Mancano due settimane all’apertura della 44° edizione di Arte Fiera, guidata per il secondo anno dal direttore artistico Simone Menegoi, ospitata dal 24 al 26 gennaio al Quartiere Fieristico di Bologna. Se la scorsa edizione è stata all’insegna della continuità e di buone proposte – cito su tutte quella di esporre un numero limitato di artisti per stand -, quella di quest’anno si presenta all’insegna dell’innovazione negli schemi espositivi e della qualità delle sezioni tematiche.
La maggiore novità dell’edizione 2020 è costituita da Pittura XXI, a cura di Davide Ferri, curatore che ha inaugurato l’anno scorso il primo capitolo di Courtesy Emilia-Romagna: il ciclo di esposizioni allestite nell’ambito della Fiera che coinvolge le collezioni d’arte moderna e contemporanea del territorio emiliano-romagnolo. Con Pittura XXI Arte Fiera rivendica il primato di essere la prima fiera che punta la sua attenzione sul linguaggio pittorico, con l’obiettivo di offrire un panorama sulle figure emergenti e mid-career a livello nazionale e internazionale.
Altra novità di Arte Fiera è Focus, sezione che prende in considerazione l’arte della prima metà del XX secolo e i Post-War Masters, a cura di Laura Cherubini. La critica e storica dell’arte ha scelto di concentrarsi sul rinnovamento e sulle rivoluzioni nella pittura italiana tra la fine degli anni Cinquanta e la fine degli anni Settanta.
Riconfermata la sezione Fotografia e immagini in movimento, sempre a cura di Fantom, la piattaforma curatoriale fondata tra Milano e New York nel 2009 e costituita da Selva Barni, Ilaria Speri, Massimo Torrigiani e Francesco Zanot.
Il secondo capitolo di Courtesy Emilia-Romagna, è curato da Eva Brioschi, storica e critica d’arte, che propone la mostra “L’opera aperta”.
Riconfermato il progetto OPLA’ – Performing Activities, sempre a cura di Silvia Fanti (Xing). Gli artisti coinvolti nel progetto di quest’anno sono: Alessandro Bosetti, Luca Vitone, Zapruder filmmakersgroup e Jimmie Durham.
Seguono alcune domande al direttore artistico Simone Menegoi —
Elena Bordignon: Dopo l’esordio dell’anno scorso, quest’anno – forse – puoi già vedere i primi frutti delle tue scelte. Sotto la tua direzione artistica, Arte Fiera ha preso vigore e ‘coraggio’. Lo scorso aprile hai annunciato le varie novità di questa edizione. La prima e fondamentale è quella di puntare sulla pittura, a cui hai dedicato una sezione speciale. Mi racconti il perché di questa scelta?
SM: Credo sia una banalità dire che la pittura contemporanea attraversa un momento felice: è sempre più forte sul mercato, considerata e apprezzata dalla critica, esposta in modo sempre più frequente da curatori e istituzioni internazionali (penso alle scelte di Ralph Rugoff all’ultima Biennale di Venezia: ma gli esempi potrebbero essere molti). Da tempo mi chiedevo perché nessuna fiera avesse ancora una sezione dedicata a questo medium, forse l’unico che ha conservato una forte identità specifica, e al tempo stesso ha dimostrato di saper affrontare i temi – sociali, politici, di gender – del nostro tempo. Mi sembra che Arte Fiera sia il luogo ideale per un tentativo del genere: è una fiera che ha un forte radicamento nell’arte del dopoguerra, e dove dunque i media tradizionali (a cominciare dalla pittura) sono di casa. L’idea di una sezione di pittura contemporanea era in cantiere già nel 2018, ma abbiamo ritenuto concordemente che il tempo per realizzarla fosse troppo breve.
Le adesioni a questa prima edizione di Pittura XXI – questo il nome della sezione, curata da Davide Ferri – mi fanno ben sperare. Accanto a interessanti proposte italiane, troviamo eccellenti pittori stranieri, come Jorge Queiroz (Pinksummer) o Simon Callery (Unosunove); su 18 gallerie, due sono straniere, e di buon livello (Arcade di Londra, Bernhard Knaus di Francoforte). Il che conferma un’altra mia idea: che le sezioni curate siano per Arte Fiera il contesto giusto in cui tornare ad accogliere gallerie straniere. Penso anche all’altra nuova sezione, Focus, una ristretta selezione di stand monografici e doppie personali che si concentra su un particolare aspetto dell’arte del XX secolo, ogni anno differente: su otto gallerie selezionate da Laura Cherubini, a cui abbiamo affidato l’esordio della sezione, una è londinese (Richard Saltoun), tre hanno sedi anche, o esclusivamente, a Londra (Cortesi, Ronchini, Tornabuoni). Il fatto che Laura Cherubini abbia deciso di concentrarsi sulle evoluzioni e rivoluzioni della pittura italiana dalla fine degli anni 1950 alla fine dei ’70, poi, è davvero la chiusura di un cerchio: ad Arte Fiera 2020 la pittura avrà un ruolo decisivo.
EB: L’aspetto innovativo che hai palesato l’anno scorso è stato quello di invitare i galleristi a presentare nello stand un solo show (con un massimo di tre artisti, per gli stand di medie dimensioni; fino a un massimo di sei per i più grandi). Che esiti ha avuto questa scelta? A molti è sembrata forse troppo forte e rischiosa per una fiera dall’impianto tradizionalista come Arte Fiera.
