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Treti Galaxie è un art project fondato da Matteo Mottin, Ramona Ponzini e Sandro Mori. Il suo obiettivo è di lavorare con giovani artisti in una maniera espansa, rispettandone idee e progetti e aiutandoli a produrre e sviluppare mostre nella maniera più completa. Per questa ragione sceglie di non avere una sede fissa ma di cercare di volta in volta lo spazio che meglio si adatti al progetto su cui sta lavorando.
Il nome deriva dalla cover di una canzone di Umberto Tozzi, “Stella stai”, ripresa negli anni ’80 in Cecoslovacchia da Michal David con il titolo “Treti Galaxie” all’insaputa del suo autore, e ben esemplifica un processo che ricorre spesso in arte, ossia spostare qualcosa da un posto all’altro, ricontestualizzarlo cambiandogli nome e aprendolo quindi a nuovi significati e interpretazioni.
Treti Galaxie presenta il lavoro di Alvaro Urbano, Clémence de La Tour du Pin e Thomas Braida
Alvaro Urbano —
Alvaro Urbano è un artista spagnolo che vive e lavora a Berlino. Nella sua ricerca sonda i confini tra architettura, fiction e utopia impiegando diversi media, tra cui video, performance, installazioni site specific e scultura.
L’architettura è la traduzione di un pensiero in struttura concreta, una struttura che viene costruita allo scopo ospitare delle persone, influenzandone la vita e la percezione dello spazio. Urbano attinge a forme di pensiero apparentemente lontane da quelle che permettono la costruzione di ambienti artificiali, come il racconto, l’attività onirica e il pensiero utopico, e le riporta all’architettura, in un tentativo di scardinarne i paradigmi e le funzioni originarie. Nei suoi lavori è come se permettesse alle pulsioni inconsce che animano i fruitori di un’architettura di concretizzarsi in installazioni, sculture, video e performance che prendono il sopravvento sullo spazio che le ospita, “esorcizzandolo” dal pensiero razionale che ha portato alla sua costruzione.
Clémence de La Tour du Pin —
Clémence de La Tour Du Pin è un’artista francese che indaga i rapporti tra tecnologia ed esperienze corporee attraverso l’utilizzo di vari media, tra cui scultura, installazioni, video e la creazione di fragranze. “Il mio lavoro esplora le maniere in cui la tecnologia vampirizza e deforma le nostre coscienze, e l’estetica disfunzionale che emerge dalla manipolazione dell’ambiente tecno-sociale”.
Attraverso l’impiego di materiali impermanenti quali fluidi corporei, rifiuti tossici e beni di consumo deteriorabili, rende visibili le tracce di trasformazioni chimiche e fisiche che evidenziano la commodificazione di esperienze soggettive e sensuali. “Il corpo è uno strumento, esattamente come un computer portatile. Un’estensione organica della mente, e i ruoli di genere sono dipendenti solo da esigenze politiche e socio-culturali. Il gender è una costruzione culturale, e qualunque cosa sia il nostro corpo, in fondo rimane solo un involucro”.
Attraverso la creazione di fragranze instaura un rapporto con un senso che viene raramente sollecitato nelle arti visive, mettendo lo spettatore a confronto con qualcosa che va oltre una specifica categorizzazione. “Mescolando sperimentazione molecolare, narrative e collaborazioni temporanee in una maniera aleatoria e distopica, il lavoro vuole esplorare gli aspetti trasformativi e impermanenti della vita nell’epoca del data processing”.
Thomas Braida —
Thomas Braida è un pittore friulano che vive e lavora a Venezia. Quello che più mi ha colpito dei suoi lavori è che in sostanza esprimono un paradosso. Sono oggetti immobili che comunicano una sensazione di immanenza. E’ come se l’aspetto narrativo del dipinto, animato da personaggi mostruosi, misteriosi, ma anche contemporanei e legati alla Storia, emerga solo per un attimo dalla luminosità della sua pittura, per poi essere destinato a tornare a perdercisi dentro. Trattando mitologia e Storia, reale e surreale, serietà e umorismo con lo stesso peso e misura, ci ricorda che ogni cosa che creiamo non può fare altro che svanire nel tempo. Vedo quindi i suoi lavori come bagliori consapevoli della loro durata limitata, che si riflette sulla nostra. Penso che sia questo che li rende consciamente familiari e istintivamente estranei.