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Armin Linke e l’esplorazione sull’apparenza

[nemus_slider id=”61460″] ‘Ciò che non si vede’ o ‘ciò che ognuno vede in modo diverso’. In ogni caso è in questione l’ambiguità dell’apparire, del “venire alla luce” (come poeticamente suggerisce l’etimo della parola) del sembrare. Come racconta Ilaria Bonacossa –...

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‘Ciò che non si vede’ o ‘ciò che ognuno vede in modo diverso’. In ogni caso è in questione l’ambiguità dell’apparire, del “venire alla luce” (come poeticamente suggerisce l’etimo della parola) del sembrare. Come racconta Ilaria Bonacossa – curatrice assieme a Philipp Ziegler dell’importante mostra di Armin Linke ospitata fino al 6 gennaio 2017 al PAC – Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano – il fotografo è interessato “a delle specifiche visioni, capaci di mettere in discussione lo status quo e mostrarci la complessità e le trasformazioni del mondo contemporaneo.” Per riuscire in questo tentativo, Linke ha invitato degli studiosi di diverse discipline a mettere in dubbio, rileggere oltre le apparenze, dare un inconsueto punto di vista al suo archivio fotografico. Di quest’ultimo, formato da oltre 20.000 fotografie, sono state selezionate 170 le immagini raccontate mediante testi e audio.
Per le cinque installazioni del progetto presentate nel 2015/16 allo  ZKM (Centro per l’arte e la tecnologia dei media) di Karlsruhe sono stati invitati Ariella Azoulay (Tel Aviv, 1962), Bruno Latour (Beaune, 1947), Peter Weibel (Odessa, 1944), Mark Wigley (Palmerston North, 1956), Jan Zalasiewicz (Manchester 1954). Alla mostra del PAC di Milano si aggiungono i contributi di Franco Farinelli (Ortona, 1948), Lorraine Daston (East Lansing, Michigan, 1951) e Irene Giardina (Catania, 1971).

Segue l’intervista con Ilaria Bonacossa —

ATP: La mostra di Armin Linke, che curi assieme a Philipp Ziegler, ha un carattere molto sperimentale. “L’apparenza di ciò che non si vede” è un progetto concepito come processo di attivazione dell’archivio del fotografo. Mi racconti in che modo Linke ha strutturato questa mostra?

Ilaria Bonacossa: Direi che, come spesso accade nei lavori di Armin Linke, la mostra é solo parte di un progetto che si articola in una temporalitá estesa e partecipata in cui il progetto stesso si trasforma e viene messo in discussione. Armin Linke parte dall’idea che le fotografie possano mostrare e raccontare ‘ciò che non si vede’ o meglio ‘ciò che ognuno vede in modo diverso’ e che per la natura con cui oggi vengono ‘scambiate’ e ‘fruite’ (vedi il mondo digitale e socialmedia) si aprano a infinite letture. Lui era interessato a delle specifiche visioni, (gli esperti coinvolti nella selezione delle immagini) capaci di mettere in discussione lo status quo e mostrarci la complessità e le trasformazioni del mondo contemporaneo. Ha quindi invitato otto esperti internazionali attivi in diverse discipline a scegliere una serie di immagini (ad ognuno ha mandato più di 100 foto stampate in A4 con minime spiegazioni) per raccontargli, in una giornata di lavoro condiviso, il perché della scelta. Queste conversazioni sono state registrate e, grazie a Giuseppe Ielasi, sono diventate il paesaggio sonoro della mostra, che guida il pubblico nello spazio. Mentre a ZKM ogni scelta autoriale è stata presentata singolarmente, al PAC vengono portate a unirsi (con 4 nuovi interventi) in un racconto corale per immagini sul presente.

ATP: E’ evidente la natura socio-antopologica della ricerca di Linke: “La sua opera può essere considerata un giornale di bordo dei profondi cambiamenti economici, ambientali e tecnologici.” Alla luce di questa sintetica presentazione, quale è il tuo punto di vista sulla natura del lavoro fotografico di Linke?

IB: Credo che la forza del lavoro di Linke sia riuscire a catturare in una singola immagine il carattere specifico di un luogo e il suo carattere esemplare e generale, un po’ come se le sue foto riproducessero lo spazio umano e i luoghi, la storia del presente e le sue specifiche caratteristiche. Vi é qualcosa di ‘critico’ nel suo lavoro, come se questa enciclopedia del presente fosse destinata a raccontare una specie in via d’estinzione. Vi è, pero’, una grande lucidità nel voler aiutare le persone a vedere la realtà presente nelle sue manifestazioni, inseguendone gli aspetti più disparati in un pellegrinaggio costante nei luoghi più remoti del mondo, per potere immaginare cambiamenti e trasformazioni..

ARMIN LINKE. L'apparenza di ciò che non si vede - Exhibition space,   PAC – Padiglione d’Arte Contemporanea Milan Italy 2016
ARMIN LINKE. L’apparenza di ciò che non si vede – Exhibition space, PAC – Padiglione d’Arte Contemporanea Milan Italy 2016

ATP:  Mi accenni su come il fotografo ha scelto i vari esperti coinvolti in questo complesso progetto?

