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AUGMENTED IMAGES | Intervista con Lorenzo Bacci + Flavio Moriniello 

"A livello inconscio, siamo ancora molto simili ai nostri antenati preistorici, pur vivendo in un mondo radicalmente trasformato. In molti contesti, la nostra percezione si adatta, accettando il virtuale come parte integrante dell'esperienza quotidiana." Lorenzo Bacci / Flavio Moriniello

Intervista di Sara Benaglia e Mauro Zanchi — ‘Augmented Images’

Sara Benaglia + Mauro Zanchi: Da G. Debord (2018) mostra i comportamenti e gli ambienti degli esseri umani contemporanei attraverso le immagini di Instagram, intese come archivio costantemente aggiornato tramite scatti di fotografie, grafiche etc. Come funziona l’applicazione Sociorama, che avete sviluppato per scaricare 10.000 immagini in un solo giorno da ogni diverso hashtag? Cosa sta accadendo nella attuale società dello spettacolo? Quali consonanze avete individuato rispetto a ciò che Guy Debord rivelò nei suoi scritti e film degli anni Sessanta e Settanta, a proposito del controllo esercitato dai mezzi di comunicazione di massa e della trasformazione delle persone in consumatori nel sistema economico capitalista?

Lorenzo Bacci + Flavio Moriniello: L’applicazione Sociorama, sviluppata per il progetto Da G. Debord (2018), era sostanzialmente un programma di scraping di Instagram, ovvero uno strumento che permetteva di estrarre grandi quantità di dati da una piattaforma. Il suo funzionamento era relativamente semplice: scegliendo una data e un hashtag specifico, si scaricavano automaticamente tutte le immagini caricate che corrispondevano ai parametri. L’automazione del processo è stata preferita per gestire un volume molto ampio di dati, rendendo l’operazione molto più efficiente rispetto a un metodo manuale. Inizialmente, l’app era nata per pura curiosità. Successivamente, è stato deciso di trasformare l’idea in un vero e proprio progetto. Guardando indietro, è interessante notare come lo scraping sia diventato uno strumento chiave per alimentare i dataset di addestramento degli algoritmi di intelligenza artificiale avanzati come quelli che vediamo oggi. In modo forse inconsapevole, già intravedevamo un collegamento tra lo scraping e l’intelligenza artificiale. Nel progetto si utilizzavano due algoritmi di IA: uno per creare cluster di immagini e l’altro per il riconoscimento degli elementi visivi (image recognition). A livello espositivo si è aggiunto un audio generato dall’elenco degli elementi visivi precedentemente identificati con la loro relativa frequenza.
Riflettendo sulla Società dello spettacolo, crediamo che Debord abbia intravisto il percorso che ci ha portato all’attuale panorama dominato da influencer, social network e intrattenimento costante. A differenza del passato però, in cui i mezzi di comunicazione si rivolgevano a una massa generica, oggi gli strumenti sono progettati per targetizzare utenti specifici e sottogruppi. Riflettiamo sui social network per esempio. Sono oggetti molto complessi da sovvertire e in cui il controllo passivo subito dagli utenti è piuttosto evidente. Un esempio è quando si rimane intrappolati nel circolo vizioso legato a reel che appaiono automaticamente. È difficile forzare un utilizzo diverso da quello previsto dai loro creatori. Questi spazi, sebbene siano accessibili al pubblico, sono gestiti da aziende private che stabiliscono le regole e le strutture in modo tale da orientare gli utenti verso un’interazione specifica.

SB+MZ: Automatic for the people (2021)indaga la manipolazione e circolazione delle fotografie, l’ambiguità delle immagini, la difficoltà della tecnologia e del web a distinguere la realtà dalla finzione. Emblematico è ciò che è accaduto durante l’assalto al Campidoglio il 6 gennaio 2021, dove i sostenitori dell’ex presidente Trump hanno prodotto materiale visivo (fotografie e video) utilizzato poi dall’FBI per l’identificazione dei manifestanti che hanno partecipato all’insurrezione, attraverso algoritmi e intelligenza artificiale. Ci potreste parlare delle vostre scansioni dei manifestanti trumpiani realizzate direttamente dall’abbondante materiale visivo che ha avuto una ampia copertura mediatica, e della vostra indagine attraverso tecnologie e algoritmi di riconoscimento delle immagini, software di modellazione 3D?

