Arte indisposta

È giunto il momento di liquidare Marcel Duchamp e le poetiche post-estetiche? Sembrerebbe di sì.
19 Febbraio 2022
Igshaan Adams, Remnant, 2017. Courtesy of the artist and Blank Projects, Città del Capo.

Testo di Aurelio Andrighetto

Plasmare il mondo. La scultura dalla preistoria ad oggi (Einaudi, Torino 2021) è una lunga conversazione tra l’artista Antony Gormley e il critico d’arte Martin Gayford. Leggendo il capitolo Collezionare e selezionare resto colpito dalla seguente affermazione di Gayford: “provo verso l’opera di Duchamp quello che provi per quella di Canova [si rivolge a Gormley]. Mi sembra arida e morta, semplicemente non degna di essere guardata a lungo. Certo, era un uomo affascinante e brillante con una mente estremamente originale. Ma ho, nei suoi confronti, lo stesso atteggiamento di quel candidato alla presidenza americana che ha chiesto al suo avversario: Dov’è la bistecca?”.
È giunto il momento di liquidare Marcel Duchamp e le poetiche post-estetiche? Sembrerebbe di sì. Cecilia Alemani, curatrice della 59. Esposizione Internazionale d’Arte. Il latte dei sogni, dichiara: “Sarà una mostra piena di vita, molto colorata, concreta e oggettuale. Sarà piena di quadri, di sculture, di oggetti […] Non ci saranno opere concettuali, ma che hanno a che fare con la materia” (Il Giornale dell’Arte, intervista rilasciata a Enrico Tantucci, 7 febbraio 2022).

Il latte dei sogni sarà una mostra dove la metamorfosi dei corpi e la dissoluzione dei confini che separano il vegetale, l’animale, l’umano e il tecnologico, raccontate attraverso quadri, sculture e oggetti, non sembra lasciare spazio all’idea dello storico dell’arte Peter Osborne, per il quale l’arte contemporanea è post-concettuale.

Firelei Báez, Memory Board Listening (June 7th), 2015. Courtesy of the artist and James Cohan, New York.
Simnikiwe Buhlungu, Free Lettering Translationisms, 20 pp with carbon paper, edition: 70, 2016. Mark Pezinger Books.

Se da una parte le poetiche post-estetiche e la dialettica fra arte e anti-arte vengono allontanate dalla scena insieme al loro mentore, dall’altra riemergono in termini di critica dei linguaggi e del contesto in cui l’artista opera, mescolandosi a molto altro. Anche nella mostra curata da Alemani. Per esempio, l’artista sudafricana Simnikiwe Buhlungu passa da Free Lettering Translationisms, una critica della lingua usata in Sudafrica attraverso l’uso del Breaking Inglish (una sorta di pidgin English), a My Dear Kite (You Can But You Can’t) – Late Yawnings 01h43, un’opera dove il tentativo di orientarsi nell’incertezza causata dalla pandemia Covid-19 s’intreccia all’immaginazione con una deriva poetica.

Nel lavoro di Monira Al Qadiri il magico e il fantastico entrano in rapporto con un’analisi critica delle petroculture. La scultura OR-BIT 1, composta da una testa di trivella usata per forare la crosta terrestre, ruota levitando misteriosamente a una distanza di alcuni pollici dalla base. Una sorta di trucco petromagico che presenta il petrolio e la tecnologia usata per estrarlo come qualcosa di miracoloso e mitico. Nel mondo magico, “libero e pieno di infinite possibilità”, al quale Alemani dedica la 59esima edizione della Biennale, la reinvenzione della vita “attraverso il prisma dell’immaginazione” non può fare a meno di un approccio critico, che affonda le sue radici in un periodo instabile e incerto quanto il nostro.

Monira Al Qadiri, OR-BIT 1, 2016. Art Jameel Collection.
Guida Ufficiale anzi Generale della Indisposizione Artistica perpetrata nel Palazzo di Santo Spirito in Borgomanero nel Settembre del 1904 / Pagina 14 (in evidenza Musica proibita – I cortesi visitatori sono pregati di ascoltare in silenzio).

Anni fa avevo trovato il catalogo di una Indisposizione Artistica organizzata nel 1904 a Borgomanero (Novara), l’ultima in ordine di tempo. La prima si era tenuta a Milano nel 1881, in aperta polemica con l’Esposizione Nazionale dell’Industria e delle Belle Arti organizzata nello stesso periodo. Dopo quella milanese, le Indisposizioni si diffusero a Mantova e a Modena nel 1882, poi a Venezia e a Borgosesia (Vercelli) nel 1887, a Novara nel 1888, ancora a Mantova nel 1890, ad Alessandria nel 1892, a Nervi (Genova) nel 1901 e a Borgomanero nel 1904. Le Indisposizioni di Belle Arti in Italia, l’Art Zwanze in Belgio, le Arts Incohérents in Francia, la Society of American Fakirs negli Stati Uniti aprirono la strada alle sperimentazioni delle Avanguardie con la ripresentazione dell’oggetto comune assunto come opera d’arte: object-trouvé o ready-made ante litteram (Sacco di Roma, un sacco di iuta con disegnate le lettere S.P.Q.R.), con l’interferenza della parola scritta che modifica il significato dell’opera o la sostituisce (L’Arte che tutto fa nulla nasconde, una cornice vuota), nell’edizione borgomanerese del 1904, con la proposta di inedite forme di ascolto del silenzio o del rumore in sala (Musica proibita – I cortesi visitatori sono pregati di ascoltare in silenzio) e anche con proiezioni cinematografiche: “tra le proiezioni più interessanti: I sette colli del diavolo, grandiosa serie fantastica in quaranta quadri”.

