#ArtissimaLiveChat è la sezione di ArtissimaLive che ha ospitato una selezione di curatori emergenti italiani – invitati da Elena Bordignon e Mattia Solari – a cui è stato chiesto di esporre il proprio punto di vista sulla fiera e sulla offerta curatorale che questa ha proposto nelle giornate dal 3 al 5 novembre 2017.
Nelle interviste che seguono scopriremo cosa le giovani leve della curatela italiana pensano di questa edizione di Artissima. Emergono le loro impressioni e alcune notevoli osservazioni per poter migliorare alcuni aspetti della grande kermesse torinese da poco conclusa.
Il Colorificio, Giulia Mengozzi + Samuele Piazza, Valentina Lacinio, Lucrezia Calabrò Visconti, Caterina Molteni, Martina Sabbadini, Bruno Barsanti, Fantaspazio
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Il Colorificio
Michele Bertolino è studente di filosofia presso l’università di Torino; Bernardo Follini è assistente curatore alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino; Giulia Gregnanin è redattrice di Flash Art Italia. In un vecchio negozio di vernici in Via Giambellino hanno fondato Il Colorificio, spazio progetto votato alla messa in questione delle pratiche artistiche e curatoriali.
Artissima è riconosciuta, nel panorama internazionale, come una delle fiere dove emerge un’attenzione particolare per l’aspetto curatoriale. Prima con Andrea Bellini, poi con Francesco Manacorda e Sara Cosulich, e ora con Ilaria Bonacossa, Artissima ha sviluppato molti progetti e mostre degne di nota. A tuo parere, è giustificata l’importanza della pratica curatoriale dentro a un sistema fieristico? Perché?
Non vorremmo fornire una risposta netta. Sicuramente la dimensione curatoriale – come nel caso di Artissima – permette alla fiera di distinguersi. Bisogna considerare che negli ultimi anni le fiere stanno operando un revisionismo: il lato commerciale è sempre più accompagnato da una cornice, atta a mascherare (in termini negativi), ma anche a contestualizzare e guidare (in termini assolutamente positivi) il lato della naturale compravendita. Per questo crediamo che la curatela sia un’importante componente, affinché Artissima mantenga il proprio carattere e non sia una mera occasione per il mercato dell’arte.
Entrando nel merito di questa edizione, quale sezione della fiera ti ha particolarmente colpito?
Seppur non sia una sezione ma un progetto d’apprendimento, diremmo il “PIPER. Learning at the discotheque”, a cura di Paola Nicolin. Collocato all’interno della fiera, il Piper si pone come una piattaforma che connette e coniuga vari formati – talk, workshop e performance – attorno al clubbing, una macro-tematica che ultimamente ha ricevuto grande attenzione da parte del mondo dell’arte. E lo ha fatto in maniera “frizzante”, proponendo un itinerario trasversale che parte dai protagonisti storici come De Rossi, Gilardi, Castelli, coinvolge artisti mid-career come Seb Patane, fino alle nuove generazioni come Michele Rizzo. Il Piper, tra l’altro, riflette l’intento di Artissima di volersi riposizionare all’interno del contesto torinese (ricordiamo che il Piper Club, frequentato da un nutrito gruppo di artisti dell’epoca, nacque a Torino nel 1966).
Se dovessi fare una lista – anche se approssimativa – di gallerie che hanno dato prova di ottime proposte, chi citeresti?
Partendo dalla sezione “Back to the Future” ci ha colpito maggiormente il lavoro di Amalia Del Ponte presentato da Galleria Milano; per “Present Future”, sebbene risulti scontato, non possiamo non citare Cally Spooner da GB Agency e Zero… vincitrice quest’anno del premio Illy. Per quanto riguarda la “Main Section” abbiamo molto apprezzato gli stand di Cabinet, KOW, Sommer con le opere di Tamar Harpaz, così come Rodeo con Sidsel Meineche Hansen, e Galerie Jocelyn Wolff con dei muscolari lavori di Miriam Cahn. Tra le “New Entries” Acappella di Napoli.