LB+FM: Il progetto scansiona e analizza l’abbondante materiale visivo prodotto, come una sorta di indagine parallela a quella effettuata dal FBI, utilizzando strumenti simili (tecnologie di image recognition e software di modellazione 3D), tecnologie che si legano alla sorveglianza e al controllo. Inizialmente, abbiamo fatto cercare all’algoritmo alcune categorie, come la presenza di mani che reggono smartphone. Successivamente, abbiamo mappato la maggior parte dei volti nelle fotografie o nei video. Infine, abbiamo convertito i manifestanti in personaggi CGI o simili a quelli dei videogiochi. Un evento talmente paradossale in certi aspetti da non sembrare reale. Ci interessava comprendere quale tipologia di immagine si stesse diffondendo in quei giorni sia da parte dei media tradizionali sia da parte dei manifestanti stessi. L’elemento che ci ha spinto a lavorare ad Automatic for the people era l’apparente necessità da parte dei partecipanti di un evento (legale o meno) di testimoniare la propria presenza, più che vivere l’esperienza in sé. Come a dire “io ero qui”, noncurante delle eventuali ripercussioni legali di un determinato atto.

Bacci Moriniello, Automatic for the people, I was there! 002. Online photograph with object detection frames and raw polygon mesh, 2021

SB+MZ: I modelli di intelligenza artificiale rappresentano immagini e testi come vettori in spazi multidimensionali, ma questo ‘spazio latente’ rimane inaccessibile alla nostra intuizione. Come conciliare questa rappresentazione astratta con la nostra esperienza visiva e la natura analogica della fotografia?

LB+FM: Noi riteniamo che ci siano delle importanti similitudini tra lo spazio latente e il funzionamento del cervello e del pensiero umano. I modelli IA sono in grado di decodificarlo e trasformarlo in immagini realistiche proprio come il cervello umano trasforma segnali neurali in percezioni visive. Lo spazio latente in cui i modelli IA mappano immagini e testi è uno spazio multidimensionale di vettori che rappresentano caratteristiche astratte. Ogni vettore descrive concetti come forme, colori, texture, o composizioni, ma in una forma compressa e non visiva. Lo spazio latente è pertanto simile alla capacità del cervello di generalizzare informazioni e codificare gli stimoli in rappresentazioni astratte. Questo ci permette di riconoscere somiglianze tra oggetti e situazioni, e creare nuove combinazioni. Per esempio, ci consente di riconoscere un volto anche se cambia angolazione o illuminazione. Nei modelli IA lo spazio latente, anche se non direttamente comprensibile, consente al sistema di creare un’immagine coerente con le immagini che conosciamo, pertanto anche le fotografie. Nonostante l’assenza diretta di accesso diretto a questa codifica interna possiamo sperimentare il risultato finale come visione o immaginazione. Inoltre, il discorso dello spazio latente sembra vicino al concetto di “Immagini Operative” teorizzato da Harun Farocki e approfondito in seguito da Trevor Paglen. Le Immagini Operative generate da sistemi tecnologici come satelliti, droni e IA, non sono destinate alla visione umana ma servono a compiere azioni all’interno di sistemi complessi. Il processo di generazione di immagini tramite IA rappresenta un’evoluzione di questo concetto. Queste immagini non svolgono il ruolo di mero oggetto visivo, ma sono strumenti attivi che svolgono un ruolo nella costruzione della realtà.

SB+MZ: La digitalizzazione ha profondamente modificato il nostro rapporto con l’immagine. La manipolazione digitale solleva interrogativi sulla veridicità delle rappresentazioni visive. In un contesto dove la realtà può essere simulata e alterata, come si evolve la nostra capacità di distinguere il reale dal virtuale e come si adatta la nostra percezione a queste nuove modalità di rappresentazione?

