Testo di Federico Abate —
La Galleria d’Arte Maggiore G.A.M. di Bologna ospita fino al 31 maggio la mostra Bertozzi & Casoni e Giorgio Morandi. Less is more, un paesaggio domestico affollato di oggetti in stretto dialogo tra diverse forme espressive. Del duo formato da Giampaolo Bertozzi (Borgo Tossignano, 1957) e Stefano Dal Monte Casoni (Lugo di Romagna, 1961) è proposta una serie di iperrealistici vasi di fiori in ceramica popolati da insetti, a confronto con dipinti, disegni e acqueforti di Giorgio Morandi (Bologna, 1890-1964), uno degli artisti a cui la galleria bolognese e il suo storico direttore Franco Calarota, recentemente scomparso, si sono da sempre legati.
I vasi scultorei di Bertozzi & Casoni e gli oggetti protagonisti delle opere di Morandi sono tutti residui di case pervase di suoni ovattati, a toni pastello, dove un sottile velo di polvere rallenta il tempo fino a bloccarlo. In Morandi scorci di scenari domestici ambientano enigmatiche presenze, un mosaico di sagome scaturito dallo schieramento in rassegna dei più vari soprammobili contro lo sfondo uniforme di una parete, anonima e vuota, che appare piuttosto come un dispositivo pittorico che corrobora il discorso formale degli oggetti che riquadra. La selezione del soggetto di ogni natura morta è un pretesto per esplorare il rapporto tra la superficie, il volume evocato e la modulazione dei toni, per giocare con il pennello seguendo i profili di vasetti e barattoli, dando sostanza alla materia pittorica mediante i corsi e i ricorsi del gesto. Morandi prediligeva i fiori finti, immuni all’altrimenti inevitabile deterioramento che ne avrebbe alterato imprevedibilmente i tratti, sottraendo controllo al pittore; da entità organiche in divenire passavano così ad essere puri strumenti tecnici, non dissimili dal pennello e dalle tinte sulla tavolozza. Su di essi giorno dopo giorno si addensava la polvere, attenuando i colori più accesi in morbide terre; la composizione si evolveva e si fissava, fino ad ottenere i toni tenui desiderati per la rappresentazione.
Nel chiaroscuro delle acqueforti il ventaglio di tinte si riduce al minimo, la dinamica tonale tende alla rarefazione, l’intreccio più o meno fitto di tratti modella le ombre attorno ai volumi, e i paesaggi di Grizzana scandiscono forme conchiuse e semplificate in uno spazio dai confini irrisolti, in cui la profondità è contratta nelle due dimensioni. Citando Cesare Brandi (Appunti per un ritratto di Morandi, 1960), “l’immagine si offre sull’orlo stesso del quadro” e cruciale per la forma è “quell’avanzare dal fondo dello spazio come un ricordo dal fondo del tempo”.
Ritraendosi da quelle finestre affacciate su paesaggi immobili e superficiali, come spalmati sul vetro, l’occhio si trova circondato da una selva di vasi di fiori di ceramica, infinite variazioni sul tema principe della natura morta pittorica. I volumi hanno preso corpo, sono sodi e tangibili, a scala reale. La texture superficiale dei recipienti è grezza e frastagliata, traduce in ceramica le asperità della materia pittorica. I fiori sono tanto realistici quanto finti, tanto fragili quanto eterni. Sugli steli e sui petali si inerpicano qua e là gli insetti più vari (cervi volanti e coccinelle, una farfalla) anch’essi cristallizzati come in un’istantanea: un’ulteriore presenza/assenza di vita, che perpetua il tema classico della natura morta come vanitas. Qua e là si insinuano residui della civiltà dei consumi, come una banconota contesa da alcuni scarabei sulla sommità di un mazzo di rose color cipria.
Tra le varie opere di Morandi, due piccole nature morte di vasi fioriti si fanno termine di confronto esplicito per Bertozzi & Casoni, che le prendono a modello per una nuova istanziazione dei soggetti originari dei dipinti, sculture in ceramica che in tutto riproducono la forma, i colori e i dettagli degli originali. Veri e propri “d’après Morandi”, sono l’ultimo di una serie di rimbalzi tra diversi piani di realtà: la trasmutazione dal fiore organico al suo sosia, il fiore di seta; la composizione del dipinto, ritagliata in un angolo di casa Morandi, che nello spazio reale è già quadro e solo aspetta di essere tradotta in pittura; l’effettiva rappresentazione, che segna un passaggio dalle tre alle due dimensioni; infine una nuova trasmutazione in un diverso materiale che si riappropria dello spazio e del volume, ma in cui sono comunque evocate le dicotomie transitorio-imperituro, vivo-inerte. E, in un ulteriore cortocircuito, gli esseri che affollano le piante risuonano nelle parole che Brandi dedica ai fiori di Morandi (I Morandi di Magnani, 1963): “visioni nitide come l’alba, con quella luce fresca che penetra fra i petali, quasi ci si depositasse o li visitasse immateriale insetto alato”.