ATP DIARY

From print to song: John Baldessari e Sol Lewitt in mostra alla galleria Tommaso Calabro, Milano

Testo di Carla Tozzi — La galleria Tommaso Calabro ha riaperto le sue porte e ad accogliere i visitatori e le visitatrici sullo scalone d’ingresso è il volto barbuto di John Baldessari che seduto di fronte alla videocamera intona, seguendo...

FROM PRINT TO SONG Baldessari Sings LeWitt – Galleria Tommaso Calabro – Installation view © Riccardo Gasperoni
Video still from John Baldessari (1931–2020) Baldessari Sings LeWitt 1972 b/w, sound 12’ 38’’ © Estate of John Baldessari

Testo di Carla Tozzi —

La galleria Tommaso Calabro ha riaperto le sue porte e ad accogliere i visitatori e le visitatrici sullo scalone d’ingresso è il volto barbuto di John Baldessari che seduto di fronte alla videocamera intona, seguendo melodie note ai più, le trentacinque Sentences On Conceptual Art che Sol LeWitt pubblicò per la prima volta nel 1968, un manifesto per punti dell’arte concettuale che segue e amplia i Paragraphs On Conceptual Art, testo fondamentale pubblicato su Artforum nel 1967.

Baldessari Sings LeWitt è il titolo del videotape che l’artista americano registra nel 1972 e che costituisce il punto di partenza per la riflessione che la curatrice Paola Nicolin pone al centro della seconda mostra da lei curata alla galleria Tommaso Calabro dopo quella dedicata a Rodolfo Aricò e Anna Castelli Ferrieri del 2019 sul tema della progettualità. Il percorso immaginato dalla curatrice presenta una selezione di opere grazie alle quali il dialogo tra i due artisti prende forma e parola.

Baldessari traspone letteralmente “from print to song” le frasi scritte dall’amico artista Sol LeWitt con lo scopo, dice, di evitare che queste rimangano nascoste tra le pagine di libri e cataloghi e di portarle perciò all’orecchio di un pubblico più esteso.

Per LeWitt questo elenco di statements non rappresentava né una chiave di lettura del suo lavoro né vi era sotteso un suggerimento a intenderli come codice di decifrazione delle sue opere, ma li descriveva come una sorta di diagramma operazionale per rendere l’arte automatica, autonoma: piuttosto che spiegare l’arte, l’arte diventa soggetto di un funzionamento meccanico. 

L’interesse di LeWitt per ciò che è macchina e meccanismo si collega in maniera interessante a un testo di Hans Rudolf Zeller, Mallarmé and Serialist Thought (1964) diffuso tra gli artisti concettuali americani negli anni Sessanta, in cui si parla de Le Livre, il sognato progetto del poeta francese, come di un meccanismo complesso e totale messo in moto e attivato da un operatore, un’immagine questa, che si insinua negli scritti sull’arte concettuale di LeWitt. 

Il pensiero seriale è inteso come creazione di forme che si basano sull’unicità dell’individualità e la somiglianza a qualcosa d’altro pur non rappresentandolo, evitando in tal modo ciò che è ripetizione e tendendo verso ciò che è continua innovazione teorica e pratica e verso un movimento di continuo e infinito progresso. 
Baldessari riprende le trentacinque asserzioni separando la forma scritta da quella verbale, seguendo ironicamente le indicazioni di LeWitt per cui “the artist may use any form, from an expression of words (written or spoken) to physical reality, equally.” (Sentence N. 15)
Le Sentences sono estrapolate e liberate in maniera quasi disorientante dal contesto della carta stampata pur con diverse accortezze, come quella di un fraseggio scandito con attenzione.
Mentre LeWitt si serve di una grammatica e di un alfabeto propri della geometria e della matematica, John Baldessari punta sul linguaggio non solo come elemento visuale ma come significante portatore del proprio significato.