Disegno pubblicato in La Luna, 13 Ottobre 1881. Il disegno riproduce l’opera Sacco di Roma di Giuseppe Puricelli esposta nell’Indisposizione di Belle Arti milanese del 1881.

Le Indisposizioni, come gli altri contro-Salons, aprirono una pista alle sperimentazioni delle Avanguardie del Novecento anticipando le provocazioni dadaiste e futuriste nonché le fantastiche e magiche visioni surrealiste. Un articolo di Philippe Roberts-Jones pubblicato nel 1958 sulla Gazette de Beaux-Arts mette in rapporto le Arts Incohérents con il Dadaismo e il Surrealismo. Altri studi hanno in seguito approfondito e nel 2014, con la mostra Marcel Duchamp. La peinture même organizzata al Centre Pompidou, viene anche definitivamente accertata l’influenza che le Arts Incohérents hanno esercitato su Duchamp.
Le opere esposte nel Museo Birbonico, nel Museo Cinico e nelle successive Indisposizioni di Belle Arti italiane erano accompagnate da ironiche descrizioni e giochi di parole che, mescolando la critica sociale all’immaginazione e all’umorismo, ristrutturavano la visione dell’oggetto o indirizzavano l’ascolto. Ne abbiamo notizia solamente dalle descrizioni e dalle riproduzioni pubblicate nei giornali dell’epoca e nei cataloghi. 

Disegno pubblicato in La Luna, 13 Ottobre 1881. Il disegno riproduce una tela bianca incorniciata dal titolo L’Arte che tutto fa nulla discopre di Raffaello Sazio (sic). Era esposta in coppia con una cornice vuota dal titolo L’Arte che tutto fa nulla nasconde nell’ Indisposizione di Belle Arti milanese del 1881.

Le Indisposizioni di Belle Arti furono espressioni ironiche e provocatorie, che diedero sfogo alla crisi identitaria post-unitaria e all’insofferenza degli scapigliati per l’Italia “dei bottegai”. Non è da trascurare il fatto che la Scapigliatura lombarda sia legata a una serie di vicende, tra le quali le azioni della Compagnia della Teppa (dal 1817 al 1821), da cui il termine “teppisti” e che il termine “avanguardia”, usato in ambito macchiaiolo da Adriano Cecioni, compaia anche negli scritti di Felice Cameroni in riferimento al carattere socialmente impegnato dell’arte. Sono reazioni a una crisi sociale, che sembrano avere qualcosa in comune con la nostra, non solo per la delusione rispetto alle aspettative, ma anche per le reazioni eterogenee, disorganiche, disordinate, temporanee e non sempre collegate alla politica. Per quanto riguarda la Scapigliatura, solo negli anni ’90 dell’Ottocento si possono riscontrare adesioni al Socialismo e nella compagine degli intellettuali scapigliati troviamo garibaldini ma anche personaggi che si arruolano nell’esercito del Papa prima della breccia di Porta Pia. Le proteste sociali degli ultimi decenni hanno un’analoga eterogeneità, disorganicità, temporaneità e indipendenza/dipendenza dalla politica. Scaturite da un contesto altrettanto mobile, incerto e franante, determinato dal timore di una catastrofe ambientale, dal diffondersi della pandemia di Covid-19, dai conflitti geopolitici e da un aumento della tensione sociale, potrebbero trovare nelle Indisposizioni uno strumento utile per interpretare la presente risposta alla crisi, che si riflette su alcuni aspetti dell’arte contemporanea. Un approccio trans-storico e trasversale, come quello delle cinque mostre tematiche, con rimandi tra opere del passato e del presente, che saranno ospitate nel Padiglione Centrale e nelle Corderie della Biennale. Un approccio ormai consolidato, che ha dato luogo al proliferare di narrazioni alternative della storia dell’arte, non tutte convincenti, come quella proposta da Gayford in Plasmare il mondo.

Simnikiwe Buhlungu, Making This Up! We’re Not, 2017. Parte di un trittico che comprende altri due stendardi: We’re Not Making This Up! e This We’re Not Making Up! Collezione privata Johannesburg.

In conclusione, liquidare Duchamp potrebbe significare licenziare tutto ciò che precede e prepara il suo gesto artistico, le indisposizione di Belle Arti e la Compagnia della Teppa, licenziare la risposta a una crisi sociale, sorvolandola, passando ad altro. Gayford non liquida solo una strategia artistica venuta a noia, ma la risposta critica a un disagio, provocato da scosse e smottamenti.

Nell’incertezza e nella con-fusione si fa strada qualcosa di aperto e indeterminato, che deve trovare il modo di dialogare con il pensiero critico, magari anche in un modo “birbonico”: Making This Up! We’re Not. We’re Not Making This Up! This We’re Not Making Up! Giochi di parole che nell’arte indisposta ristrutturavano con ironia e magiche fantasmagorie il nostro modo di vedere e pensare.

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