Intervista di Sara Benaglia e Marco Zerbinati — ‘Augmented Images’
Sara Benaglia – Marco Zerbinati: In “The Manhattan Project (2022- in corso) hai deciso di lavorare partendo proprio da descrizioni e scansioni di fotografie contenute nel libro Evidence (1977) di Larry Sultan e Mike Mandel. Come mai? Che tipo di operazione hanno fatto loro e cosa significa rioperare su di essa?
Andrea Camiolo: Evidence come operazione artistica in generale, e nello specifico come fotolibro, mi ha sempre colpito per la sua forza estetica e concettuale. Acquistai il libro nel 2020, e da allora cercai di capire il funzionamento delle fotografie al suo interno, come e perché fossero state prelevate dagli archivi da parte di Sultan e Mandel, in che modo fosse stata concepita la sequenza, il perché la mia mente cercasse di creare una storia (di nuovo) mettendole in relazione. Il loro è un progetto che nasce e si sviluppa in anni in cui viene posto in analisi il concetto di autorialità e di paternità dell’opera nel mondo dell’arte, con continui tentativi di decostruzione e ricostruzione dello stesso, penso a opere che si basano sulla fotografia come quelle di Sherrie Levine o Richard Prince e molti altri artisti e artiste. Rioperare su Evidence per me significa tentare di aggiungere un piccolo contributo, una sorta di nota a margine, a ciò che Sultan e Mandel hanno magistralmente concettualizzato e prodotto negli anni ’70.
Sara Benaglia + Marco Zerbinati: “The Manhattan Project (2022- in corso) raccoglie le fotografie di vari esperimenti legati all’uso di esplosivi nucleari condotti negli anni ’40. I negativi sono stati trovati in una base militare americana abbandonata in Sicilia. A causa del tempo, le immagini hanno subito un notevole deterioramento che produce una sovrabbondanza di grana e una minore nitidezza”. Perché hai deciso di inventare proprio questa storia? È sorretta da un intento politico?
AC: È una storia come un’altra, una sorta di favola per bambini. Penso che la mia mente sia affascinata dalle storie e cerchi sempre un motivo, un perché, a ciò con cui si relaziona nel mondo. Potrei benissimo dire che dietro vi è un intento politico o attivistico, ma non sarebbe la verità. È una storia creata per “gioco” (quindi con un intento ludico/intrattenente) che risulta vagamente plausibile proprio perché sono siciliano e parlo di basi militari in Sicilia nei primi 300 caratteri del concept. Il focus del progetto è però su altro, sul funzionamento delle AI, sul cortocircuito che si crea dal punto di vista della paternità dell’opera. Naturalmente avendo prodotto un concept e delle immagini “aperte”, le letture interpretative hanno ampio spazio di manovra. Rispondendo però direttamente (e al di fuori del progetto) su cosa penso dell’occupazione territoriale da parte degli USA in punti strategici in Sicilia (come in Sardegna e in vari altri posti in Italia) posso dire che da cittadino ed elettore sono assolutamente contrario.
SB+MZ: Nella descrizione del tuo progetto leggiamo che hai creato delle “immagini false”. Dove sta il confine tra finzione e realtà in The Manhattan Project (2022- in corso) e nei progetti in generale realizzati con l’AI?
AC: Senza scomodare la filosofia, la psicologia o l’antropologia, credo che sia davvero difficile definire i concetti di realtà e finzione in modo unidirezionale. Prendiamo come esempio una persona che dichiara il falso, e che quindi finge, per farsi attribuire dei reati da lui non commessi. Se giudicata colpevole, questa persona trasformerebbe la finzione in realtà, creando una verità giudiziaria a lui favorevole (nel suo intento di ingannare) e agli occhi di tutti data per certa (la verità/realtà che lui sia colpevole). Dove sta qui il confine? Ovviamente è una circostanza bizzarra e alquanto improbabile ma che può portare a delle interessanti considerazioni. Le “mie” immagini di The Manhattan Project sono false rispetto alla storia/favola che ho inventato, ma risultano reali e tangibili nel nostro tempo e nello spazio espositivo. Sono false perché fingono di essere delle fotografie, non avendo un carattere di indessicalità, ma risultano vere quando vengono stampate sullo stesso supporto fotografico che può accogliere immagini con referenti reali. Il confine rimane a mio avviso difficilmente definibile e molto sfumato.