LB+FM: Riteniamo che la capacità di distinguere tra reale e virtuale sia un’abilità fondamentale per l’essere umano contemporaneo e futuro. Parlando di simulazione realistica noi non ci riferiamo solamente alle tecnologie XR ma anche all’apparato di disinformazione (spesso) utilizzata in ambito politico. Ci auguriamo che con l’aumento di queste simulazioni la nostra capacità di distinguere tra reale e virtuale si evolva, affinando la nostra percezione. Tuttavia, rimaniamo in parte scettici che ciò possa davvero accadere. La tecnologia avanza rapidamente, mentre il sistema educativo rimane spesso un passo indietro. Ancor più lenti sono i nostri processi evolutivi. A livello inconscio, siamo ancora molto simili ai nostri antenati preistorici, pur vivendo in un mondo radicalmente trasformato. In molti contesti, la nostra percezione si adatta, accettando il virtuale come parte integrante dell’esperienza quotidiana. Questo porta a una ridefinizione del concetto di realtà, che si espande per includere anche vari tipi di esperienze, non più vincolate alla sola materialità, ma all’intensità e al significato dell’esperienza vissuta, così come alle conseguenze che essa comporta. 
L’immagine digitale fa parte di questo nuovo concetto di realtà.  La generazione di immagini tramite intelligenza artificiale e il suo campo d’azione possono essere visti come un’estensione delle idee originarie di fotografia e rappresentazione, ampliando ulteriormente il confine tra reale e virtuale.
Aneddoto curioso rispetto alla fotografia, ci aveva colpiti leggere ad una mostra numerosi cartelli con scritto “All images in this exhibition are original photographs”. Come se fosse un segnale per distinguere la realtà dalla finzione.

Bacci Moriniello, Brave New World, Installation view #01, Yoga AI, MEET, Milan, 2024 (photo by Valeria Mottaran)
Bacci Moriniello, I know, we should have talked about it before, Soma, Mesh structure, #02, 2024

SB+MZ: In Information overload (2017)avete posto l’attenzione sulla quantità di input ricevuti da un sistema, sulla non attendibilità delle numerose informazioni disponibili, sull’utilizzo di WhatsApp da parte di terroristi per pianificare attacchi, indagando anche ciò che sta fra gli input informativi ricevuti da qualcuno e ciò che concerne la comprensione e l’utilizzo di questo materiale. Cosa innesca il sovraccarico informativo quando gli input superano la capacità di elaborazione di un meccanismo, in grado anche di mettere in crisi i sistemi di sicurezza? Come avete risolto formalmente queste ricerche nel vostro lavoro?

LB+FM: Molte cose nella nostra vita restano in gestazione per lungo tempo per varie motivazioni che sono un riflesso delle difficoltà odierne. Queste difficoltà sono esacerbate anche dalla sovrabbondanza di informazioni. Il sovraccarico informativo, amplificato dall’uso costante di dispositivi digitali e social media, ha effetti rilevanti sulle nostre vite. La costante esposizione a stimoli esterni e la mole di informazioni disponibili rendono difficile la gestione di tutto, portando a indecisioni persino su questioni banali. Questo eccesso di input non solo diminuisce la produttività, ma influisce anche sul benessere psicologico, creando stress e frustrazione, mentre indebolisce la qualità delle relazioni interpersonali.
All’interno del fenomeno dell’Information Overload, abbiamo voluto esplorare il paradosso tra l’accesso a una mole infinita di informazioni e l’incapacità di decodificarle in modo chiaro. Nonostante la quantità di dati disponibili, il problema nasce dal loro eccesso e dalla difficoltà di estrarre un significato concreto e coerente. Nel contesto di indagini su fenomeni complessi come il terrorismo, ad esempio, l’obiettivo di ottenere un quadro chiaro delle attività viene ostacolato da una “nuvola informativa” densa e frammentata. Il risultato visivo di questo sovraccarico è stato rappresentato da un insieme di conversazioni sovrapposte, estratte da fonti giornalistiche attendibili, ma messe in una forma che rende il messaggio criptato e incomprensibile. Questo riflette non solo il nostro rapporto con l’informazione nella società contemporanea, ma anche la difficoltà crescente di distinguere tra dati rilevanti e superflui, e tra ciò che è verificabile e ciò che è distorto. Information Overload ha dunque voluto focalizzarsi su questi aspetti, sottolineando la necessità di un’indagine critica della nostra epoca: la rapidità con cui riceviamo e consumiamo informazioni, la fatica a comprenderle, e l’affidabilità delle fonti da cui provengono.