IB: Bruno Latour aveva in realtà chiesto ad Armin Linke di poter usare delle sue foto per il suo progetto “Reset Modernity” come illustrazioni e fonte di discussione. Armin era rimasto stupito da come Latour vedesse nelle foto cose che Armin Linke non solo non aveva visto fotografando ma nemmeno riguardando e archiviando l’immagine; da qui si é sviluppata l’idea della mostra e anche l’idea di attivare l’archivio in maniera dialogica. Altri, come Jan Zalasiewicz, professore che presiede il gruppo di lavoro Antropocene della Commissione Internazionale di Stratigrafia, aveva collaborato con Linke…
Credo che in tutti i casi, il coinvolgimento nascesse da incontri e dalla stima di Armin verso gli studi e le ricerche di questi esperti. Quello che però restava cruciale, era la loro volontà e capacità di articolare un discorso critico a partire dalle fotografie e in relazione alle singole immagini. Alcune collaborazioni con esperti non hanno funzionato perché il loro discorso teorico non entrava in dialogo con le immagini.

ATP: In merito al catalogo della mostra ospitata al PAC e, nel  2015/16, allo ZKM di Karlsruhe. Le immagini selezionate dai vari studiosi e teorici, sono commentate con una serie di pensieri e approfondimenti. Tra i cinque interventi, ce ne uno in particolare che ti ha colpito, sia a livello d’immagine che per quanto riguarda i testi elaborati?

IB: Ho amato molto Franco Farinelli, forse perché é stato presente al PAC… ho ammirato molto la sua lucidità nel parlare delle immagini con una cultura e una precisione storica incredibile. E’ stata un’esperienza emozionante. Devo anche dire che mi ha affascinato il fatto che le immagini venissero scelte come in uno story-board, dove le foto erano in dialogo l’un l’altra. Anche le immagini di Mark Wigley, che raccontano come l’architettura della società contemporanea sia fatta più di interconnessioni che di texture, sono fortissime e sorprendenti: per esempio, una delle mie foto preferite è quella di un negozio d’acqua in Uzbekistan. Questa immagine diventa il segno della scelta di non entrare nella rete di persone che aprono il rubinetto per bere acqua potabile…. 

Armin Linke,   Water shop Nukus (Aral Lake) Uzbekistan 2001
Armin Linke, Water shop Nukus (Aral Lake) Uzbekistan 2001

ATP:  In merito al percorso espositivo, assieme a Linke, come avete pensato il display della mostra? Quanto il padiglione modernista ha potenziato o limitato l’allestimento? 

IB: In realtà abbiamo lavorato con un grande team che é lo stesso che ha supportato Armin Linke nella progettazione e nel design dell’allestimento e del catalogo. Oltre con lo studio di Armin, abbiamo collaborato con Linda van Deursen (che é una grafica fenomenale e una persona meravigliosa con cui lavorare), Jan Kiesswetter e Alina Schmuch (ex allievi di Armin a ZKM); per il design delle strutture-pannelli mobili, con Martha Schwindling. L’idea di base era per un allestimento leggero, trasportabile, capace di adattarsi alle diverse location; un paesaggio, che desse la sensazione di creare quasi un giardino di foto. L’omaggio all’architettura modernista é sottolineato dal desiderio di non usare i muri per allestire le foto ma lasciare la struttura libera, un monumento da abitare. Armin ha anche voluto inserire in mostra una breve intervista a Jacopo Gardella, figlio di Ignazio – coinvolto nella ricostruzione dopo l’attacco dinamitardo – per svelare i molti dettagli dello spazio.
Senza contare che la struttura del luogo, penso alla vetrata, amplifica la sensazione di allestimento aperto e di paesaggio. Per raggiungere lo stato finale abbiamo lavorato con una gigante macquette fino all’ultimo giorno, provando accostamenti e cluster nello spazio e solo alla fine, mandando in stampa la mappa e montando il sonoro, abbia avuto la visione d’insieme. Nelle prossime due sedi della mostra, Aachen e Ginevra, tutto sarà nuovamente rimesso in discussione…

ATP: L’archivio di Armin Link conta una raccolta dalle proporzioni eccezionali: oltre le seicentomila immagini. Sembra abbia scattato una foto a ogni batter di ciglia, per descrivere in modo un po’ poetico la sua pratica. Conoscendo il suo lavoro, come descrivi la sua pratica fotografica? 

IB: Armin ha studiato architettura e credo che questo si veda nella struttura generale del lavoro che é onnivoro nel desiderio di mappare il presente. Le foto non sono oggetti singoli ma parte sempre di progetti che vengono continuamente rivisti e rivisitati. Senza contare che tutto cambia anche a seconda del contesto in cui vengono presentati. Resto sempre affascinata dal fatto che nonostante l’articolata struttura dei suoi progetti, vi sia poi quel momento poetico e artistico dello scatto capace di raccontare un mondo. É un artista nel senso che è sempre coinvolto in prima persona nella curatela dei progetti e nel loro allestimento; il numero delle immagini é legato al fatto che dall’inizio le sue immagini siano state considerate come parte di un archivio aperto e in fieri.

Armin Linke,   Mountain with antennas Kitakyushu Japan 2006
Armin Linke, Mountain with antennas Kitakyushu Japan 2006
Armin Linke,   DKRZ Deutsches Klimarechenzentrum,   archives Hamburg Germany 2013
Armin Linke, DKRZ Deutsches Klimarechenzentrum, archives Hamburg Germany 2013
Armin Linke,   Moving cloud Aosta Italy 2000
Armin Linke, Moving cloud Aosta Italy 2000