FROM PRINT TO SONG Baldessari Sings LeWitt – Galleria Tommaso Calabro – Installation view © Riccardo Gasperoni
John Baldessari (1931–2020) Prima Facie (Second State): Kind 2005 archival digital print on canvas with UV varnish coating and acrylic on canvas, in 2 parts (169x276cm.)
FROM PRINT TO SONG Baldessari Sings LeWitt – Galleria Tommaso Calabro – Installation view © Riccardo Gasperoni

E come per LeWitt l’artista è colui che ha l’intuizione, che individua la composizione e che partorisce l’idea, così anche per Baldessari, che si definisce stratega delle sue opere, il concetto di autorialità non si lega alla creazione dell’opera come oggetto ma dell’opera come idea.

Se dalla progettualità può derivare una sensazione di ripetitività, entrambi gli artisti si pongono il problema della noia: Baldessari, dopo il Cremation Project del 1970, scrive ripetutamente I will not make any more boring art (di cui nella prima sala della mostra è proiettato il video del 1971e si trovano diversi poster dell’esposizione presso Le Case d’Arte del 2011), una sorta di manifesto che con tono ironico persegue il meccanismo processuale e in qualche modo meccanico proprio dei processi dell’arte concettuale, una ripetitività prolungata ma non prevedibile che nella performance assegnata ai suoi studenti del Nova Scotia College of Art and Design sfocia nell’horror vacui e in una ripetizione segnica quasi non più linguistica, ribaltando il piano del linguaggio nell’arte di Baldessari, trasformando la frase ripetuta in parole da guardare e non da leggere.
Nei suoi paragrafi sull’arte concettuale LeWitt sottolinea come non ci sia nessun motivo di supporre che l’artista concettuale possa annoiare chi guarda, solo l’occhio dello spettatore assuefatto dalle scosse dell’arte espressionista può respingere le opere dell’arte concettuale.

Il percorso della mostra si sviluppa in senso cronologico ed evidenzia una natura progettuale e strategica nell’esplorazione della pratica artistica che Baldessari e LeWitt hanno in comune.
La rigorosa modularità di LeWitt crea un discorso interessante in relazione all’umorismo vivace di Baldessari nelle sale della galleria: le Lines to Points on a grid (1976) e i colorati Untitled degli anni Ottanta producono un dialogo geometrico e cromatico imprevisto con le opere fotografiche Life and Death (1974), Yellow Slough with Blue Elephant (1989), Golf (1971)  che si conclude nell’ultima sala, in cui le composizioni dipinte più rilassate e concilianti dei Brushstrokes (2000) di LeWitt  – opere degli anni Novanta in cui l’artista si allontana dalla geometria di cubi e linee per dipingere di suo pugno tele con pennellate ondeggianti e in libero movimento – si trovano giustapposte ad opere come Profile with Ear and Nose (2006)  e Raised Eyebrows/ Furrowed Forheads: Arm (with shadow) (2009) che raccontano della fascinazione di Baldessari per la figura umana come insieme di parti di un intero e all’opera Kind (2005) della serie Prima Facie, risultato dello studio sul legame tra linguaggio ed espressività realizzato da Baldessari tra il 2005 e il 2006. 

Questo accostamento finale disvela un punto di congiunzione delineato nell’intero percorso della mostra che termina all’uscita nello stesso modo in cui era iniziato, con il volto barbuto di John Baldessari che seduto di fronte alla videocamera intona le trentacinque Sentences On Conceptual Art di Sol LeWitt.

John Baldessari (1931–2020) Noses & Ears Etc.: The Gemini Series: Profile with Ear and Nose (Color) 2006 2-layer, 7-color screenprint construction (mounted to Sintra and hand cut), framed (87×81.3×7.6cm.) Edition 43 of 45
Sol LeWitt (1928-2007) Untitled 1986 watercolor and pencil on paper (24x56cm.)
FROM PRINT TO SONG Baldessari Sings LeWitt – Galleria Tommaso Calabro – Installation view © Riccardo Gasperoni
John Baldessari, I Will Not Make Any More Boring Art, lithograph, 58 x 77,1 cm, artist’s proof, 1971