SB+MZ: Come state utilizzando le intelligenze artificiali generative nella vostra ricerca artistica?

LB+FM: Negli ultimi anni, abbiamo approfondito il funzionamento dell’IA generativa sperimentando vari strumenti in fase di sviluppo. La recente diffusione su larga scala di modelli text-to-image ha rappresentato una svolta significativa per esplorare nuove pratiche sociali. Questi strumenti, se utilizzati con uno scopo preciso e sostenuti da una solida idea di fondo, possono rivelarsi estremamente efficaci anche nella creazione di progetti artistici. La riflessione su alcuni temi ci ha condotti alla creazione di Brave New World e l’uso di questi modelli ci è sembrato il mezzo più coerente. Negli ultimi anni abbiamo riflettuto molto sul concetto di post-verità. Per questo abbiamo strutturato la mostra nell’Edicola Radetzky come una performance, spingendo al limite la dialettica tra realtà e finzione. Viviamo in un’epoca in cui la tecnologia ha reso la produzione di immagini accessibile a chiunque, in qualsiasi momento. Questa democratizzazione ha certamente ampliato il panorama visivo, ma ha anche generato una saturazione di contenuti, rischiando di diluire il valore simbolico e concettuale delle immagini e portando a una standardizzazione estrema.  Oggi più che mai, riteniamo che l’immagine non debba solo mostrare, ma anche stimolare una riflessione e creare una connessione più profonda con l’osservatore. In questo senso, l’uso consapevole dell’IA è fondamentale. L’omologazione impoverisce l’esperienza visiva.

SB+MZ: Qual è il ruolo dell’estetica artistica in un mondo dominato dagli algoritmi?

LB+FM: Crediamo che l’arte debba essere un mezzo critico per comprendere, interpretare e dialogare con il mondo. Di fronte al crescente utilizzo di algoritmi che tendono a indirizzare le nostre esperienze e percezioni in modo eccessivo, emerge un problema di standardizzazione del pensiero e della creatività. In un contesto simile la pratica artistica ha la capacità di sfidare le rigidità, proponendo prospettive nuove, stimolando riflessioni critiche e creando spazi di libertà che superano i limiti imposti dalla tecnologia. In questo modo, l’arte non solo resiste alla standardizzazione, ma riporta l’attenzione sulla complessità e la diversità dell’esperienza umana.

Bacci Moriniello, Information Overload, Installation view #02, Premio Fabbri, 2017
Bacci Moriniello, The Revolution will not be going live, Hands, composition, 2022

SB+MZ: Come cambiano i concetti di originalità e autenticità nell’era dell’intelligenza artificiale?

