Diluvio, diluire, lavare, inondare, sommergere. Sprigionata da acque cadenti direttamente dal cielo o riversamento violento di fiumi o mari; abbondanza e disordine. Oggi queste parole non fanno bene, richiamano alla mente l’ennesimo incontrollato disastro. Saperlo lontano, non desta molta preoccupazione, quando capita in zone esotiche e sperdute nei mari orientali, il disagio occupa forse poco più della notizia che ne racconta la sventura. Quando, però, ad essere sommerse sono le cantine e gli ambienti poco distanti da dove abitiamo, le percezioni mutano radicalmente: siamo tutti in pericolo. Alla fine, Valencia non è affatto lontana.
La mostra Attraverso i Diluvi, ospitata alla Collezione Maramotti fino al 16 febbraio 2025, racconta proprio della vicinanza disastrosa degli eventi, siano essi frutto di una scellerata relazione con l’ambiente, di racconti biblici di ottocentesca fattura pittorica (il bellissimo dipinto di Filippo Palizzi “Oltre il diluvio”, 1864, prestito del Museo di Capodimonte a Napoli) o zone dell’anima decisamente più recenti – e inquietanti – come le prove scultore di Kristov Kintera, Giorgio Andreotta Calò e Federico Tosi.
Di interessante questa mostra collettiva ha più di uno aspetto, su tutto quello – coraggioso – di mettere in relazione artisti contemporanei, come quelli citati poche righe sopra, con artisti pienamente novecenteschi come Mario Schifano e Anselm Kiefer, accanto a reperti che esulano dal mondo strettamente artistico per toccare aspetti dell’antropologia e dell’antichità: il Cippo funerario Di Publeira Tertia, II sec. – metà III sec. D.C.; le statuette funerarie egiziane, XX Dinastia (1196-1070 a.C.); valve di Pinna Nobilis, seconda metà XVII sec. La traccia temporale espansa, arricchisce il percorso espositivo di un intreccio di narrazioni imprevedibili che, dilatano il significato stesso di ‘diluvio’. Da evento disastroso e punitivo, diventa metafora di avvenimenti contemporanei: dalla profusione di immagini alla superficialità degli eventi digitali, dai flussi costanti di informazioni agli eccessi narcisistici di visibilità. Insomma il ‘diluvio’ di mitologica memoria, da inondazione per distruggere la civiltà come atto di punizione divina, diventa simbolo di una confusione umana di non facile lettura. Da qui la costellazione di significati e interpretazioni che gli artisti, chi più chi meno, hanno cercato di restituire.
L’eterogeneità delle forme espressive che danno sostanza a questa collettiva coniugano il significato di ‘diluvio’ come una sorta di metafora per raccontare esplosioni, epidemie, catastrofi di varia natura, guerre, azioni distopiche e predarie. Ecco allora che i tanti dipinti in mostra, narrano sì di nubifragi – i bellissimi dipinti, uno della scuola veneta del XVIII sec. “Scena da un nubifragio”, l’altro di Massimo d’Afelio “Inondazione di una valle delle Alpi” 1837 – ma anche di ben altre sciagure, come quella di Caino che uccide Abele, dipinta da Domenico Piola nella metà del XVII sec.; o i disastri della guerra nelle visioni del Goya di cui ci sono tre incisioni in mostra.
La devastante ‘catastrofe’ fisica è resa magistralmente nella scultura di Medardo Rosso nella scultura “Bambino Malato” del 1889 ca. o nell’angosciante acquaforte di Kathe Kollwitz “Woman with Dead Child” del 1903. Riverberi della decadenza fisica si ripercuotono anche del dipinto del giovane Alessandro Fogo, “Blue Screen of Death, 2024. Anche la pazzia è inserita come forma di alterante azione di scompiglio dell’esistenza, immortalata dal duo Lutz & Guggisberg nell’opera “Orlando Furioso” (2018): sulla superficie della fotografia che mostra un desolante giardino con una casetta di legno distrutta, gli artisti intervengono per portare ulteriore scompiglio con tratti di colore acrilico, come per intensificare le forze che hanno dato vita a tanta distruzione. Visioni tutt’altro che liete quelle che ci mostrano Mona Osman in “Smoking in the Eye of the Tornado” (2018), Elif Uras “ Redland” (2005) e Andy Cross, “Spoiler Alert (Extreme Weather) 2018-2019.
Nei suoi reperti di un ‘futuro anteriore’ Federico Tosi racconti di un avvenire dispotico dove non c’è più distinzione tra organico e inorganico, così come la novecentesca rivelazione “al di là del bene e del male”, sembra cosa sodata e ben digerita. Sfumano i confini tra lecito e illecito nelle lande desolate dei dipinti ad olio di Andriu Deplazes “Two fluorescente balls” (2023), Anna Conway “Potential” (2015) e nella volta celeste di Federico Tosi… che invece di portare un qualche forma di trascendenza, dopo tanti “diluvi” emotivi, raccontano di forme angoscianti di prospettive future. Da qui acquistano un più denso significato le presenze solitarie dipinte da Margherita Manzelli, “Minias” (2010) e Joan Banach “Deep Water” (1998): un corpo ‘larva’ dal volto enigmatico, un uomo nell’atto di sprofondare in sabbie mobili piatte e inquietanti.
Se la mostra si è aperta con il mirabile dipinto di Filippo Palizzi “Oltre il diluvio”, chiuderei idealmente con “Interno di macelleria con bottegaio, garzone e anziana cliente” dipinto di Felice Boselli del 1720. In questo dipinto, sembra una summa di motivi – le teste di animali ghignanti ed ammiccanti, le carni squartate ed esibite nella loro nuda fisicità in pose cadaveriche, il gatto luciferino che insidia la merce – che raccontano la decadenza e la finitezza della carne. Ironico e allusivo il dialogo tra i personaggi del quadro è fatto di cenni ambigui e labili: le persone sembrano contendersi e sfarsi con l’ammasso delle carni, creando così una scena macabra e decadente. Diluvio di materia disordinata, la densità dei soggetti è di un’evidenza pittorica tanto aderente al senso delle cose da rasentare la brutalità espressiva.
In tempi di aggressività digitale, immaterialità tecnologica e di reale e brutale belligeranza, che questo quadro sia da monito sulla finitezza e insensatezza dell’umano esistere.
Cover: Filippo Palizzi Oltre il Diluvio 1864 olio su tela 185 x 266 cm Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte Courtesy MiC – Museo e Real Bosco di Capodimonte Ph. Luciano Romano