Testo di Cecilia Larese De Santo —
C’è un filo che unisce il passato al presente, ed è letteralmente cucito nelle opere di Barbara Prenka, in mostra fino al 15 maggio presso la galleria AplusA di Venezia. Le opere presentate sono frutto di una ricerca iniziata cinque anni fa, in cui pratiche antiche quali il ricamo e il disegno si intersecano con le memorie personali dell’artista.
Nata in Kossovo alla fine degli anni ’90, Barbara vive in prima persona le complessità socio politiche della guerra in Jugoslavia. Costretta a scappare con la sua famiglia, molte delle tracce e dei ricordi vennero persi durante la fuga da Rezina. Ma ciò che è stato cancellato dalla violenza del conflitto, l’artista lo recuperare attraverso pratiche tradizionali dove la lentezza e la ripetizione diventano gesti contemplativi e riparatori.
A fare da cardine nella sua poetica sono i ricordi intimi del suo nucleo familiare, memorie che possono essere estese al contesto collettivo e che rappresentano il punto di partenza dei suoi lavori. Barbara decide di portare in mostra degli oggetti realmente appartenenti alla sua famiglia, come il corredo nuziale decorato dalla propria madre negli anni ‘80: sulle grandi tovaglie ricamate di Bouquet bouquet (2025) si possono ancora riscontrare macchie e segni d’usura, in questo modo l’artista mette in evidenza le esistenze e i ricordi che permeano questi tessuti, come a voler ricreare un archivio emotivo. In altri lavori come The blindes of the dark is a touchable light (2025) sovrappone la sua pratica a quella genitoriale, unendo così due temporalità differenti: al di sopra di un tappeto realizzato dalla madre, l’artista posiziona una piccola cornice contenete un delicato ricamo privo di figurazione; una suggestione cromaticamente affine al tessuto sottostante che apre una riflessione sulle capacità del presente di poter modificare il passato.


Nutrendosi delle considerazioni sulla “diffrazione-temporale” di Karen Barad, le opere di Prenka puntano a create una coesione tra passato presente e futuro, temporalità differenti in grado di influenzarsi tra di loro e di generare una dimensione altra, dove il tempo diviene modificabile. L’evocativo titolo della mostra – What time is between my fingers? – diventa quindi un interrogativo sui limiti del tempo e della materia, un rimando al confine fisico e temporale rappresentato dalle mani nell’atto di ricamare. Il tempo, che intercorre tra le dita diventa così esteso e frazionato come quello richiesto per la realizzazione degli “Jani”, ovvero dei tappeti tradizionali la cui esecuzione prevede l’inserimento manuale di un filo alla volta in un tessuto perforato. L’artista utilizza questa tecnica per la creazione di opere come Dudi (2025), lavori tessili di piccole dimensioni in cui Barbara riproduce una fotografia della sua infanzia o dei dettagli di queste. La lentezza del gesto, identificativa di questa tecnica, viene ancor più palesata nel video Bachelorette night (2023), dove vediamo le mani della madre dell’artista impegnate nel cucire quella che poi diventerà l’omonima opera tessile, presente anch’essa all’interno della mostra. La creazione del tappeto viene accompagnata da un malinconico e personale racconto sulle difficili condizioni di vita durante gli anni della guerra in Jugoslavia, creando così un momento intimo in cui tradizione e consapevolezza si intersecano allo stesso modo di un filo cucito.
Oltre alle tecniche tessili Barbara presenta anche dei disegni: Remind me who I am (2024) è una serie di ventiquattro tavole, segnata da alcune leggere differenze di segni e cromie, in cui l’artista si concentra sulla raffigurazione di uno spazio intimo come il letto. In questo caso, la ripetizione mette in luce le vulnerabilità del quotidiano e la capacità della memoria di modificare i ricordi.
What time is between my fingers? è un invito a relazionarsi con le opere, a muoversi in modo fluido tra i vari tessuti come tra i frammenti di un racconto intimo e collettivo. Unendo così, in una forma coesa come quella dei ricami, le proprie memorie con quelle dell’artista.
Cover: Barbara Prenka, Crocodile tears, 2025, embroidery on cotton hand-embroidered by the artist’s mother in 1983 and drapery, site-specificinstallation, environmental dimensions, Courtesy the artist and A plus A Gallery, ph Clelia Cadamuro