LB+FM: Secondo noi, questi concetti non cambiano particolarmente. Spesso, infatti, si idealizza l‘originalità umana come un’ispirazione improvvisa, frutto di un talento straordinario, mentre in realtà è il risultato di fatica, lavoro e, soprattutto, profonda conoscenza. Per noi, il processo creativo si fonda su una lunga esposizione al sapere del passato, in tutte le sue forme, sul riconoscimento degli schemi fondamentali, e infine sulla capacità di ricombinare attentamente questi elementi per generare qualcosa. Per questo riteniamo sterile la polemica secondo cui l’intelligenza artificiale copia o manca di creatività. Ovviamente copia, e ovviamente non possiede creatività intrinseca, ma è l’uso consapevole e intelligente da parte di un essere umano che conferisce valore e direzione al processo. L’idea che la tecnologia da sola possa trasformare qualcuno in un genio o artista è altrettanto priva di fondamento. Inoltre, troviamo superata la polemica sull’autorialità intesa spesso come prodotto di un individualismo esasperato. La creatività non è mai un atto isolato di un singolo, ma il risultato di scambi e interazioni. La storia dell’umanità si è sempre costruita attraverso collaborazioni, influenze reciproche e ibridazioni. Parlando invece di autenticità, la questione non suona forse anacronistica? In un mondo dominato da oltre un secolo dall’industrializzazione e dalla produzione di massa, quasi tutto è creato per essere riprodotto e standardizzato.

SB+MZ: Quali sono le implicazioni etiche dell’uso delle immagini generate dall’IA?

LB+FM: Pensiamo che le implicazioni etiche dell’uso di immagini generate artificialmente varino notevolmente a seconda del contesto, sia esso artistico, commerciale o giornalistico. Per quanto riguarda l’arte, non vediamo particolari problemi, poiché per noi l’arte è estrema progettazione e si nutre di nuovi strumenti e forme espressive. Nell’ambito commerciale, invece, sorgono questioni etiche dovute al fatto che l’IA attinge ad enormi quantità di dati che riproducono pregiudizi della nostra società e disuguaglianze sociali. Sebbene ciò rappresenti un riflesso della nostra società, è fondamentale che la tecnologia venga usata per promuovere rappresentazioni più eque. Tuttavia, spesso tendiamo a dare alle tecnologie una responsabilità eccessiva, dimenticando il ruolo cruciale di chi le sviluppa e gestisce, o attribuendo a esse la colpa per problemi etici che ci appartengono come individui o come società. In ambito giornalistico, l’uso di immagini generate e presentate come autentiche è profondamente sbagliato, ma la manipolazione delle immagini è un problema già esistente, emerso già dalla fotografia analogica. La fotografia dalla sua nascita, come tecnologia, è intrinsecamente legata al concetto di riproduzione e di falsificazione. Tuttavia, con l’avvento dell’IA, la questione assume una rilevanza ancora maggiore.

SB+MZ: In che modo l’intelligenza artificiale può arricchire o minacciare la creatività umana?

LB+FM: C’è un forte dibattito rispetto a questo tema. Riteniamo che sia una polemica sterile quella secondo cui l’IA possa minacciare la creatività umana. Crediamo che siano assurde le invettive riguardo al fatto che l’IA copi. Certamente, l’IA copia e non possiede creatività intrinseca; tuttavia, è l’uso consapevole e intelligente da parte dell’essere umano a conferire valore e direzione al processo creativo. L’idea che la tecnologia possa trasformare automaticamente qualcuno in un genio o in un artista è altrettanto infondata. Pertanto, se utilizzata in modo strategico, l’IA può fungere da strumento potente che stimola l’innovazione e amplifica la creatività, mentre un uso superficiale è soltanto inutile.

SB+MZ: La nostra conversazione è stata in stand-by per un po’ di tempo e, curiosamente, uno dei vostri ultimi lavori ha un titolo che richiama tutto questo: I Know, we should have talked about it before (2024). Che tipo di conversazione è quella costruita attraverso la realtà virtuale? In che modo la VR potrebbe cambiare la relazione tra umani?