SB+MZ: In The Manhattan Project (2022- in corso) c’è un allontanamento dell’immagine dal suo referente originale. Le immagini da te generate sono prodotte a partire da quella che è già una decontestualizzazione delle immagini di archivio già praticata da Sultan e Mandel. In questa catena di slittamenti in che relazione sta il tuo lavoro con chi ha sviluppato i modelli di AI che hai utilizzato? Come cambia il concetto di proprietà materiale, intellettuale, nei confronti dell’immagine? Quali derive future vedi in questa relazione?
AC: Il mio progetto è ovviamente correlato alla tecnologia disponibile al momento in cui è stato prodotto. Ho utilizzato modelli disponibili al pubblico generalista (naturalmente istituti di ricerca e Big Tech utilizzano modelli di AI più sofisticati di quelli che posso avere io a disposizione da singolo cittadino). I risultati scaturiti dalla mia pratica sono figli del tempo in cui sono stati prodotti, nel 2022 abbiamo assistito ai primi tentativi di massa di generazione di immagini attraverso modelli TTI (Text-to-Image). Partendo dalle stesse immagini prelevate da Evidence una nuova AI nel 2025 genererà immagini differenti, con risultati difficilmente ottenibili soltanto due o tre anni fa.
Il concetto di proprietà materiale e intellettuale può cambiare soltanto dal punto legislativo, in modi che non posso prevedere, ma dal punto di vista artistico questi sono temi che vengono trattati dai primi decenni del ‘900, da quando Duchamp ci mostrava lo Scolabottiglie.
SB+MZ: A proposito di proprietà artistica intesa come agency nella produzione dell’opera, nel 1979 Franco Vaccari formulava il concetto di inconscio tecnologico: “L’inconscio tecnologico non deve essere interpretato come pura estensione e potenziamento di facoltà umane, ma bisogna vedere nello strumento una capacità di azione autonoma; tutto avviene come se la macchina fosse un frammento di inconscio in attività”. Nell’epoca del machine learning che valore attribuisci all’agency della macchina?
AC: In questo specifico caso il valore (positivo o negativo) dipenderà dal database attraverso il quale la macchina imparerà a generare immagini. “L’inconscio” verrà modificato dalla qualità e quantità di dati a sua disposizione. Ad esempio, nelle prime versioni di AI alla richiesta di generare immagini di “due persone che si baciano” la macchina rispondeva nella stragrande maggioranza dei casi con immagini di un uomo e una donna bianchi, di media età, con caratteri occidentali. A causa della presenza di bias nel suo database “l’inconscio” non contemplava altre possibilità. Per generare immagini che tengano conto della complessità del mondo e di tutte le sue sfumature la macchina dovrà avere accesso a molte più informazioni, che rispecchino tuttƏ. Solo così si potrà veramente capire il valore dell’agency della macchina.
SB+MZ: Quale sarà il valore dell’archivio quando la maggior parte degli artefatti saranno prodotti con una IA?
AC: Dal mio punto di vista, in futuro gli archivi giocheranno un ruolo sempre più centrale per garantire l’attendibilità e la sicurezza delle fonti. Le fake news insieme alle AI che generano immagini potranno essere sfruttate per tentare di riscrivere la storia, o parte di essa, per diffondere nel mondo informazioni errate per scopi manipolatori. L’archivio, inteso in senso lato, come contenitore di artefatti e informazioni corrette e oggettive, sarà la nostra unica e fondamentale risorsa.
SB+MZ: Se le immagini possono essere facilmente manipolate o create dal nulla, quale ruolo giocano l’etica e la consapevolezza nel loro utilizzo?
AC: L’etica nessuno. Non possiamo pretendere che non esistano singole persone (o gruppi di potere) che utilizzeranno queste tecnologie in malafede. La consapevolezza, più che nel loro utilizzo, dovrà essere rivolta alla loro fruizione. Il lettore di immagini dovrà capire come difendersi da un bombardamento costante di “pseudo-fotografie” generate da AI.
SB+MZ: Quando dici che l’etica non giocherà nessun ruolo stai dicendo che l’etica del singolo conterà zero nei confronti dell’approccio funzionale e produttivo delle corporation, perché la sua unica possibilità sarà quella di essere lettore? È possibile, invece, che quella con l’AI sia sempre e comunque una compartecipazione?
