L’enciclopedia Incerta di Carlo Guaita Ritaurso, Milano

L’oscurità affascinante che emerge dall’insieme delle opere esposte la vince, a tratti, sulle stesse scelte (iper-consapevoli) dell’artista. Come dire: l’opera è più forte di ogni calibrata e approfondita spiegazione o intenzione.
17 Dicembre 2015
  • Carlo Guaita, Senza Titolo (Vulcani II), 2015, pigmenti su acetato, Urania, 2015, exhibition view at RITA URSO, Milan - Photo by Maxime Galati-Fourcade
  • Carlo Guaita, Urania, 2015, exhibition view at RITA URSO, Milan - Photo by Maxime Galati-Fourcade
  • Carlo Guaita, Senza Titolo (Geologie), 2015 tele incollate, olio, inchiostro, cinghia - Urania, 2015, exhibition view at RITA URSO, Milan - Photo by Maxime Galati-Fourcade
  • Carlo Guaita, Urania, 2015, exhibition view at RITA URSO, Milan - Photo by Maxime Galati-Fourcade
  • Carlo Guaita, Urania, 2015, exhibition view at RITA URSO, Milan - Photo by Maxime Galati-Fourcade
  • Carlo Guaita, Urania, 2015, exhibition view at RITA URSO, Milan - Photo by Maxime Galati-Fourcade
  • Carlo Guaita, Urania, 2015, exhibition view at RITA URSO, Milan - Photo by Maxime Galati-Fourcade
  • Carlo Guaita, Urania, 2015, exhibition view at RITA URSO, Milan - Photo by Maxime Galati-Fourcade

Urania, la densa e complessa mostra che l’artista Carlo Guaita presenta alla galleria RitaUrso – Artopia fino al 22 gennaio, ci mette alla prova su vari fronti, primo tra tutti, far coincidere la poetica o volontà dell’artista rispetto all’esito formale e installativo delle sue opere. Innanzitutto vorrei chiarire un aspetto a me caro in merito alla prassi di come consumo l’esperienza espositiva (azione da intendere nel suo senso etimologico, ossia: dare perfezione o portare a compimento): cerco di approfondire principalmente un ambito legato al visibile-sensibile, prima che a quello pertinente alla sfera intellettuale. Penso sia una questione di onestà chiarire che la mia (privata) esperienza estetica è decisamente legata a ciò che vedo in primo luogo e, in seconda battuta, traghetto l’esito dell’osservazione in conoscenza o riconoscenza (è sempre gratificante avere la sensazione d’aver capito e afferrato un concetto, un’esperienza, un mistero). Questa premessa mi sembra doverosa in relazione alla mostra di Carlo Guaita che, al di là delle opere, di cui entrerò nel merito, è decisamente carica di un substrato filosofico-estetico che spesso non si riscontra nel dato sensibile delle opere. L’articolato testo in catalogo di Saretto Cincinelli –  curatore della mostra – apporta sì densità e acume alle opere, ma non le rende più “belle e interessanti”: crea tensioni linguistiche, approfondisce la criticità delle scelte dell’artista, dilata la base concettuale di ogni opera, ne destruttura l’unicità del senso, problematizza la scelte che paiono ovvie… induce al movimento anziché alla stasi di ogni certezza o decidibilità dei significati, ecc. E’ certamente un ottimo e mirato percorso quello che il curatore ci induce a eseguire, certo è che, però, non è un percorso amabile; è un tragitto parallelo, legittimo, giustificato, ma che affianca l’esposizione.

L’oscurità affascinante che emerge dall’insieme delle opere esposte la vince, a tratti, sulle stesse scelte (iper-consapevoli) dell’artista. Come dire: l’opera è più forte di ogni calibrata e approfondita spiegazione o intenzione. Di fatto, il proponimento di “mantenere aperte le potenzialità dell’opera”, in realtà, è l’esito, non una premessa dell’opera di Guaita. La sua volontà di “restituire l’opera alla possibilità di accadere senza bloccarla in un unico accadimento costituito” fa si che la libertà interpretativa e giudicante possa spaziare, sia lontano che in ogni direzione. Ecco allora che il trittico “Senza titolo (Vulcani I)” del 2015, realizzato su acetati, racconta di paesaggi reali devastati, di paesaggi immaginari e immaginati, di volute caotiche e spaventose, ma anche racconta di gesto pittorico più o meno controllato, di calibrate sfumature o aleatorie macchie incontrollate.