LB+FM: L’accelerazione del progresso e delle nostre vite rischia di ridurre drasticamente lo spazio per il dialogo e la riflessione. Lo so, avremmo dovuto parlarne prima è la traduzione letterale del titolo del progetto, che si fonda sul dialogo, anche se allude a due conversazioni distinte ma altrettanto importanti: la prima con un’intelligenza artificiale e la seconda tra noi umani. Nell’opera abbiamo pensato al dialogo con l’intelligenza artificiale sia per informare e far conoscere al pubblico le potenzialità di questa tecnologia, sia per esplorare i suoi limiti attuali e ripercussioni future. L’utilizzo di un visore VR permette agli utenti di immergersi completamente in un ambiente virtuale, portandoli momentaneamente a distaccarsi dalla realtà esterna. Tuttavia, anche gli spettatori che non indossano il visore svolgono un ruolo cruciale nell’opera, poiché osservano un essere umano mentre interagisce con la macchina, elemento centrale dell’esperienza. Attraverso questa opera desideriamo stimolare un dialogo costruttivo per affrontare il periodo di trasformazione che stiamo attraversando.
Dopo centinaia di interazioni con un pubblico variegato, è emerso un quadro chiaro: le reazioni all’IA riflettono lo stesso intreccio di emozioni che domina il dibattito contemporaneo: entusiasmo, curiosità, timore e reticenza. Queste emozioni mostrano come l’esperienza diretta con l’IA possa contribuire a creare una percezione collettiva più equilibrata riguardo al suo potenziale e alle sue implicazioni, aiutando a bilanciare aspettative e preoccupazioni in modo più consapevole.
Negli ultimi anni sono stati condotti numerosi esperimenti per esplorare la virtualizzazione delle interazioni sociali, come Meta VR o Apple Vision. Tuttavia, la risposta del pubblico è stata piuttosto tiepida, probabilmente perché le persone non sembrano inclini a utilizzare dispositivi così ingombranti.
Per noi sono degni di nota l’effetto immersivo di questa tipologia di dispositivi e, di conseguenza, la possibilità di perdere contatto con il mondo esterno. Nell’opera abbiamo cercato di sfruttare queste caratteristiche per cercare di ottenere dei dialoghi il più possibile genuini. Alcuni sono stati veramente molto interessanti e molto spontanei.
Allo stesso tempo la tecnologia VR può sicuramente spingere verso un isolamento eccessivo, simile a un “effetto hikikomori diffuso”. Il modo in cui sceglieremo di utilizzarla influenzerà senza dubbio il futuro della socialità e delle nostre interazioni quotidiane.
Questa tecnologia, utilizzata come strumento di comunicazione, ha la capacità di accelerare le interazioni, rendendole più simili a una conversazione in presenza. Si inserisce in un percorso evolutivo che va dal telefono alle videochiamate, fino alle piattaforme di messaggistica istantanea. Tuttavia, non è detto che questa velocità e accessibilità siano necessariamente vantaggi. Personalmente, ci sentiamo spesso sopraffatti da un eccesso di comunicazione superficiale, che sembra impoverire la qualità delle relazioni piuttosto che migliorarle.

Bacci Moriniello, Thermodynamics of a singularity, The Queue, 2020
Bacci Moriniello, Da G. Debord, installation view, Triennale di Milano, 2018

SB+MZ: Brave New World (2023) è una risposta politica all’art. 5 D.L. 162/2022, che puniva non solo organizzatori e promotori, ma anche i partecipanti a rave illegali con sanzioni più gravi per i primi e diminuite per i secondi. Avete mostrato questo lavoro solo in spazi espositivi o avete pensato a un’azione anche nello spazio pubblico/online? L’utilizzo dell’AI è creazione di finzione o creazione di mondi?

