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In un ex laboratorio orafo di Milano, The Workbench, Zoe De Luca ha curato una collettiva che indaga gli spazi di confine, le fasce ibride del territorio che vengono private di identità e possibilità ma che, allo stesso tempo, sono capaci di catturare l’occhio e l’interesse degli artisti coinvolti. Le opere di Alterazioni Video, Invernomuto, Rachele Maistrello, Filippo Minelli, Giovanna Silva, Delfino Sisto Legnani, Nico Vascellari saranno visibili fino al 1 luglio. Noi ci siamo stati e abbiamo intervistato la curatrice.
ATP: Il titolo della mostra è legato, come hai descritto, al pensiero del botanico Gilles Clèment che riflette sia sul territorio sia sulla presenza/azione umana su di esso. In che modo le opere in mostra interpretano queste considerazioni?
ZOE DE LUCA: Il concetto di Terzo Paesaggio è un punto di partenza per l’interrogativo alla base di questa mostra. Il modo in cui le persone interagiscono con lo spazio non influenza solo i due fattori coinvolti ma, attraverso un processo di sedimentazione e speculazione, condiziona anche un terzo elemento: l’esperienza collettiva, insieme di cui fanno parte altre persone e altri luoghi. In questo modo si crea un link tra campione e universo, e ciò che succede in relazione ad uno spazio fisico finisce con l’avere una rilevanza più ampia, virtuale. Questo tema mi ha sempre interessato, ed è divenuto più urgente mentre assistevo allo svolgersi di EXPO 2015 e dei suoi fallimenti mediatici: da una parte c’era il miraggio del riscatto #MadeInItaly, dall’altra inchieste e rendering grossolani. Mi sembrava il caso di togliere la patina e incrociare le due cose, lavorando con artisti che affrontassero con lucidità critica la cultura del territorio nazionale.
ATP: Credi che dal tuo progetto curatoriale emerga un giudizio di valore rispetto al rapporto, non sempre positivo, tra uomo e ambiente?
ZDL: Certamente la scelta di artisti e opere che trattassero il tema in modo disincantato e rigoroso ha dato alla mostra un taglio indagatore. Credo tuttavia che il giudizio di valore sia il tema finale sempre riservato allo spettatore; anche perchè trovo che un lavoro, sia artistico che curatoriale, svolga la propria funzione quando lascia una domanda piuttosto che uno statement.
ATP: Gli artisti coinvolti usano linguaggi diversi, come hai scelto i lavori? Quale aspetto ti ha maggiormente colpito di ognuno di loro?
ZDL: L’idea era quella di realizzare un racconto corale spaziando il più possibile tra le rispettive formazioni, tecniche, ricerche.
Padania Classics è forse il progetto fotografico più strutturato di Filippo Minelli, che oltre ad essersi condensato in un libro è anche un’agenzia di viaggi nata per scoprire la Padania attraverso suggestivi tour a tema; suo contraltare è il lavoro di Alterazioni Video, che porta avanti il progetto Incompiuto Siciliano, il cui archivio è in parte costituito da segnalazione inviate a Striscia La Notizia, da ormai dieci anni. Entrambi i progetti hanno saputo circoscrivere dei fenomeni, ponendoli sotto un’altra luce e coniando estetiche. Mentre Padania Classics è concentrato su un’area ben precisa dell’Italia, l’Incompiuto Siciliano parte dall’Isola del Sole per estendere la sua ricerca in tutto il paese, come Nightswimming: Discotheques in Italy from the 1960s until now, il lavoro di Giovanna Silva; anche in questo caso una raccolta fotografica ha trovato forma in un libro e in un video, stilando la storia delle discoteche italiane, oggi in lento declino attraverso una documentazione analitica e trasversale. Rachele Maistrello, in Once Were Warriors, svela la quotidianità di un’adolescente che innesta la passione per il cosplay nel proprio luogo d’origine e che fonde eroine manga del Giappone contemporaneo con la campagna veneta, spesso contraddistinta dall’approccio chiuso e conservatore dei suoi abitanti. Anche il lavoro di Invernomuto parla di giochi di ruolo, accostando tradizioni medievali e architettura locale in una delle prime speculazioni su Vernasca, città natale di Bertuzzi e Trabucchi e materia prima per buona parte della loro produzione, in grado di creare solide connessioni tra soggetti apparentemente lontani. Il neon Autoritratto HCVV di Nico Vascellari è la sintesi di molti elementi della sua ricerca, da sempre influenzata dalle dinamiche provinciali di Vittorio Veneto, cittadina natale che da anni determina l’instancabile attivismo di Vascellari in un luogo culturalmente decentrato. Il lavoro di Delfino Sisto Legnani chiude infine il cerchio ritornando su Milano e sull’EXPO, con un’installazione di scatti marco di seminato, antico tipo di pavimentazione diffuso in tutto il Nord Italia; questi sono accompagnati da frammenti di marmo e da uno scalpello raccolto durante gli scontri tra polizia e black bloc il 1 Maggio 2015, che uniscono un elemento solitamente trascurato con un evento di grande risonanza mediale.