Se dovessi rilevare un aspetto della fiera che andrebbe potenziato, quale sarebbe? In particolare in questa edizione di Artissima, ma più in generale anche nel sistema fieristico dell’arte contemporanea.
La principale problematica delle fiere d’arte, oggi, a nostro parere, è la divisione compartimentale fra diversi media, come in questo caso il disegno, o come può essere la sezione fotografia per ArtVerona. Un’altra problematica di difficile evasione è la rigidità strutturale del “booth”; c’è da dire che alcuni progetti più coraggiosi di allestimento stanno emergendo negli ultimi anni, come quello dallo studio di Kuehn Malvezzi per la fiera di Francoforte del 2007, in cui lo spazio è stato destrutturato attraverso l’utilizzo di forme geometriche minimali per il design degli stand.
Molti artisti pensano che è svilente partecipare con la propria opera ad una fiera. Sei concorde con quest’opinione? Oppure pensi che la fiera dia molta visibilità e una maggior esposizione commerciale?
Non concordiamo con l’idea che l’esposizione in fiera svilisca il lavoro di un artista. L’obiettivo di una fiera è chiaramente la maggiore esposizione delle opere al fine di uno scambio commerciale. Un esempio che coniuga il lato commerciale e quello più concettuale e curatoriale può essere, in questa edizione, il “Deposito d’Arte Italiana Presente”. Questo progetto, atto a restituire il panorama dell’arte dell’ultimo ventennio orbitato attorno ad Artissima, rende trasparente la collaborazione tra collezioni, gallerie e l’ente fiera, rispettando allo stesso tempo l’opera e l’artista.
Idealmente, cosa inseriresti – sezioni, temi, spazi ecc. – nelle attuali fiere d’arte contemporanea? In particolare ad Artissima?
Sentiamo la mancanza di “Per4m”, attiva fino allo scorso anno. La sezione era dedicata alla performance e, dal nostro punto di vista, riusciva a mettere in discussione e ridefinire i rapporti tra l’impianto commerciale e quello di curatela, per tornare in parte alla domanda precedente. Inoltre occupava lo spazio della fiera in modo diverso – per riallacciarci al ragionamento attorno alla struttura allestitiva – e ridefiniva un mercato (quello della performance) spesso di difficile comprensione ed esplorazione da parte dei collezionisti. Rinserite “Per4m”. La curiamo noi!
Giulia Mengozzi + Samuele Piazza
Giulia Mengozzi (Bologna, 1987) attualmente lavora al PAV Parco Arte Vivente di Torino, dopo aver conseguito presso NABA (Milano) il diploma in Arti Visive e Studi Curatoriali con una tesi sull’uso della voce collettiva tra musica ed arti visive, a partire dall’opera di Luigi Nono. Ha collaborato con riviste come Arte e Critica, Diorama e DARS Magazine e realtà quali Marsèlleria Permanent Exhibition e Viafarini. Nel 2012 ha partecipato a documenta13 nell’ambito del progetto Maybe Educational come student assistant del collettivo di artisti …AND AND AND.
Samuele Piazza (Parma, 1988) è assistente curatore per le OGR di Torino dove ha recentemente lavorato alla mostra “Like a Moth to a Flame”. Helena Rubinstein Curatorial Fellow del Whitney Museum Independent Study Program e alunno del Gwangju Biennale International Curatorial Course ha collaborato a diversi progetti come curatore indipendente: tra questi “Far Festa- Nuove Feste Veneziane” per la Fondazione Bevilacqua la Masa di Venezia e “On Limits. Estrangement in the Everyday” a The Kitchen, NYC.
Artissima è riconosciuta, nel panorama internazionale, come una delle fiere dove emerge un’attenzione particolare per l’aspetto curatoriale. Prima con Andrea Bellini, poi con Francesco Manacorda e Sara Cosulich, e ora con Ilaria Bonacossa, Artissima ha sviluppato molti progetti e mostre degne di nota. A tuo parere, è giustificata l’importanza della pratica curatoriale dentro a un sistema fieristico? Perché?