AC: No non penso possa esserci una compartecipazione (intesa nell’ottica della società di massa). So di star generalizzando, ma siamo prevalentemente consumatori e lettori di ciò che viene fatto da altri. Per questo sottolineavo l’importanza della consapevolezza della fruizione. Che poi possa esistere un gruppo di minoranza che utilizzerà eticamente e consapevolmente queste tecnologie è molto plausibile. Non credo però che il singolo cittadino possa fare la differenza in un presunto utilizzo etico generalizzato. Penso ad esempio all’utilizzo dei Social Network da parte del pubblico di massa. Basta aprire una sezione dei commenti di qualsiasi profilo/pagina con milioni di utenti, per notare come ci sia un problema di consapevolezza e di etica nell’utilizzo di strumenti che sono in rete da ormai vent’anni. Al momento non dispongo di elementi tali da immaginare che possano attuarsi delle dinamiche diverse da quelle preesistenti.



SB+MZ: Come possiamo educare noi stessi a distinguere tra ciò che è autentico e ciò che è costruito, soprattutto in un’epoca in cui le immagini sono strumenti di persuasione e controllo?
AC: Potrei dirvi che le risposte che ho dato finora sono state generate da ChatGPT. Riprendendo le domande precedenti, dove sta il confine tra realtà e finzione? Quale sarebbe il loro valore? È chiaro che dovete fidarvi di me, come noi cittadini ci fidiamo ad esempio della comunità scientifica o dell’apparato statale. È un rapporto di fiducia su cui si basa qualsiasi tipo di comunicazione. Questo rapporto tra parti diventa ancor più difficile ma indispensabile, rispetto a prima, nell’epoca delle immagini facilmente generabili da chiunque con AI. Ne consegue in questo specifico caso che non possiamo fidarci di qualsiasi immagine che si pone davanti a noi. Dobbiamo sempre capire chi le sta dietro, quali siano le fonti, cosa vorrebbe comunicarci e cosa invece noi leggiamo al suo interno. È una sorta di esercizio di sopravvivenza alle immagini, una pratica analitica che chiunque dovrà utilizzare per leggere un’immagine (o un articolo di giornale).
SB+MZ: Al momento è in corso la mostra Veggenti al MUFOCO, dove è esposto il tuo lavoro Per un paesaggio possibile (2021-23). Perché ti è impossibile rispondere alla domanda “Come si rappresenta un paesaggio?”?
AC: Il concetto di paesaggio ha dei confini così sfumati da rendere possibili molteplici interpretazioni (e da rendere impossibile una risposta oggettiva e univoca). Si tratta di qualcosa che rientra nel campo della soggettività ed è profondamente correlata all’esperienza diretta. Con il mio progetto ho mostrato alcuni tentativi di risposta. Mi ha molto interessato la ricerca dell’aspetto definitorio/linguistico, la sua ambiguità e la relazione che ha intrecciato con i vari “strumenti di rappresentazione” da me utilizzati.
Ogni immagine di paesaggio è una costruzione. Per questo motivo questo ho realizzato la seguente fotografia, andando a esplicitare la presenza del mezzo fotografico attraverso il riflesso di uno specchio sorretto da uno stativo. Non può esistere immagine di paesaggio senza il posizionamento (e la costruzione) di uno supporto per la sua riproduzione. Oggi vengono perpetuate diverse ideologie dalla fotografia in generale (non possiamo limitare il discorso soltanto al paesaggio). È chiaro che ogni qual volta si mostra una cosa se ne nasconde dietro un’altra, in un’azione, volontaria o involontaria, che deriva dall’ideologia del proprio gruppo sociale d’appartenenza. Proprio perché ho tentato di analizzare questo tema da un punto di vista definitorio ho cercato di non ricondurlo (direttamente) ad alcun’ideologia. A posteriori guardando i risultati della mia ricerca penso di aver omesso alcuni elementi. Magari in futuro potranno essere oggetto di ricerca di un secondo capitolo del progetto.
SB+MZ: Che cosa è la fotografia ora? Quali sono i limiti di questo medium? Il tuo lavoro è fotografico?
AC: Al momento non ho una risposta definitiva. Lavoro e studio ogni giorno per scoprirlo. Penso che la fotografia sia una sorta di coltellino svizzero, un attrezzo multifunzione che può essere utilizzato per fare tantissime cose, anche quelle che non pensavamo di poter fare. I limiti dal mio punto di vista non risiedono nel medium ma nel contesto di fruizione. Una galleria d’arte contemporanea e una testata di giornale espone/pubblica fotografie con dei “limiti” diversi che non dipendono intrinsecamente dal medium. Per quanto riguarda il mio lavoro, ogni progetto parte sempre da uno sguardo fotografico (anche a seguito della forte impronta fotografica nel mio percorso di formazione), che negli anni ho cercato di ibridare con altre discipline per una necessità di sperimentazione costante.
Cover: The Manhattan Project (2022 – ongoing)


