Feeling quite Tridimensional today: CHARLES ATLAS. OMINOUS, GLAMOROUS, MOMENTOUS, RIDICULOUS, alla Fondazione ICA Milano

La produzione di Charles Atlas è padrona del suo tempo e delle sue rarità, mostrando il passaggio e lo spostamento dal piano della vita reale a quello della performance. Lo spettatore viene coinvolto e inglobato nelle coreografie, trovandosi ad essere parte dell’azione di una danza che è un’esplorazione del sé, di una dimensione di riflessione che pur essendo privata risulta aperta alla condivisione.
10 Marzo 2021
Charles Atlas, I am Beautiful, 2020. Installation view at ICA Milano, ph. Filippo Armellin
Charles Atlas Hail the New Puritan, 1986 16mm film transferred to video, sound Duration: 84:54 minutes © Charles Atlas; Courtesy of the artist and Luhring Augustine, New York.

Testo di Carla Tozzi —

Disco music alla fine del mondo.
Enormi ciglia finte, un abito scintillante e i drammi della società contemporanea raccontati dalla drag queen Lady Bunny in un video della durata di diciotto minuti proiettato su una enorme parete, il tempo necessario perché il sole si ritiri dietro l’orizzonte nei trentasei video di tramonti cronometrati da un enorme orologio digitale che incalzante ci mostra i minuti, i secondi e i millesimi di secondo che ci accompagnano verso la fine.
Così si apre la prima mostra personale in Italia di Charles Atlas, regista e video artista statunitense, tra i principali protagonisti della scena artistica internazionale.
Intitolata OMINOUS, GLAMOROUS, MOMENTOUS, RIDICULOUS, la mostra curata da Alberto Salvadori direttore della Fondazione ICA Milano e sviluppata in stretta collaborazione con l’artista, propone una selezione di opere che ripercorrono le fasi più significative della sua carriera.

Il lavoro di Charles Atlas ha ampliato i limiti della video art con progetti e collaborazioni con artisti provenienti da settori e discipline differenti, attraversando danza, performance, visual art, club underground, sottoculture, muovendosi attraverso generi, tecniche e stili, riuscendo a dare vita a un’impronta estetica riconoscibile unicamente sua.
In The Waning Of Justice l’imponente immagine di Lady Bunny focalizza l’attenzione sulla narrazione di episodi della propria vita legati a un’analisi politica, sociale e collettiva della società contemporanea portando a termine un discorso volto all’incoraggiamento alla reazione e alla non sottomissione e adeguamento allo status quo. In questo monologo si avvicendano la serietà dei temi trattati e l’attitudine camp della protagonista, contrapposizione che risalta anche tra la natura rappresentata nei paesaggi al tramonto e il look artefatto di Lady Bunny. Il senso di precarietà e finitezza della vita umana che emerge da questa installazione è d’altra parte assecondato con umorismo dall’esibizione di Lady Bunny in un pezzo dance ritmato e contagioso, risposta ironica alla domanda sull’ignoto aldilà che segue la fine del mondo.

Come in questo caso, in diversi lavori recenti è presente una connessione con la passione di Atlas per il clubbing e per la subcultura drag che negli anni Ottanta a New York rappresentava la forma d’intrattenimento più progressista e all’avanguardia: salendo al primo piano dello spazio espositivo, in fondo al corridoio si staglia il volto imponente di Leigh Bowery nell’esibizione in playback della canzone Take A Look di Aretha Franklin, un riferimento all’atto del guardarsi allo specchio, oggetto molto legato alla sua pratica performativa. 

Al suo fianco i Turning Portraits, nuova produzione video realizzata appositamente per la mostra alla Fondazione ICA, un remix di ritratti di donne contemporanee che incantano e ipnotizzano l’osservatore, lasciando trasparire profondità celate, estrapolati dal documentario che Atlas ha girato con la band americana Antony And The Johnsons nel 2006 durante il tour europeo. Il documentario, uscito nel 2014, è il risultato di un lungo lavoro di rimaneggiamento da parte di Atlas e Anohni del materiale raccolto durante il tour.

Charles Atlas, I am Beautiful, 2020. Installation view at ICA Milano, ph. Filippo Armellin
Charles Atlas The Legend of Leigh Bowery, 2002 Video, sound Duration: 82:20 minutes © Charles Atlas; Courtesy of the artist and Luhring Augustine, New York.
Charles Atlas, I am Beautiful, 2020. Installation view at ICA Milano, ph. Filippo Armellin

Bowery performer, drag e fashion designer australiano icona della scena underground londinese e newyorkese degli anni Ottanta, legato ad Atlas da una profonda amicizia, è protagonista anche del documentario The Legend of Leigh Bowery realizzato dal regista nel 2002, a otto anni dalla sua scomparsa, per rendere omaggio alla sua complessa personalità artistica pensando alla vita “as a work of art, not on canvas or clay, I put ideas on myself”.