LB+FM: La creazione di finzioni può coincidere con la costruzione di veri e propri mondi. Questo concetto si riflette in una celebre frase spesso attribuita a Joseph Goebbels, ministro della propaganda nazista: “Una bugia ripetuta molte volte diventa una verità”. Ciò sottolinea come la ripetizione costante di una narrazione fittizia possa gradualmente trasformarla in una verità accettata dal pubblico, influenzando la percezione collettiva della realtà e manipolando il consenso.
L’intelligenza artificiale semplifica ciò che era stato possibile fare attraverso altri media come la fotografia o il cinema per esempio. L’IA attinge a dataset, semplifica e rende accessibile a molti il processo di creazione di un mondo nuovo e per questo risulta difficile in alcuni casi distinguere la finzione dalla realtà. Sicuramente è un problema che già stiamo affrontando, in quanto influenza in maniera diretta la società.
Mentre stavamo riflettendo sull’idea della “morte dell’immagine fotorealistica, intesa come documento affidabile, l’urgenza della politica si concentrava su altro, come avete ricordato nella vostra domanda. Allora abbiamo pensato che si potesse utilizzare lo strumento in maniera costruttiva, ovvero ricostruire artificialmente ciò potrebbe scomparire. 
La dialettica tra realtà e rappresentazione, così come quella tra verità e finzione, è un tema fondamentale per noi.
Lo scorso anno abbiamo presentato Brave New World in unamostra curata da Andrea Tinterri presso Edicola Radetzky, uno spazio espositivo ed ex-chiosco, che in passato serviva come luogo di comunicazione con la popolazione ai tempi della dominazione austriaca. Questa caratteristica ha conferito alla mostra il carattere di un’azione nello spazio pubblico, poiché il nostro obiettivo principale era interagire con i passanti anziché con il consueto pubblico del mondo dell’arte.
La mostra si è articolata in due momenti distinti: inizialmente, le immagini presentate erano descritte come un reportage realistico di una scena specifica; successivamente, abbiamo rivelato che le stesse immagini erano state generate da un’intelligenza artificiale. Durante il primo momento, diverse persone si sono avvicinate affermando di riconoscere quei luoghi o di aver partecipato agli eventi documentati, dimostrando quanto credibile fosse la rappresentazione. In un secondo momento, dopo la rivelazione, alcune persone ci hanno chiesto se stessimo mentendo, insinuando che le immagini non fossero realmente generate da un’IA. Questo scetticismo potrebbe essere stato causato dal formato utilizzato per le immagini: le fotografie erano stampate su carta per fotografia istantanea, un supporto che rimanda a una certa autenticità e realismo.
Più recentemente, l’opera è stata inclusa nella collettiva Yoga AI, curata da Valerio Borgonuovo, presso il MEET Digital Culture Center.

SB+MZ: In Thermodynamics of a singularity (2020-2022) la pratica fotografica si apre alle termocamere in occasione dell’esplosione globale di Coronavirus. Molti nuovi investimenti tecnologici vengono fatti nell’ambito sonoro. Pensate che la fotografia potrà estendersi ulteriormente in questa direzione?

LB+FM: In quel progetto abbiamo riflettuto su quale dispositivo potesse rappresentare meglio la pandemia e quale tipo di immagine risultasse più simbolico dell’emergenza, ponendo particolare attenzione al concetto di immagine. Abbiamo osservato che i computer e i telefoni cellulari, ampiamente utilizzati da tutti, si sono rivelati dispositivi emblematici di quel periodo. Detto ciò, ci sembrava evidente che il fenomeno fosse già in atto anche prima della pandemia. Abbiamo osservato come alcune tipologie di rappresentazione specifiche fossero emerse, come le schermate delle videochiamate, la segnaletica riguardante i limiti e i divieti legati al virus, e la progressiva scomparsa delle immagini pubblicitarie dallo spazio pubblico.  Anche in questo caso non ci sembravano immagini particolarmente interessanti. Contemporaneamente stavamo ragionando sul concetto di visione, conoscenza, dati e potere. L’immagine creata dalle termocamere all’ingresso degli edifici ci è sembrata una sintesi perfetta poiché è un ibrido tra immagine e dati.
Non abbiamo riscontrato molti esempi di associazione tra suono e immagine fotografica. Tuttavia, nel progetto Da G. Debord abbiamo integrato una componente sonora, elencando gli elementi presenti nell’immagine insieme alla loro frequenza. In Brave New World, invece, abbiamo sperimentato un approccio diverso: abbiamo creato una colonna sonora generata artificialmente, dove le immagini venivano tradotte in suoni tramite algoritmi. Questo ci ha permesso di esplorare un’interessante connessione tra visuale e sonoro, trasformando i dati visivi in esperienza acustica.

Cover: Bacci Moriniello, I know, we should have talked about it before, Soma, Mesh structure, #02, 2024