SM: Sì, all’inizio la decisione ha incontrato delle resistenze. Ho faticato a far comprendere ad alcuni galleristi l’opportunità (anzi, la necessità, per come la vedo) di una simile scelta. Le cose sono cambiate all’apertura della fiera stessa, quando gli effetti della scelta (display immediatamente più leggibile e arioso, stand più rigorosi e coerenti, meno ripetizioni e sovrapposizioni nelle proposte delle gallerie) si sono resi evidenti – e sono stati elogiati dalla stampa in modo pressoché unanime. E così, dopo l’edizione del 2019, alla domanda “Approvate la scelta di ridurre il numero degli artisti?” contenuta in un sondaggio commissionato da BolognaFiere e diretto agli espositori, il 75% dei galleristi ha risposto positivamente.
EB: Quest’anno hai introdotto un’eccezione alla regola di presentare un numero limitato di artisti. Ci sarà la possibilità di eccedere il limite di sei artisti con un progetto curatoriale dedicato a un gruppo, un movimento o a una corrente artistica. Ci dai delle anticipazioni in merito ai progetti dedicati?
SM: Spero che questa modifica alle regole espositive – modifica che tiene conto delle obiezioni sensate, e non fini a sé stesse, che avevo ricevuto l’anno passato – dimostri che non sono fissato con il numero degli artisti in rapporto ai metri quadrati; per me non è un fine, è solo un mezzo per ottenere una maggiore coerenza e varietà nelle proposte delle gallerie. Quest’anno i progetti di stand dedicato a un movimento sono stati pochi, e ancora meno (appena due) quelli ammessi: non tutti hanno ancora capito bene il meccanismo, credo, e comunque non è semplice mettere insieme uno stand folto e al tempo stesso coerente. Ci sono riusciti Cardelli e Fontana, che presenta un percorso nell’Astrattismo italiano dagli anni Trenta ai Cinquanta, e la galleria Russo, con un omaggio al Novecento di Margherita Sarfatti.
SM: Non ti nascondo che mi ha molto gratificato la mostra che ha curato l’anno scorso Davide Ferri per il primo capitolo di Courtesy Emilia-Romagna. Quest’anno la curatrice invitata al progetto sulle collezioni d’arte moderna e contemporanea del territorio emiliano-romagnolo è Eva Brioschi con la mostra “L’opera aperta”. Mi racconti, brevemente, il tuo punto di vista sulla sua mostra? Quanto ritieni che arricchisca, in generale, la proposta culturale della fiera?
SM: Penso che Courtesy Emilia-Romagna sia un caposaldo del programma culturale della fiera, e conto di ospitare almeno un terzo episodio della serie nel 2021. La ricchezza e varietà delle collezioni istituzionali emiliano-romagnole è tale, del resto, che si potrebbero organizzare almeno venti mostre delle loro opere senza ripetersi. E così, L’opera aperta di Eva Brioschi sarà altrettanto bella di Solo figura e sfondo di Davide Ferri, ma completamente diversa, sia per impostazione curatoriale, sia per la selezione dei lavori. Ferri ha cercato un legame tematico, il più specifico e stringente possibile, con il territorio emiliano-romagnolo; Brioschi spazia liberamente, seguendo il filo delle opere e dei loro rimandi stilistici e tematici. Ferri aveva suddiviso la mostra in sezioni chiaramente delimitate, addirittura con un titolo ciascuna; Brioschi, che pure procede per raggruppamenti dotati di senso, ha preferito non dichiararli, lasciando che lo spettatore li scopra da sé – o semplicemente crei il proprio percorso secondo la propria sensibilità e le proprie conoscenze. Insomma, al di là del rimando al celebre saggio di Umberto Eco, L’opera aperta è davvero una mostra “aperta”, fluida, inclusiva. Quanto alle opere, alcune di esse sono così inattese e notevoli che hanno lasciato sorpreso me per primo. Brava, Eva!
EB: Per le fiere diventa sempre più importante la relazione che riescono ad instaurare con le istituzioni della città che le ospita. A volte, però, possono diventare un surplus che crea solo inutili e ridondanti distrazioni. Alcuni direttori di fiera, infatti, scelgono di concentrare tutte le energie e le iniziative sulla fiera stessa. Ritieni che siano sempre positivi i risvolti del ‘fuori fiera’? Quanto e come ha risposto la città di Bologna?
SM: In un momento in cui il calendario internazionale delle fiere è pressoché saturo, e ogni manifestazione compete con le altre per attirare collezionisti e addetti ai lavori, credo sia indispensabile riuscire a proporre, accanto a una selezione interessante di gallerie e di progetti in fiera, un “fuori fiera” ricco, vario, di livello internazionale. Fin dall’inizio io e Gloria Bartoli, la vicedirettrice artistica, abbiamo cercato di aiutare Lorenzo Balbi – che, oltre ad essere il direttore del MAMbo, è responsabile di Art City, l’insieme delle mostre e degli eventi in città durante la fiera – nel tentativo di coordinare e armonizzare le proposte individuali delle istituzioni bolognesi e del territorio. È questa offerta complessiva che proponiamo ai nostri VIP; un’offerta che nel 2020 include la prima italiana dell’ultimo spettacolo di Romeo Castellucci (La vita nuova), mostre istituzionali di Antoni Muntadas (Villa delle Rose) e Mika Taanila (Padiglione dell’Esprit Nouveau), un’ambiziosa collettiva sull’idea di ripetizione circolare (MAMbo), una collettiva internazionale di pittura dedicata alle “realtà ordinarie” (Palazzo De’ Toschi) e molto altro ancora.