccole creazioni si pone in disparte. Non si tratta di un esperimento di scrittura come pratica interdisciplinare, e neppure una risposta alle attuali inessenzialità del linguaggio critico.
È un testo filosofico che si accosta alla tua opera senza raccontarla. Certamente tu ti identifichi nel «piccolo creatore» e nelle sue «marce di avvicinamento all’opera, che possono essere estenuanti», ma Gian Antonio non parla di arte e neppure della tua opera. Parla della creatura che porta con sé un abisso. È da questo abisso che muove la creazione «nei termini del soggetto che vi procede, e della portata del compito che si dà».
Se ciò che a noi interessa non è «la cognitio matutina […] Una cognitio che volutamente ignora le ‘ragioni proprie’ di un’opera», ma una conoscenza «vespertina», dobbiamo affidarci all’ispirazione, che può scaturire dalla visione della tua opera quanto dalla lettura del testo di Gian Antonio, indipendentemente.
A questo punto che senso avrebbe raccontare la mostra affidandosi alla « cognitio matutina» che sottopone l’opera ad un esame critico, oppure a una narrazione che muove dall’ispirazione suscitata dalla visione delle opere, ovvero da un’esperienza che è diversa per ognuno di noi?
Caro Aurelio
grazie per la mail.
Penso anche io così, e sono felicissima di avere il testo meraviglioso di Gian Antonio in apertura del catalogo.
Quando l’ho letto, ne sono rimasta profondamente commossa come se lui avesse scovato le zone più remote del mio fare.
Il suo testo si colloca in una zona lontana, dove regna l’indicibile e l’incommensurabile, che sta molto prima di tutto il resto, prima che le cose si calino nel mondo, nelle forme.
Per le parole che descrivono le opere, c’è sempre tempo, c’è tempo anche dopo…
E allora entriamo nell’Arte, e nell’arte contemporanea…
Oltre che a sollecitare una riflessione sul rapporto tra l’opera d’arte e la scrittura che l’accompagna, Piccole creazioni porta l’attenzione sull’abisso dal quale sorge qualcosa. Gilli lo riferisce alla Chora platonica, un luogo generativo in cui ordine e disordine convivono. Nel processo creativo di messa-in-ordine, qualcosa del disordinato pre-cosmo entra nel cosmo ordinato. Lo fa attraverso la materia.
La materia alla quale Camoni conferisce una forma porta quindi con sé il disordine generativo del pre-cosmo. Una delle sue Sisters esprime efficacemente la forza dirompente della Creazione. Burning Sister è una scultura antropomorfa composta da fiori e foglie, che trova la sua massima espressione nel momento in cui è data alle fiamme, ovvero nel momento in cui appare nella sua forma più mutevole. Con le sue ceneri raccolte sul posto sono state smaltate delle ceramiche.
Camoni trasforma e anima la materia con gesti rituali, come quello dell’impilare le ciotole in ceramica per dare forma alle serpentesse. Un gesto quotidiano che, come dice l’artista, «s’impenna e diventa qualcos’altro», sia nel senso della mutevolezza di cui si è detto, sia in senso magico. La mostra è permeata dal magico. Attraverso le stampe vegetali l’artista evoca degli «spiritelli». Succhi di fiori e foglie impregnano dei teli ripiegati in modo che, una volta aperti, rivelino una simmetria che «fa corpo». Questi corpi eterei si animano con la luce, che filtra attraverso le finestre dello Shed aperte per l’occasione, e con lo spostamento d’aria provocato dal passaggio dei visitatori.
Le foglie che appassiscono, i teli che ondeggiano, la cera che sgocciola dalle candele sorrette dalle Sisters, e il fuoco che le brucia. Camoni mette in scena una serie di trasformazioni e di apparizioni. Non mi sorprenderebbe sapere che un’apparizione abbia folgorato l’artista, come lo stormo di gru (la gru è un simbolo di Bagalamukhi, una delle dieci dee Mahavidya) folgorò Srì Ramakrishna: «Seguivo uno stretto sentiero, che separava le risaie… Alzai gli occhi al cielo, […] vidi una bella nuvola gonfia di tempesta che si propagava con rapidità; avvolse il cielo intero… Improvvisamente, quasi ad orlare la nuvola, passò sopra la mia testa un volo di gru bianche come la neve. Il contrasto era così bello che il mio spirito se ne andò in regioni lontane. Perdetti conoscenza e caddi […]. Qualcuno mi raccolse e mi riportò a casa in braccio. L’immensità della gioia, l’emozione mi opprimevano… Fu la prima volta che fui rapito in estasi…» (Romain Rolland, La vie de Ramakrishna.Essai sur la mystique et l’action de l’Inde vivante, Librairie Stock, Paris 1929 – traduzione di Daniele Bernardi).
L’arte di Camoni incanta, come suggerisce il titolo della mostra: un componimento in versi che suona come un incantesimo. Ascoltiamo il fruscio delle foglie al vento in primavera, il loro scricchiolare sotto i piedi in autunno, il loro crepitare tra le fiamme che avvolgono la Burning Sister, ed ecco che la bellezza ci rapisce.