Giulia Mengozzi: Dal mio punto di vista di visitatrice e curatrice lo è assolutamente. In generale il format delle fiere non mi appassiona, perciò apprezzo il tentativo curatoriale che caratterizza Artissima, e a maggior ragione apprezzo le gallerie che si sforzano di lavorare in questa direzione nell’allestimento dello stand e nella selezione degli artisti da proporre.
Samuele Piazza: Le parti più interessanti sono quelle più curate, ma il primo compito di una fiera è ovviamente vendere e ci sta che le parti meno interessanti dal punto di vista di un curatore in visita siano quelle più immediatamente funzionali alla vendita.
Entrando nel merito di questa edizione, quale sezione della fiera ti ha particolarmente colpito?
GM: Mi è piaciuta molto Back to the Future, come pure Disegni – che avevo inizialmente sottovalutato! Invece gli stand che esponevano Céline Condorelli e Mark Dion erano bellissimi. Anche in Present Future ho trovato delle proposte notevoli.
PP: Present Future.
Se dovessi fare una lista – anche se approssimativa – di gallerie che hanno dato prova di ottime proposte, chi citeresti?
GM: Una lista così, di getto: Vera Cortês, A Gallery Apart, Isabella Bortolozzi, Frittelli, P420, Costantini, Rossi & Rossi, Umberto di Marino, Laveronica, Jocelyn Wolff, Placentia Arte, Curro, Ani Molnàr, Monitor e Pinksummer.
PP: Placentia Arte, Sabot, SpazioA, ma mi manca ancora mezza fiera perciò mi limito a queste.
Se dovessi rilevare un aspetto della fiera che andrebbe potenziato, quale sarebbe? In particolare in questa edizione di Artissima, ma più in generale anche nel sistema fieristico dell’arte contemporanea.
PP: Un problema che si riscontra in tutte le fiere è il modo in cui presentano i lavori time based.
GM: Come dice Samuele, sarebbe bello una sezione dedicata a opere time based. Mi piacerebbe anche vedere sezioni dedicate a selezioni di artisti che si focalizzano su tematiche del dibattito teorico contemporaneo – mi sembra che Back to the Future quest’anno vada in questa direzione, tra l’altro. Un’altra parte su cui si potrebbe lavorare è lo spazio dello stand in sé.
Molti artisti pensano che è svilente partecipare con la propria opera ad una fiera. Sei concorde con quest’opinione? Oppure pensi che la fiera dia molta visibilità e una maggior esposizione commerciale?
GM: La fiera si fa per vendere, no? Quindi un artista a cui non interessano le fiere o non ha bisogno di vendere o conosce altri canali, altrimenti non vedo perché dovrebbe tenersene fuori. Questo non significa che bisogna smettere di problematizzare il format fiera e le dinamiche di potere ad essa sottese, specie quando la fiera va a sostituirsi alle istituzioni o le istituzioni seguono pedissequamente le tendenze che si delineano nelle fiere. Quando si verificano questi scenari allora c’è un problema: nella fiera, nelle istituzioni o in entrambe e allora è giusto che gli artisti intervengano e problematizzino la loro posizione in questo scacchiere.
PP: Né concorde né discorde. Se la fiera è il modo privilegiato in cui vendere arte, per gli artisti è fondamentale essere presenti, e questo è tanto più vero se sei un giovane artista. Spiace però che a volte la fiera sia la prima occasione che il grande pubblico ha di approcciarsi al lavoro di un artista emergente, perché il format rischia di appiattirlo e farlo perdere nel rumore di fondo.
Idealmente, cosa inseriresti – sezioni, temi, spazi ecc. – nelle attuali fiere d’arte contemporanea? In particolare ad Artissima?
