Testo di Noemi Tumminelli —
Prosegue la programmazione di Quotidiana,il palinsesto espositivo ideato dalla Quadriennale di Roma con l’obiettivo di valorizzare e promuovere le tendenze che si affacciano nel panorama artistico italiano, incoraggiando una nuova lettura critica del contemporaneo. Nelle sale al piano terra del Museo di Roma – Palazzo Braschi si alternano due cicli espositivi, Paesaggio a cadenza bimestrale e Portfolio che ogni mese propone un’opera di un artista under 35. L’ultima retrospettiva della sezione Paesaggio è dedicata a Carlo e Fabio Ingrassia e rimarrà aperta al pubblico fino al 7 maggio.
Questa mostra prende spunto dal saggio L’arte radicale di Carlo e Fabio Ingrassia di Michelangelo Pistoletto. Il noto pittore e scultore ritrova nel lavoro dei fratelli catanesi i germi di quella radicalità che ha contraddistinto la corrente dell’arte povera che, secondo Pistoletto, dal 1967 continua a essere viva e attiva. Per il progetto in Quadriennale è stata scelta dai curatori La casa rossa dalla serie Astrazione novecentista (2013), disegni di piccolo formato che rappresentano facciate di abitazioni fuori dal tempo e da ogni luogo. Gli artisti lavorano su un tipo di carta particolare, la Schoeller. La grammatura e la capacità di assorbimento del cartoncino favorisce la sedimentazione dei pigmenti e delle polveri andando a creare una perfetta armonia tra le linee e i punti che compongono le complesse figure.
Quello che colpisce di queste immagini in scala ridotta è il loro realismo, tanto da essere definite dagli Ingrassia dei “magici ologrammi”. La casa rossa, un dipinto di 9×9 cm, raffigura una finestra, incorniciata metaforicamente dalle foglie rossicce delle piante rampicanti. Delle tende bianche oscurano i vetri e non lasciano intravedere la vita che anima l’interno dell’abitazione. Se nel mondo moderno tutto è diventato pubblico, anche le mura domestiche, i fratelli Ingrassia ci ricordano che il confine con il privato non è qualcosa di valicabile, ma mantiene ancora l’obiettivo dell’intimità. L’opera a Palazzo Braschi è incastonata nella parete frontale alla porta d’accesso della sala.
Lo spettatore viene accolto in una stanza in penombra, l’unico punto di luce è il quadro che secondo Carlo Ingrassia rappresenta “un piccolo catturatore visivo”. Per osservare questo dipinto è necessario avvicinarsi, affinché l’occhio possa agire come una lente. Solo così sarà possibile cogliere ogni dettaglio della composizione concentrata in uno spazio minimo.
La loro produzione è il risultato di una sinergia e una tecnica condivisa. Infatti, Carlo e Fabio disegnano simultaneamente sul foglio posto al centro tra di loro, il primo utilizza la destra mentre il secondo è mancino. Se dal punto di vista manuale si completano, integrando l’uno il lavoro dell’altro, l’ideazione invece appare del tutto unitaria. Come ricorda sempre Pistoletto “i gemelli Ingrassia sono monovulari. Hanno lo stesso DNA. Sono una persona divisa e moltiplicata in due persone. Con l’arte si ricompongono creando tra loro una nuova unità”.
Dopotutto, sottolinea il noto critico d’arte David Freedberg, Carlo e Fabio si rivedono riflessi l’un l’altro, come Càstore e Pollùce, i due gemelli maestri e protettori delle arti nella mitologia greca.