ATP: Alcune opere mostrano fotografie di luoghi o manufatti in abbandono, dimostrando che spesso il territorio viene meramente sfruttato; il fatto che alcuni artisti se ne occupino si dimostra un monito per rivalutarne l’immagine e il valore. Pensi che l’indagine su alcuni soggetti investa l’arte di una missione che le permette di non tener più conto solo del racconto fine a se stesso ma di intervenire attivamente nella riabilitazione dei soggetti prescelti?
ZDL: Certamente. L’attenzione che Padania Classics ha ricevuto, dalle recensioni più ironiche alle analisi più serie, è indice del fatto che ogni visione dev’essere strutturata per essere condivisa: credo che un artista di un’altra generazione non avrebbe potuto documentare la macroregione con lo stesso occhio di Minelli, la cui capacità comunicativa ha permesso ad altri di mettere a fuoco la stessa cosa, prendendone consapevolezza. Analogamente, vedere che progetti come Incompiuto Siciliano vengano presentati in contesti istituzionali, italiani ed esteri, è la prova di come anche la visione più difforme e ambiziosa possa uscire da un canale elitario e ampliare concretamente la propria portata. Anche se, come detto prima, il risultato finale è sempre nelle mani di chi fruisce: come scrisse Wind in Art and Anarchy ”abbiamo la pretesa che l’artista plasmi la nostra immaginazione, ma dimentichiamo che un artista non può lavorare una materia che non gli offre alcuna resistenza plastica.”
ATP: Assul? significa appunto frammento, e spesso nell’arte si indagano i territori di confine, le porzioni che si insinuano tra un luogo e l’altro. Cosa ti affascina di queste zone marginali dell’ambiente?
ZDL: Il loro essere indefinite, ibridate, potenziali. Mi interessa l’assioma secondo il quale per un punto passano infinite rette, di conseguenza il concetto di potenziale è un comune denominatore nel mio lavoro, sia a livello curatoriale che editoriale.
ATP: The Workbench, spazio che ospita la mostra, ha una forte identità laboratoriale, caratterizzata da materiali e oggetti di estetica industriale. Nell’allestimento si è tenuto conto di un dialogo tra i progetti e il luogo che li accoglie?
ZDL: Lo spazio di The Workbench è un ex laboratorio orafo, tanto intrigante quanto peculiare, opposto allo stereotipo di white cube concepito come espositore. Proprio per questo incastrare in un’unica stanza due video con rispettivi audio, due lavori corredati di libri da sfogliare e un neon che gettava riflessi luciferini su qualsiasi cosa avesse intorno è stato un tetris macchinoso, ma molto soddisfacente. Il risultato finale è una concatenazione per analogie e complementarietà, un percorso fluido tra i punti di incontro che legano artisti e opere in un discorso finito.