Atlas lavora con Bowery in una delle sue produzioni più importanti e conosciute, Hail the New Puritan nel 1986, un lavoro incentrato sul giovanissimo ballerino Michael Clark e sulla sua vita nella Londra degli anni Ottanta. Si tratta di una sorta di docu-fantasy, una narrazione di un “a day in the life” di Michael Clark, un documentario pensato come un anti-documentario in cui la danza è protagonista assoluta e le tecniche di ripresa sono adattate a una nuova modalità narrativa e a delle nuove atmosfere. I personaggi sono più o meno fittizi e più o meno caricaturali, l’energia che si sprigiona è quella di una scena underground in grande fermento, di un racconto dinamico. Atlas pone la danza e la performance drag sullo stesso piano, rinnovando l’immaginario del corpo nella performance e dando spazio alle sottoculture queer.

Ma parlare di danza e Charles Atlas significa anche ricordare la storica collaborazione con il coreografo e danzatore Merce Cunningham, iniziata nel 1973, che rappresenta per Atlas l’inizio del suo percorso nella sperimentazione di tecniche di regia, editing e montaggio che lo porteranno a scoprire nuove relazioni tra corpo e spazio. 

La danza esemplifica come attraverso il movimento il corpo umano sia in grado di creare una dimensione spazio-temporale dove il danzatore è creatore di forme e abitante di un movimento. Il lavoro di Cunningham e Atlas darà un fondamentale contributo alla nascita della video dance, una danza che considera nuove tecniche e tecnologie di ripresa, in cui il coreografo fonde i movimenti della camera con le linee dei ballerini.

Dance film e video non rimpiazzano il corpo umano ma sono mezzi che ampliano ed estendono le sue possibilità creando una nuova modalità artistica. La tecnologia video aumenta il range di esperienze possibili aggiungendo il movimento della telecamera e il processo di editing, creando un continuum differente fatto di movimenti multidimensionali. 

L’annullamento dei confini spazio-temporali è al centro di Blue Studio, opera in cui Cunningham è il solo protagonista moltiplicato per il numero dei pezzi da lui coreografati e interpretati; il montaggio spezzato segna Channel/Inserts, che Cunningham e Atlas realizzano seguendo una struttura filmica con narrazione assente ma intravista, dove i danzatori si muovono in scene distinte, collegate e comunicanti. Così accade anche in un’opera decisamente più tarda con il ballerino Douglas Dunn, intitolata The Myth of Modern Dance, ispirata al concetto della sovrapposizione di elementi e sfondi diversi che scorrono dentro e fuori l’immagine, permettendo ad Atlas di rivisitare con una variazione l’idea sviluppata in precedenza.
Atlas lascia la Merce Cunningham Dance Company nel 1983, per continuare il suo percorso in solitaria, espandendo e sperimentando con sempre maggiore libertà.
Nella mostra, ogni stanza dello spazio espositivo comunica con l’altra completando in maniera eccezionale il percorso delle esperienze creative di Atlas.
La produzione di Charles Atlas è padrona del suo tempo e delle sue rarità, mostrando il passaggio e lo spostamento dal piano della vita reale a quello della performance. Lo spettatore viene coinvolto e inglobato nelle coreografie, trovandosi ad essere parte dell’azione di una danza che è un’esplorazione del sé, di una dimensione di riflessione che pur essendo privata risulta aperta alla condivisione.

La coniugazione dell’interesse per la danza e per le subculture e la dimensione underground porta a un disvelamento e rappresentazione dei performer nella loro umanità e singolare unicità. Le peculiarità che rendono ogni individuo unico e raro diventano le chiavi per l’uscita dal disastro del mondo contemporaneo, verso la tridimensionalità di un mondo inquietante, glamour, importante e ridicolo quale è il mondo parallelo delle possibilità suggerito da Atlas.

Charles Atlas, I am Beautiful, 2020. Installation view at ICA Milano, ph. Filippo Armellin
Charles Atlas Collaboration with Merce Cunningham Blue Studio: Five Segments, 1976 Video, silent Duration: 16:00 minutes © Charles Atlas; Courtesy of the artist and Luhring Augustine, New York.
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