Anche l’opera “Senza Titolo (Prosopopee)” – 2015, inchiostri e collage – racconta e apre una prospettiva interpretativa decisamente affascinante (… sopraffare il giudizio): un quasi tutto nero che lascia trapelare un braccio che impugna, quasi fosse un’arma, un compasso. Guaita oscura il capo solitamente coronato di stelle, il volto spesso soave, mentre lascia a vista la sfera armillare, dei carteggi vari: tutti attributi di Urania, la dea dell’astronomia. L’opera fa parte della serie “Prosopepee”, insieme che mi piace pensare sia letteralmente il significato che le nomina: figure retoriche che si hanno quando si fa parlare oggetti inanimati, come fossero persone. Ecco allora che, in questa prospettiva “animistica”, anche opere come “Senza Titolo (Paesaggio)” – 2015 inchiostro su cemento –  e “Senza Titolo (Geologie)” – 2015 tele incollate, olio, inchiostro, cinghia -, assumono un potenziale visionario esponenziale perché nascosto, costretto dentro un’oscurità simbolica e reale: prova ne sia che entrambe le opere si caratterizzano per un deciso colore nero. Soprattutto “Senza Titolo (Geologie)” quasi istiga all’azione di liberare le decine di piccole tele pressate, l’una contro l’altra, strette nella cinghia che le tiene prigioniere. Come livelli pittorici-geologici, sembrano indicare, senza svelare, le stratificazioni non tanto della pittura, ma dei suoi significati, molteplici e spesso oscuri.

Risulta riuscita la definizione che abbraccia la ricerca dell’artista di “Enciclopedia incerta”: una designazione paradossale in quanto il significato stesso di enciclopedia – raccolta delle cognizioni più importanti in tutti i rami dello scibile – è negato dall’essere incerto, opinabile, ambiguo. Tutte caratteristiche che troviamo nelle ‘ipotesi’ o ‘tentativi’ di Guaita. Egli non getta opere nel mondo, e come se sviluppasse il mistero stesso del mondo. Chiamo le sue opere ‘tentativi’ – anche in questo caso, l’etimo della parola ci aiuta: “tentare”, tendere, cercare di raggiungere o cercare di tenere – in quanto l’autoreferenzilità che le connota altro non è che un andare oltre alla banalità che da decenni imperversa la lettura, i giudizi, i tentativi interpretativi delle opere. In ogni suo lavoro, serie e ricerca, Guaita tenta di scavalcare i cliché che ingabbiano forma, definizioni e contenuti di qualsivoglia gesto artistico. Da qui l’azzeramento, la rappresentazione della rappresentazione, la manipolazione del manipolato, l’abdicare all’eloquenza dell’opera, il protendersi verso il non-ancora, l’ostentare un tutto-nero come forma di rifiuto alla solarità (tranquillizzante) delle regole, delle etichette e delle delucidazioni. 

Carlo Guaita,   Urania,   2015,   exhibition view at RITA URSO,   Milan - Photo by Maxime Galati-Fourcade

Carlo Guaita, Urania, 2015, exhibition view at RITA URSO, Milan – Photo by Maxime Galati-Fourcade

Carlo Guaita,   Urania,   2015,   exhibition view at RITA URSO,   Milan - Photo by Maxime Galati-Fourcade

Carlo Guaita, Urania, 2015, exhibition view at RITA URSO, Milan – Photo by Maxime Galati-Fourcade

Carlo Guaita,   Senza Titolo,   (Chiasmi),   2015,   inchiostro su marmo e legno,   cm 5 x 28 x 35 - Urania,   2015,   exhibition view at RITA URSO,   Milan - Photo by Maxime Galati-Fourcade

Carlo Guaita, Senza Titolo, (Chiasmi), 2015, inchiostro su marmo e legno, cm 5 x 28 x 35 – Urania, 2015, exhibition view at RITA URSO, Milan – Photo by Maxime Galati-Fourcade

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