GM.: Credo che una sezione video sia quello che manca alle fiere in generale. Poi rifletterei sulla creazione di percorsi retti da linee tematiche sulle tendenze contemporanee della ricerca artistica. Rispetto ad Artissima probabilmente ripenserei lo spazio Editions & Publishing: sarebbe davvero bello trovare una libreria ragionata e curata! Non avrei eliminato la sezione dedicata alla performance, onestamente. E, in ultimo, potenzierei ancora di più la sezione In Mostra, quest’anno incarnata da Deposito – mi sembra che si stia andando nella direzione giusta. Certo, capisco che non è il centro della fiera, ma… a me piace molto!
PP: Io aggiungerei una vera zona di decompressione.
Valentina Lacinio
Valentina Lacinio (Como, 1989) è ricercatrice e curatrice indipendente. Vive e lavora a Torino dove è assistente curatore presso OGR-Officine Grandi Riparazioni.
Nel 2016 è stata assistente presso lo Studio Giorgio Andreotta Calò a Venezia, in occasione della 57th Biennale d’Arte. Tra i progetti curatoriali recenti: “Razzle-Dazzle”, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino; “There’s a child sleeping near his twin”, sleeping concert, Teatrino di Palazzo Grassi, Venezia; “There’s No Place Like”, video screening, Mediterranea 18 Young Artists Biennale, Tirana; “Baia Terra Nova”, group show, Spazio (T)Raum, Milano; “L’astronauta caduto”, group show, Gallery A plus A, Venice.
Artissima è riconosciuta, nel panorama internazionale, come una delle fiera dove emerge un’attenzione particolare per l’aspetto curatoriale. Prima con Andrea Bellini, poi con Francesco Manacorda e Sara Cosulich, e ora con Ilaria Bonacossa, Artissima ha sviluppato molti progetti e mostre degne di nota. A tuo parere, è giustificata l’importanza della pratica curatoriale dentro ad un sistema fiera? Perché?
Artissima per Torino non è solo una fiera (LA fiera) ma è anche un catalizzatore di pubblico specializzato, professionisti, curatori, artisti etc. L’impianto fiera necessita un’attenzione particolare per l’aspetto curatoriale proprio per questo motivo. Entrare in fiera è sempre più come andare a una mostra (certo una mostra sovraffollata, ostica, stancante, spesso incontrollabile, oberata), ma dalla fiera si portano a casa nomi, appunti, contatti, la fiera è sempre più una finestra su ciò che sta accadendo, un’occasione per aggiornarsi. In questo percorso denso avere la scansione di un team curatoriale è assolutamente di aiuto, spesso è una vera e propria garanzia rispetto a ciò che mi accingo a vedere.
Entrando nel merito di questa edizione, quale sezione della fiera ti ha particolarmente colpito?
Ogni anno si riconferma essere la sezione Present Future, probabilmente perché viene richiesto un lavoro più complesso sullo spazio in quanto site specific. Poi parliamo di nuove leve, si possono fare sempre scoperte interessanti.
Se dovessi fare una lista – anche se approssimativa – di gallerie che hanno dato prova di ottime proposte, chi citeresti?
Tra gli allestimenti e le proposte che ho preferito citerei Rolando Anselmi, i Minini, Mazzoli, Amrani, Boccanera, Isabella Bortolozzi, Sommer, Greta Meert, SpazioA e Riccardo Crespi.
Se dovessi rilevare un aspetto della fiera che andrebbe potenziato, quale sarebbe? In particolare di questa edizione di Artissima, ma anche in generale nel sistema fieristico dell’arte contemporanea.
Se continuiamo questo ragionamento concependo la fiera sempre più come un grande incubatore di potenziale ed energie allora direi la sezione dei talk e la parte performativa. L’anno scorso era stata molto bella la programmazione Per4m curata da If I Can’t Dance, I Don’t Want To Be Part of Your Revolution, ne ho sentito la mancanza, tamponata dal Piper che mi è piaciuto molto.
Molti artisti pensano che è svilente partecipare con la propria opera ad una fiera. Sei concorde con questa opinione? Oppure pensi che la fiera dia molta visibilità e una maggior esposizione commerciale?
Allestire un proprio lavoro in fiera è difficile, spesso è una sfida. Non è assicurata una reale attenzione da parte del pubblico che è un pubblico di passaggio, stanco, distratto. L’esposizione del lavoro in fiera ha però altre utilità, la vendita per esempio. Ritenere svilente un’esposizione in fiera significa non essere particolarmente consapevoli delle modalità con cui poter fare l’artista di professione, e camparci.
Idealmente, cosa inseriresti – sezioni, temi, spazi ecc. – nelle attuali fiere d’arte contemporanea? In particolare ad Artissima?
Sono stata felice della creazione della sezione Disegni, intensificherei la parte di programmazione talk, sarebbe bello creare delle tavole rotonde davvero dinamiche (approfittando della presenza di artisti, curatori, professionisti del settore). Mi piacerebbe che questi momenti diventassero davvero un momento d’aggregazione e scambio, spesso sono molto autoreferenziali. Come citato sopra manterrei e amplierei la sezione performativa e insisterei per creare uno spazio dedicato ad una programmazione video (trovo che questo medium sia tra quelli più maltrattati negli allestimenti fieristici).
Caterina Molteni
Caterina Molteni è curatrice e critica indipendente. Vive a Torino dove lavora come Digital Contents Manager per il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea. Nel 2014 ha co-fondato TILE project space, spazio no-profit dedicato alla ricerca e promozione dell’arte italiana con sede a Milano. Nel 2016 ha co-fondato KABUL magazine, giornale online dedicato all’approfondimento delle culture e arti contemporanee.
Artissima è riconosciuta, nel panorama internazionale, come una delle fiere dove emerge un’attenzione particolare per l’aspetto curatoriale. Prima con Andrea Bellini, poi con Francesco Manacorda e Sara Cosulich, e ora con Ilaria Bonacossa, Artissima ha sviluppato molti progetti e mostre degne di nota. A tuo parere, è giustificata l’importanza della pratica curatoriale dentro a un sistema fieristico? Perché?
Il curatore ha prima di tutto un compito di selezionare. Funge da filtro attraverso cui guardare il mondo dell’arte contemporanea. Penso che la pratica curatoriale possa creare dei percorsi, delle zone di attenzione all’interno di un luogo che è per sua natura caotico, rapido e veloce nella fruizione. Le diverse sezioni curate sono delle aree preziose per tentare di dare una forma al modello fieristico.
Entrando nel merito di questa edizione, quale sezione della fiera ti ha particolarmente colpito?
Mi ha colpito la nuova intenzione di ridefinire un’identità fieristica basata sull’appartenenza al territorio italiano e piemontese. Ne è un esempio la mostra Deposito d’Arte Italiana Presente che ha fornito uno sguardo onesto sull’arte italiana, senza tentativi di letture tematiche ma con l’affermazione di una presenza fisica ‘qui e ora’ dell’opera.
Se dovessi fare una lista – anche se approssimativa – di gallerie che hanno dato prova di ottime proposte, chi citeresti?
Direi che nella sezione New entries: Michalski e Clima, nel Present Future: Sabot e Bertrand, in Disegni: T293, In situ e Lia Rumma, per Back to the future invece citerei Costantini, Dürst Britt & Mayhew, Twelve Gates Arts
Se dovessi rilevare un aspetto della fiera che andrebbe potenziato, quale sarebbe? In particolare in questa edizione di Artissima, ma più in generale anche nel sistema fieristico dell’arte contemporanea.
L’area Editions & Publishing potrebbe essere più dinamica.
Molti artisti pensano che è svilente partecipare con la propria opera ad una fiera. Sei concorde con quest’opinione? Oppure pensi che la fiera dia molta visibilità e una maggior esposizione commerciale?
È stupido pensare che sia svilente, alimenta solamente l’ideologia improduttiva dell’outsider.
Idealmente, cosa inseriresti – sezioni, temi, spazi ecc. – nelle attuali fiere d’arte contemporanea? In particolare ad Artissima?
Uno spazio dedicato ai no-profit per sostenere gli artisti non ancora rappresentati da gallerie e alimentare l’indipendenza e sostenibilità di queste realtà.